Con l'anno nuovo Camera e Senato saranno affiancati dal nuovo Ufficio parlamentare di bilancio. Che dovrebbe vigilare con analisi e verifiche sulla finanza pubblica e l'operato del governo. Ma già esistono per questo i Servizi Bilancio. Davvero c'era bisogno di un organismo il cui presidente guadagnerà oltre 293 mila euro l'anno?
Anno nuovo, apparato nuovo. L’ultimo nato si chiama Ufficio parlamentare di bilancio, costerà sei milioni di euro l’anno (“3 milioni di euro in favore di ciascuna Camera”, dice la legge istitutiva) e avrà fino a quaranta unità di personale. La sua missione sarà quella di fare analisi e verifiche sugli andamenti della finanza pubblica e di valutare se i provvedimenti discussi dal Parlamento osservino puntualmente le regole di bilancio; lavoro, sin qui, fatto dai funzionari di palazzo.
Nelle intenzioni dovrebbe essere un’autorevole spina nel fianco dei governi e potrebbe addirittura costringere i ministri dell’economia a render conto e ragione al Parlamento in caso di “valutazioni significativamente divergenti” con l’organismo, con buona pace di chi dovrà capire quale sia una significativa divergenza e quale no.
Tanto si tratta di una scommessa, che anche Giancarlo Giorgetti, presidente dei deputati leghisti e mammasantissima in questioni di bilancio, usa un cauto condizionale. “Questo organismo dovrebbe essere di alta reputazione e indipendente dalla politica e dai poteri forti, che è poi l’unica strada per garantire valutazioni oggettive sull’andamento della finanza pubblica”, dice all’Espresso.
L’ufficio, già ribattezzato in acrostico UPB, sarà composto da un direttorio di tre membri scelti “tra persone di riconosciuta indipendenza e comprovata competenza ed esperienza” sui temi economici, come recita la norma; un’indipendenza che sarà, tuttavia, il frutto di un accordo di maggioranza all’interno delle commissioni bilancio di Camera e Senato, incaricate di scegliere dieci finalisti. Alla fine, Piero Grasso e Laura Boldrini sceglieranno il presidente e i due membri.
Il primo prenderà, per legge, lo stesso stipendio del presidente dell’Antitrust, cioè 293.658 euro l’anno, gli altri due il venti per cento in meno, cioè 235.000 euro.
Gli aspiranti hanno tempo fino al 20 gennaio per spedire al Parlamento le loro “manifestazioni d’interesse”, poi – prevedibilmente – si aprirà la ridda tra i partiti sulla valutazione dei dieci curricula da scegliere, il momento cruciale in cui si capirà se anche gli “esperti” saranno filtrati Cencelli alla mano.
Più di un mugugno tra i corridoi di Palazzo c’è già, anzitutto perché il lavoro dell’Ufficio parlamentare di bilancio andrà a sovrapporsi, di fatto, ai già esistenti Servizi bilancio di Senato e Camera. Serviva davvero un nuovo organismo indipendente così costoso? “Se l’obiettivo è quello di dare al Parlamento un punto di vista indipendente rispetto al Governo sulle tendenze macroeconomiche sono d’accordo”, ragiona un giovane consigliere di Montecitorio, “però, allora, ce l’abbiamo già e, sinceramente, mi sento più garantito da personale tecnico assunto per concorso che da un organo scelto, alla fin della fine, con una maggioranza politica”. E lo stesso Giorgetti liquida il problema: “Va da sé che le istituzioni che hanno finora fatto questo lavoro perderanno di peso e di influenza”.
Uguale diffidenza ingenera l’assunzione del personale che dovrà lavorare all’Upb. La legge parla di un limite di trenta unità per i primi tre anni, poi si potrà arrivare a quaranta: alcuni saranno assunti (a tempo indeterminato) con un concorso pubblico, altri verranno dal Senato e dalla Camera (a fare, presumibilmente, quello che già facevano prima ai servizi di bilancio), altri ancora verranno selezionati con “procedure comparative pubbliche”, cioè senza concorso, per un massimo di sei anni. Siccome, però, nulla si dice sulle “quote” dei tre bacini, il rischio di selezioni opache c’è: “Come ci si può sottrarre all’idea che si usino anche stavolta bilance e bilancini? E il personale da dove arriva?”, conclude il tecnico di Palazzo.
Ma da dove nasce l’idea di questo organismo? “Il provvedimento che ha decretato la nascita dell’Ufficio”, dice Giorgetti, “era stato fortemente consigliato dalla troika europea all’epoca del commissariamento italiano, determinato dalle impennate dello spread. In fondo, si tratta di una cosa diffusa in molti paesi europei”. Ma anche negli Stati Uniti. Il modello di riferimento utilizzato è, infatti, l’omologo Congressional Budget Office statunitense (CBO), che, però, oltre a prevedere uno stuolo di incompatibilità severissime per le nomine (tra l’altro, là i membri durano in carica quattro anni, da noi sei), è finito assai spesso per diventare, anche oltreoceano, la voce tanto autorevole quanto disattesa delle ultime manovre di bilancio approvate.
E proprio sui requisiti per la nomina anche l’Istituto Bruno Leoni avrebbe auspicato una maggiore chiarezza: “Sarebbe utile”, si legge nel sito, “un esplicito riferimento alla copertura di incarichi nelle autorità indipendenti, di incarichi su nomina politica o comunque di ruoli formalmente ricoperti all’interno di partiti politici per un tempo definito precedente l’incarico, così come l’esclusione di chi non solo è attualmente membro di assemblee rappresentative, ma anche di chi lo è stato nella immediatamente precedente legislatura”.
Meno diplomatici, i cinquestelle hanno usato il martello pneumatico contro il metodo utilizzato per selezionare il tris di superburocrati, “è un modo per piazzare nell'Ufficio che dovrebbe verificare in modo imparziale i conti dello Stato gli amici degli amici, i parlamentari trombati, i ministri trombati, i capi di gabinetto trombati”.
Infine, non un centesimo dei sei milioni finirà in affitti per la sede dell’UPB. E’ previsto che i Presidenti del Senato e della Camera mettano “a disposizione dell’ufficio locali da destinare a sede del medesimo e le necessarie risorse strumentali”. Insomma, gli esperti di bilancio lavoreranno dentro il Parlamento (a differenza del cugino americano CBO), il che per un “organismo indipendente” ha tutto il sapore di un ossimoro.