I sorrisi, sulla terrazza del Pincio, si sprecano. Sono persino troppi, pure per l’inaugurazione di una campagna elettorale. Sorride al proprio telefonino il leader leghista Matteo Salvini, assiso tutto solo sulla balaustra tra selfie e dirette socialweb, in camicia bianca avvitata su sfondo cupoloni, e circondato mentre si fotografa da una selva di fotografi, effetto nonsense. Sorride Giorgia Meloni, all’altro capo della balaustra, tacco dodici e casacca turchese premaman, mentre si prepara a inaugurare la corsa per conquistare Roma e risponde a tutte le domande dei giornalisti e scherza e ripete, come farà poi dal palco, che fino all’ultimo aspettava dal Cavaliere “un guizzo dei suoi” che invece non arriva. Sorride a trentadue denti Irene Pivetti, rediviva alla politica e capolista, e Barbara Saltamartini, già An, già Fi, ora leghista. Sorride l’ex parlamentare Guido Crosetto, soprattutto quando l’azzurro Elio Vito, suo ex capogruppo, convenuto dice “per amicizia verso Giorgia”, ricorda che “Guido era il più bravo del gruppo”, e si danno di gomito.
Insomma si direbbe che si divertono tutti un casino, non fosse per quell’aria attonita che passa tra un sorriso e l’altro e traversa tutta la piazza dei sostenitori. La Meloni li esorta: “Un po’ più allegri! Dai, che ci facciamo una foto”. Silvio non c’è, neanche in effigie: ma in compenso dal microfono il segretario del Partito liberale assicura la platea che “daremo il contributo di sempre” (una vox populi domanda: “lo zero virgola sei”?), e Mario Mauro, il presidente dei Popolari per l’Italia, ha mandato anche due righe di sostegno, che gentile. I sorrisi non svaniscono nemmeno quando Rita dalla Chiesa, in rosso sul palco, si fa contestare dal pubblico perché si mette a sostenere la causa degli omosessuali (“e i diritti dei gay pure qui, no”, urla uno dalla folla, e ci si sente di dargli qualche ragione: qui si applaude sul “radere al suolo i campi rom”, diamine).
E’ venuto Mario Borghezio, sta in prima fila; si aggira l’ex ministro Ignazio La Russa, agitato come al solito, e l’ex ministro Adolfo Urso, rilassato come al solito. C’è donna Assunta Almirante, come poteva mancare, e pure Antonio Guidi, ministro con Berlusconi nel 1994. Ma Silvio non c’è, a quanto pare il guizzo non lo farà. Ed è anche una liberazione, certo: “In realtà Matteo e Giorgia non vogliono, la riunificazione non la vogliono”, sussurra un’ottima fonte, dietro promessa d’anonimato. Non la vorranno, ma di sicuro senza il Cavaliere l’incedere è strano. Neanche Berlusconi del resto, sussurrano da parte opposta, si vuol arrendere a questo nuovo che avanza e vuol pensionarlo, i quarantenni Meloni e Salvini, stavolta. E per questo usa il Guido Bertolaso come uno scudo umano: a Palazzo Grazioli, mentre l’ex Mr Wolf della Protezione civile stava su un divanetto ad aspettare di conoscere il proprio destino, metà dei forzisti ha litigato con l’altra metà sull’ipotesi di ritirarlo dalla corsa per il Campidoglio, e Berlusconi in mezzo alle urla non ha battuto ciglio. Certe cronache raccontano che alla fine è stata la fidanzata Francesca Pascale a persuaderlo sul resistere, resistere, resistere: “Ma io non ho mai visto il Cavaliere farsi convincere a qualcosa che non vuol fare”, spiega un’altra ottima fonte. Ergo, telefonate e guizzi non arriveranno, con buona pace di tutti.
E insomma, stavolta - e magari da ora in poi – questa destra senza Cav punta a modificare il noto ritornello: menomale che Silvio non c’è. Quale vertigine. ‘Che del resto, in ogni caso, pure Berlusconi non è più quello di una volta: quando gli bastava presentarsi tre volte a fianco dello sconosciuto commercialista Ugo Cappellacci per fargli vincere la presidenza della regione Sardegna. Adesso il povero Bertolaso è mandato da solo allo sbaraglio delle periferie romane, quindi tanto vale fare altro. Così la Meloni – che pure le periferie le conosce – si è presa il salotto di Roma. I pini, il Pincio, le cupole, ma pure le bancarelle coi finti elmi e i Colossei da tavolo, e naturalmente i ferma carte a forma di Lupa che allatta Romolo e Remo (mancherebbe giusto scoprire che aspetta due gemelli). Cartelli che inneggiano a “Giorgia Meloni sindaco” spuntano pure là, nella paccottiglia turistica. Mentre gli altoparlanti mandano a ciclo continuo frasi celebri sulla capitale, tra cui spicca ovviamente il garibaldino “Roma o morte”. Che poi la mitologia è quella: espugnare la Capitale, almeno un po’, per espugnare il regno del Cav. o quel che ne resta. Per mancanza d’alternative, in fondo.