Il cambio al vertice del partito, con l'arrivo di Matteo Renzi, porta sul tavolo il taglio delle spese della vecchia dirigenza. E si annuncia scontro su consulenze esterne e assunzioni, come quella dell'ex presidente avvenuta poco prima dell'arrivo in Parlamento

Passata la prima mareggiata del dopo primarie, in casa Pd è in arrivo una bufera. I nuovi inquilini del Nazareno hanno trovato conti in rosso, spese folli in consulenze, decine di unità di personale inutilizzato e anche una manciata di nuove assunzioni, in barba al blocco già operante da qualche anno, che potrebbero coinvolgere nomi eccellenti dell’establishment piddino. Matteo Renzi non pare proprio intenzionato a limitarsi a “lavare i panni sporchi in casa” e si prepara a dar conto pubblicamente dello stato di dissesto del partito. Insomma, tutto fa prevedere che il prossimo scontro tra vecchia e nuova dirigenza si giocherà sui temi della riorganizzazione delle risorse del partito e sulla trasparenza dei bilanci.
 
Che i conti in rosso del 2012 preoccupassero non poco l’ex rottamatore è noto. Ma è stata l’estensione dei buchi di bilancio e gli sprechi puntualmente annotati nei capitoli a lasciare di stucco, raccontano al Nazareno, tanto il segretario quanto Francesco Bonifazi, nuovo tesoriere del Pd, da settimane chiuso a scartabellare fatture, bolle, voci, partite di giro e redazioni di preventivi per il 2014. Se il tesoriere si trincera dietro una cortina di silenzio mascherata da tracheite (“sono senza voce, non posso proprio parlare”, risponde con ironia), più di un autorevole esponente parlamentare racconta la “sconcertante realtà lavorativa” trovata nella sede del maggior partito nazionale.
 
Si va da spese considerevoli per un esercito di personale “spropositato” (200 unità, di cui 157 utilizzate effettivamente), al superamento dei vincoli derivanti dal blocco delle assunzioni, già deciso nel 2011, e che invece lo scorso marzo avrebbe portato ad immettere in ruolo (cioè a tempo indeterminato) dirigenti di primissimo piano, subito prima del loro ingresso in Parlamento.

Un esempio su tutti e confermato da più di una fonte è quello di Gianni Cuperlo, che si sarebbe ritrovato nel giro di poche settimane con il doppio incarico di dirigente di ruolo e parlamentare (optando, ovviamente, per la sola indennità di deputato fino alla fine della legislatura). Circostanza che non avrebbe favorito l’armonia tra i due: tanto che qualcuno, certo non di fede bersaniana, suggerisce di rileggere in filigrana quell’uscita di Renzi in Direzione nazionale (“sei stato eletto nel listino bloccato”) che ha fatto da detonatore alle dimissioni di Cuperlo; una provocazione che avrebbe piuttosto sottinteso il “ti sei fatto anche assumere in extremis dal partito nel momento in cui chiediamo sacrifici al Paese”.

Raccontano, infatti, che quando Bonifazi si trovò a resocontare a Renzi le prime risultanze dei suoi controlli tomografici sullo stato di (non) salute dei conti si sarebbe affrontato, stando agli insistenti rumors, anche il nodo Cuperlo e si sarebbe deciso di parlarne direttamente con l’interessato, paventando l’idea che, in mancanza di un suo passo indietro sull’assunzione, si sarebbe comunque dovuto metter mano agli effetti del presunto colpo di mano pre-elettorale.
 
Per ora, la bomba che squasserà ulteriormente i rapporti tra l’ala rottamatrice e l’ancien régime dell’apparato è rimandata, per quanto si sa, di una decina di giorni, anche perché sul tavolo resta sempre l’urgente nodo della legge elettorale. Pausa tecnica utile, in fondo, anche per prender tempo e capire come gestire il dossier spese pazze del partito. Su questo tema si sarebbe trovata una nuova importante saldatura, sotto la bandiera dell’auspicata unità del partito, tra renziani e civatiani, anch’essi intransigenti sulla tenuta dei conti.
 
Intanto, è iniziato il giro di vite per il personale di ruolo, diviso tra chi “da sempre lavora come una bestia” e chi, in orario di servizio, completava le compere dei saldi o faceva la fila dal macellaio. In linea con uno dei primi atti di Matteo Renzi quando fu eletto Sindaco a Firenze (parlò dei suoi dipendenti come dei “fantozzi”, sollevando un putiferio), anche al Nazareno ci saranno badge per tutti (si suppone, dunque, anche per Cuperlo quando tornerà in servizio) e rilevatori di presenze piazzati ad ogni ingresso.
 
Resta il fatto che, a conti fatti, quello che avrebbe basito di più Bonifazi non siano state tanto le spese per il personale, che infatti non dovrebbero essere oggetto di riduzioni nel 2014, quanto piuttosto l’abnorme spesa per servizi e consulenze. Su questo capitolo, dicono, Renzi e la sua Segreteria saranno inflessibili e spiegheranno pubblicamente gli sperperi di una gestione discutibile e definita, senza giri di parole, “poco trasparente”. 

“Non si può certo chiedere trasparenza alle articolazioni dello Stato se poi non siamo i primi a garantirla” ragiona un parlamentare renziano. “Cosa vogliono dire le risposte fornite circa i controlli autorevolissimi sui conti di società di revisori certificate? Qui non è in discussione alcun falso in bilancio, ma spese, a partire dalle consulenze, incredibili e sulle quali, a fronte dell’idonea documentazione, non c’è società al mondo che non possa registrarne la legittimità”.
 
Se, in pratica, il 2012 si era chiuso per il PD con un disavanzo di 7,3 milioni di euro, il 2013 sembra non solo aver confermato il trend, ma addirittura abbia espanso il debito. E c’è chi della direzione Pd si spinge oltre: “La gestione del bilancio di un partito non è mica una cosa per cui serva una capacità manageriale eccezionale; non è difficile, a maggior ragione finché si è potuto contare sulla quota dei rimborsi elettorali, situazione in cui si sa perfettamente quanto spendere a fronte di entrate certe”.

Le spese contestate vanno, tra l’altro, dal numero considerevole di copie de L’Unità destinate al macero (“la consistenza del partito garantisce somme cospicue di finanziamento pubblico al giornale. Per il resto dovrebbero valere le regole del mercato”), fino ai 324 mila euro destinati all’aggiornamento del sito del Partito Democratico. “Con gli stessi soldi prendo dieci unità di personale inutilizzate, gli faccio la formazione e le mando ad aggiornare il sito della Nasa, oltre a quello del PD”, è uno dei ragionamenti spicci che circolano.
 
I primi passi che verranno adottati, dunque, dovrebbero andare nel senso di un quasi azzeramento delle consulenze (che assorbono circa un milione di risorse), una razionalizzazione delle spese per la formazione, la drastica riduzione delle spese per l’editoria e la comunicazione (traballerebbe anche l’attuale assetto della tv Youdem), il taglio netto alle spese di missione e il blocco delle assunzioni per i prossimi anni, da rispettare, stavolta, con rigorosa inflessibilità.
 
Non che alle orecchie dei cuperliani, come è naturale, non arrivino questi ragionamenti al fiele e la volontà di “rompere un ingranaggio logoro di consulenze, servizi e di sovraccarico diffuso della spesa”, ma i mal di pancia si concentrerebbero soprattutto sui modi e sui metodi dei nuovi arrivati al Nazareno (e di metodo, appunto, parlò Cuperlo nella lettera di dimissioni recapitata a Renzi  il 21 gennaio scorso); cercheranno, insomma, di spostare l’asse del confronto dalla contabilità alle ragioni di dissenso politico all’interno del partito. Che non resteranno inerti a farsi smacchiare dai rottamatori 2.0 è sicuro, che la battaglia si preannunci aspra e senza esclusione di colpi, pure.

Aggiornamento 31 gennaio 2014: I conti del Pd, ieri e oggi di Antonio Misiani, ex tesoriere del partito