Il ministro e il premier hanno dimostrato pubblicamente di non andare troppo d'accordo, e le differenze politiche e di metodo tra i due sono numerose. Per non parlare della riforma della giustizia, che il "giovane turco" avrebbe voluto molto diversa

L’Orlando “pacioso”, l’Orlando “pacifico”, l’Orlando “doroteo”. L’Orlando che vuole “discutere senza litigare”. L’Orlando magari intercettato: “Facciamo un esempio: mettiamo che intercettino Orlando”. L’Orlando  che “stava a Porto Alegre con la sinistra radicale”, nel senso sarcastico che poi si dirà. L’Orlando il giovane turco che, a fare spiccia la soluzione dell’indovinello, secondo Renzi non conta niente: “Ci sono due casi in cui le correnti hanno ancora un senso, nella magistratura e all’interno del Pd, ma una delle due non conta niente. Indovinate quale”.

Insomma ci mancava giusto che in conferenza stampa il premier dicesse “Orlando chi?” come fece con Fassina, ma in effetti il concetto era già chiaro, e il Guardasigilli più volte infilzato, s’era già fatto torvo e rosso in volto, addirittura aveva sibilato “adesso basta”.

E dunque, per chi fosse in cerca di una differenza interna a questo governo così renzianamente determinato allo scopo, alla rivoluzione@governo.it, per chi volesse lo specchio sfuggente dell’arrembante Renzi, eccolo qua. Andrea Orlando, 45 anni, da La Spezia, il gelido, pignolo, energico e prudente Guardasigilli che la volontà di Napolitano dopo due ore di colloquio infilò alla guida di via Arenula (per poi sussurrargli al giuramento: “Devi stare tranquillo”), laddove invece Matteo Renzi era salito al Colle con scritto “Nicola Gratteri” alla corrispondente casella.

Orlando, che nell’89 era alla Fgci di La Spezia e poi s’è fatto tutta la gavetta e il cursus honorum da ragazzo dell’ex Pci, avendo cioè sempre il partito come faro e la politica come religione, fino a passeggiare su e giù per il Transatlantico parlando fitto fitto con Luciano Violante che addirittura gli cingeva le spalle, segno inequivocabile di fiducia e protezione. Orlando che adesso al governo si trova talmente a suo agio da lasciarsi scappare (con “Libero”) il lapsus “il testo delle linee guida sarà disponibile quando l’avranno approvato i pm”, e da ambire, almeno così si vocifera, a diventare presto governatore della Liguria: meglio che litigare tutti i giorni con l’Anm.

Scoperto da Piero Fassino che, segretario diessino, lo volle in direzione nel 2003, riconfermato da Veltroni che, da segretario, lo mise portavoce del neonato Pd, rilanciato da Bersani che, da segretario, lo volle responsabile del Forum giustizia e lo spedì commissario a Napoli, già al governo con Letta che lo volle da giovane turco all’Ambiente, Orlando volendo può essere detto “doroteo” per questo stare sempre in maggioranza e, di certo, non è un complimento agli occhi di Renzi e della sua storia da mangia-padri. I sei anni che li separano, per quanto pochi, fanno come una differenza generazionale e obbligata, tra chi per farsi largo ha dovuto stare tra i migliori dei cooptati (Orlando è coetaneo di Alfano), e chi per farsi largo ha dovuto inventarsi la rottamazione (Renzi è coetaneo di Civati). Questione di anagrafe, ancor più che di carattere.

Perché poi l’Orlando “pacioso” così pacioso poi non è. Quand’era responsabile giustizia negli anni di Bersani, si guadagnò la definizione di “garantista che piace alla destra” perché, scatenando un putiferio, provò a dire che con l’antiberlusconismo all’ultimo sangue non si sarebbe riformato nulla. Adesso, dietro le quinte s’è messo contro Renzi ed è già risultato chiaramente - persino in un’epoca in cui gli unanimi applausi al premier sono quasi una coltre - che lui la riforma della giustizia avrebbe voluto avviarla in una maniera diversa: provvedimenti alla spicciolata, intanto incassare ciò su cui c’è accordo, rimandare il resto mentre gli si dà una forma più felpata e dialogante.

Ha vinto il premier, naturalmente, e dunque niente spezzettamenti: per cominciare ci saranno due mesi di mail all’indirizzo del governo per raccogliere suggerimenti. Ma la differente volontà è venuta fuori anche nella conferenza stampa di presentazione: “Vogliamo fare una riforma partecipata, speriamo che arrivino tante mail come alla Madia”, ha officiato Renzi. “Speriamo di no”, ha sibilato Orlando. “E certo”, ha controbattuto Renzi sarcastico: “Lui era a Porto Alegre con la sinistra radicale”: un riferimento, oscuro ai più, all’epoca in cui nella città simbolo dei no global, il sindaco faceva stilare il bilancio direttamente dai cittadini (i bilanci partecipativi). Per dire che certo, Orlando non appartiene alla filiera della democrazia partecipata.

Si vedrà quanto le differenti impostazioni si rifletteranno su una riforma che, nei fatti, deve ancora vedere la luce. Di certo, per ora, il procedere di Orlando - con lo stop and go sulle intercettazioni, per esempio - ha in parte rovinato l’effetto dell’annuncio. Finendo per chiarire, in maniera un po’ troppo evidente, che dietro ai titoli ci sono idee ancora piuttosto vaghe. Un peccato già imperdonabile, per il premier, da matita blu.

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