Un documento programmatico per il partito e per l'Italia. Un po' più 'a sinistra' rispetto al passato, ma sempre basato su 'merito e talento'. E con al centro anche l'Europa. Così il sindaco lancia la sfida in vista del congresso

La lunga corsa di Matteo Renzi al prossimo congresso del Pd partirà questa settimana, da Firenze, col lancio della sua candidatura alla segreteria del partito e la presentazione del "Manifesto per il nuovo Pd", dove sarà svelato il volto di un partito a sua immagine e somiglianza: 'di sinistra' ma 'moderno, europeista e riformista'.

Lunedì mattina sarebbe partita una mail, nell'inner circle renziano, che comunicava lo spostamento della data prevista per l'annuncio ufficiale: da mercoledì 3 luglio si potrebbe infatti slittare a qualche giorno più avanti. Il motivo è semplice: il 4 luglio Stefano Fassina, possibile candidato d'area bersaniana alla segreteria, dovrebbe presentare una contro-mozione e con un documento altrettanto identitario in funzione anti Renzi.

A Marco Agnoletti, portavoce del sindaco di Firenze, il compito di fornire la versione ufficiale: "Da tempo il sindaco ha spiegato che ogni sua valutazione e decisione non sarà certo presa prima della convocazione del congresso e tantomeno prima di conoscere le regole fissate per il suo svolgimento". E il manifesto? "Non esiste alcun manifesto", assicura Agnoletti.

Il sindaco di Firenze ribadisce, però, che questa sarà una battaglia giocata sui contenuti, e non sulle correnti, com'è vecchia prassi del Pd.

Il suo documento, molto lontano dai voluminosi programmi cui il Pd ci ha abituato in passato, è ancora in gestazione, come racconta Ivan Scalfarotto, vicepresidente del Pd e oggi deputato renziano. Qualcuno parla di una "svolta a sinistra", anche nei contenuti, per passare un colpo di pugna sulle vecchie accuse, rivolte al rottamatore, di eccessivo liberismo e di una disinvolta incursione nel bacino elettorale di destra. «In realtà Matteo è sempre stato di sinistra», sostiene Scalfarotto, «ma di una sinistra liberale che, se è guardata con un certo sospetto dalla cultura italiana, ha invece piena cittadinanza nel resto d'Europa. Il Manifesto valorizzerà e rafforzerà degli spunti già presenti nel programma elettorale che fu elaborato per l'ultima corsa alle primarie del pd: c'è maggiore attenzione a valori come l'equità sociale, la solidarietà e l'umanesimo. E un concetto del tutto nuovo, nel nostro paese: sebbene chi è più debole non debba essere lasciato indietro, la novità è che la politica deve formulare degli strumenti che facciano da volano alla valorizzazione del merito e di chi mostra di avere più talento». Come dire, un 'egualitarismo meritocratico'.

Qualche anticipazione, in realtà, è già trapelata sul 'Foglio', la scorsa settimana, sui punti di politica economica elaborata dal nuovo consulente di Renzi, Yoram Gutgeld, poi ribaditi da Davide Serra, il finanziere vicino al sindaco e al centro di numerose polemiche per i conti alle Cayman. Indiscrezioni la cui uscita non sarebbe piaciuta al sindaco di Firenze, che aveva chiesto ai suoi di mantenere il massimo riserbo, prima dell'uscita ufficiale del Manifesto.

Ma quali sono le principali novità introdotte dal documento e che segnerebbero una cesura netta, secondo le indiscrezioni, rispetto al Pd attuale?

Roberto Cociancich, senatore renziano e membro della Commissione Esteri di Palazzo Madama, sarebbe al lavoro per definire una nuova procedura che renda più agile l'accesso ai fondi europei per il finanziamento di progetti nell'area del welfare nazionale: secondo lui, una lacuna trascurata del vecchio Pd e reale necessità in un Paese ancora ostaggio della crisi economica. «Non parlerei di una svolta a sinistra», spiega Cociancich a 'l'Espresso', «ma di un'articolazione più sistematica dei temi già anticipati in passato da Renzi. Si sta lavorando ancora, in particolare, ai punti su sviluppo, sussidiarietà, semplificazione burocratica e apertura dei diritti civili».

Secondo i renziani, «l'obiettivo è ribaltare, concettualmente, anche il vecchio schema dei buoni e cattivi che agiscono all'interno del sistema economico: si è esaurita la vecchia concezione di un sindacato che tutela solo posizioni stabili e già acquisite, c'è un'intera classe si lavoratori che opera dentro forme contrattuali precarie e flessibili. E non pensiamo solo ai dipendenti e ai liberi professionisti: anche gli imprenditori che si assumono dei rischi e creano posti di lavoro sono categorie da tutelare. Non si può più pensare che la politica sindacale debba rivolgersi solo ai pensionati».

Nuovi ibridi economici che coniughino produzione a welfare, però, come rivela un fedele di Matteo che non vuole essere citato: «Per comprendere quanto sia innovativo il Manifesto rispetto al vecchio partito, abbiamo pensato ad esempio a una proposta per concedere licenze che consentano alle vecchie cooperative sociali di entrare nell'economia di mercato, e iniziare a produrre. Ma non nell'ottica di fare più profitto e allargare il divario tra ricchi e poveri: ma con il fine di reinvestire nel welfare ciò che si guadagna. Penso all'assistenza agli anziani, a nuovi servizi per le famiglie, a chi ha figli e lavora e non riesce a sostenere gli esosi costi di un asilo pubblico. Le Cooperative potrebbero finanziare grandi supermercati, ad esempio. È un modello importato dalla cultura anglosassone e dall'esempio di Cameron. E funziona".

Nel Manifesto anche la visione romanocentrica della macchina dei bottoni, dove tutto si decide, sarebbe sostituita in luogo di centri capillari di decisione e potere, distribuiti sul territorio, che si servano della rete e dell'innovazione, che l'ala renziana sembra saper utilizzare con tanta abilità. «Il partito che vogliamo ha una struttura molto più snella e meno costosa del passato», sostiene Ivan Scalfarotto, «ed è più aperta agli associazionismi che operano sul territorio». Si tratta di contribuire e collaborare anche con chi non ha tessere di partito, ma ha ugualmente voglia di partecipare.

Un altro renziano che non vuole essere citato spiega: «I comitati per Renzi che si erano formati durante la campagna per le primarie sono un patrimonio prezioso che non è stato buttato via: vogliamo trasformarli in circoli tematici dentro il Pd. Quel 40 per cento di partito che ci siamo aggiudicati (e che nei recenti sondaggi interni sembra addirittura cresciuto) deve legittimamente avere spazio per esprimersi anche su tematiche che il vecchio Pd non vuole trattare: ecco perché stiamo discutendo, proprio in queste settimane, per ritagliarci ampi spazi anche all'interno dei programmi delle prossime feste democratiche».

Sarà da qui, infatti, che Matteo Renzi sferrerà l'attacco all'apparato del pd. La campagna elettorale inizierà già dal lancio del Manifesto per poi proseguire sui territori nelle feste democratiche.

In attesa della definizione delle regole congressuali - delicato nodo intorno a cui sembra giocarsi l'intera partita delle candidature a segreteria e leadership - la macchina renziana sta lavorando per puntellare il territorio di sostenitori.

A livello cittadino, provinciale e regionale molte candidature sarebbero già pronte. L'ipotesi che più teme il sindaco di Firenze è, infatti, la procedura di voto. L'attuale segreteria di Epifani (con Zoggia e Stumpo, bersaniani di ferro e responsabili dell'organizzazione interna) dovrebbe chiarire entro metà luglio uno dei punti centrali: se far votare prima le assise locali e poi quella nazionale (ipotesi che blinderebbe il voto finale contro Renzi, se la partecipazione dei territori fosse riservata ai soli iscritti) o il contrario, come da statuto: scenario che potrebbe agevolare, invece, il sindaco di Firenze.

Intanto nello scacchiere correntizio si affacciano nuove creature: starebbe scaldando i motori Renato Soru (qualcuno, alle latitudini sarde, lo segnala come prossimo alla ri-candidatura della regione, scaduto in febbraio il mandato di Cappellacci), insieme al vecchio assessore del comune di Milano, licenziato dal sindaco Pisapia, Stefano Boeri e al vecchio dg del comune Davide Corritore (anche lui recentemente uscito).