Stretta sulle intercettazioni: in Aula alla Camera giusto adesso parte il nuovo giro, la prima corsa concreta dell’era Renzi, dopo tanti annunci di revisione della normativa sugli ascolti. Anche se per taluni, che ne osservano le premesse, la fine è già nota: “Non si andrà da nessuna parte”, è la previsione che ha messo nel cassetto l’avvocata Giulia Bongiorno, che nella scorsa legislatura, da presidente della commissione Giustizia, fu tra i principali attori dell’affossamento della riforma allora voluta a Berlusconi: “Quando si comincia a parlare di bavaglio, la legge è già spacciata: perché nessuno vuol passare per colui che mette il bavaglio”, spiega.
Con schieramenti innovativi, che vedono stavolta il Pd favorevole (prima era contrario) e sostanzialmente concorde con Ap (che prima stava dall’altra parte della barricata, con il Pdl), mentre i Cinque stelle accusano Renzi e il suo partito di fare “peggio del Cavaliere”: “Perché almeno Berlusconi è stato fermato”. In questo clima, l’Aula della Camera si accinge ad esaminare (per concluderlo in settimana) il provvedimento monstre sulla giustizia penale che in 34 articoli contiene fra l’altro anche la delega al governo per aggiustare il tiro sugli ascolti.
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Niente di particolare, soltanto misure più stringenti per escludere dalla gogna mediatica chi non è oggetto di indagine, ha spiegato più volte lo stesso premier in passato. Poi si è entrati nel merito, si sono viste spuntare norme oggetto di polemiche, e nero su bianco si è vista nel testo la ricerca di un equilibrio (allo stato vagamente schizofrenico) tra una norma che da un lato delega al governo i dettagli, e dall’altro quei dettagli tenta di scriverli. In ogni caso i Cinque stelle, che già a fine luglio avevano sollevato una fortissima polemica, si preparano di nuovo a “dare battaglia” contro la “legge bavaglio”, denunciando da un lato la “delega in bianco che si da al governo” e dall’altra parte il “giro di vite” con misure che “toccano i diritti di imputati, giudici, giornalisti e persone offese da reato in un colpo solo”, spiegando fra l’altro che con le modifiche intervenute in commissione “i pm hanno tre mesi per chiudere l’indagine altrimenti rischiano l’avocazione dell’indagine” e “chi denuncia e pubblica registrazioni rischia dai sei mesi ai quattro anni”.
Al centro del mirino dei Cinque stelle vi è infatti, fra l’altro, l’emendamento Pagano (Ap) che punisce appunto col carcere chi effettua e rende pubbliche registrazioni fraudolente: questa norma, dopo la sollevazione che suscitò a fine luglio, è già oggetto di una ulteriore modifica, a firma dei Pd Verini ed Ermini, che esclude dalla punibilità chi registra per “diritto di cronaca e di difesa”.
Eppure, spiega in conferenza stampa il grillino Ferraresi, che del provvedimento è relatore di minoranza, “i cittadini restano comunque punibili, peraltro con misure di reclusione piuttosto forti; quanto ai cronisti, l’emendamento non è chiaro, contiene margini di interpretabilità”, spiega in conferenza stampa, dove i Cinque stelle fanno aleggiare il timore che “l’Esecutivo potrà prevedere blocchi alla pubblicazione”, e che “arrivino sanzioni pecuniarie forti per i giornalisti che violano la normativa”.
Non così la pensa il Pd: “Parlare di bavaglio è allarmismo fuori luogo”, dice il capogruppo in commissione giustizia Walter Verini, che si concentra invece nel difendere le ragioni della “udienza filtro” e dunque la necessità di “conciliare il diritto di cronaca con la necessità di tutelare la riservatezza di notizie prive di rilevanza penale”. Un equilibrio in teoria ragionevole, ma che dopo decenni di tentativi pare tuttavia impossibile da formulare senza incorrere nel marchio del bavaglio.
?“La sostanza dell’emendamento Pagano era presente anche nel progetto di legge della scorsa volta”, ricorda intanto Bongiorno. “Lo chiamavano “emendamento D’Addario”, sottointendendo servisse a Berlusconi per difendersi dalle registrazioni fraudolente di Patrizia D’Addario, “e comunque il Pd era contrario”. Stavolta quella norma non ha un nome. E se a questo si aggiunge l’esclusione delle professioni, come per i giornalisti, “non si capisce a cosa, o a chi, serva”.