I risultati delle elezioni non hanno chiarito le prospettive di governo, ma hanno segnato un successo per le forze anti-sistema come il M5S e la Lega. Il sorpasso della Lega su Forza Italia rappresenta forse il dato più preoccupante, perché dà a Matteo Salvini la leadership del centrodestra, probabilmente a lungo, e può radicalizzarne le posizioni in senso anti-europeo. La Lega ha eletto Bagnai e Borghi, gli alfieri dell’uscita dalla moneta unica, che è nel programma elettorale della Lega, ma non in quello della coalizione.
Riguardo al M5S oggi molti rimpiangono il fallimento del tentativo di Guy Verhofstadt e David Borrelli di portarlo dentro l’Alleanza dei liberal-democratici nel Parlamento Europeo. Un percorso che avrebbe favorito l’evoluzione europeista del Movimento. Di Maio durante la campagna elettorale ha attenuato le posizioni anti-europee, ha chiesto più poteri per il Parlamento Ue e il candidato a ministro dell’economia ha dichiarato che non ci pensa proprio a uscire dall’euro. Al contempo le promesse sul reddito di cittadinanza e lo sforamento del deficit allarmano per la tenuta dei conti pubblici. Ma qualche settimana fa in Senato i 5 stelle hanno proposto di inserire nei Trattati una procedura per l’uscita dall’Euro. Nel parlamento europeo sono alleati di Farage. E Borrelli ha lasciato il gruppo senza spiegazioni. Le prove dei governi locali e la retorica No Vax non ispirano fiducia. Insomma, segnali contraddittori, come spesso accade nel M5S. Così tutti attendono di scoprire cosa voglia fare davvero il M5S sui temi europei. Una svolta europeista per essere considerata reale avrà bisogno di comportamenti coerenti in termini di conti pubblici.
Preoccupano le mirabolanti e costosissime promesse elettorali e i proclami di fregarsene delle regole europee e dell’obbligo costituzionale del pareggio strutturale di bilancio. Così come il rischio instabilità per dei risultati che non garantiscono una maggioranza parlamentare a nessuno dei tre poli. Come ricordava Juncker qualche tempo fa, tutti temono che un Paese ad alto debito stia a lungo senza un governo. Lo spauracchio maggiore è un governo M5S-Lega il cui collante sia il nazionalismo anti-europeo. Un attacco dei mercati all’enorme debito pubblico italiano è un incubo per tutta l’eurozona. L’Italia è l’anello debole che può far cadere l’intero edificio. Tutti confidano in Sergio Mattarella e nella capacità di trovare le alchimie politiche necessarie a dar vita ad un governo, anche in vista di una serie di scelte e decisioni fondamentali da cui dipenderà il nostro futuro.

La Commissione in primavera dovrà decidere quale correzione chiedere sui conti pubblici italiani. Potrebbe essere la sveglia per far riprendere coscienza della situazione finanziaria dell’Italia, ignorata in campagna elettorale. È urgente una parola definitiva sulla permanenza dell’Italia nell’euro, per evitare scossoni sui mercati nel caso di un governo a guida Salvini o Di Maio. Mantenersi nell’ambiguità parlando di doppia moneta o di uscita dall’euro potrebbe provocare una fuga di capitali e un enorme aumento del costo del debito pubblico. L’esperienza dell’Argentina e della Grecia dovrebbe averci insegnato la pericolosità di attuare - o anche solo di discutere - certe scelte. Si sta riducendo l’intervento della Banca centrale europea sui mercati e potremmo trovarci rapidamente in difficoltà.
La proposta della Commissione sul prossimo bilancio 2021-2027 ha dato priorità alle spese su migranti, difesa e investimenti - tradizionali priorità italiane - a scapito di agricoltura e coesione (di cui beneficiano soprattutto Francia e Paesi dell’Europa centro-orientale). Il negoziato sarà duro e servirebbe anche il sostegno italiano, mentre nel dibattito nostrano si è parlato solo dei fondi di coesione che si perderanno, anziché dei costi per i migranti che potranno essere coperti dall’Ue. Le scelte sul bilancio rifletteranno le priorità e i contenuti delle politiche: per avere una vera politica europea delle migrazioni e del controllo delle frontiere esterne è necessario destinarvi adeguate risorse.
Con la nascita del nuovo governo di grande coalizione in Germania saranno finalizzate le proposte franco-tedesche per la riforma dell’Eurozona. I Paesi del Mediterraneo, che più hanno subito le conseguenze negative dell’incompletezza dell’unione economica-monetaria, sono schierati per una maggiore condivisione di sovranità, ovvero di rischi, risorse e capacità decisionali. Finora la Germania frenava chiedendo una preventiva maggiore riduzione dei rischi. Italia e Francia insieme raggiungerebbero un accordo con la Germania più avanzato e favorevole di quanto la Francia farebbe da sola. Il programma di governo tedesco ha al primo punto il rilancio dell’integrazione, ma un governo nazionalista o comunque percepito come inaffidabile in Italia rischia di chiudere questa finestra di opportunità.
Stanno partendo diversi progetti nel quadro della Cooperazione Strutturata Permanente sulla Difesa, alcuni a guida italiana. Riconfermare quegli impegni sarà fondamentale. Entro le elezioni europee del 2019 andrà definita la sostanza della riforma dell’Ue. Macron ne ha proposto la rifondazione sulla base di una condivisione di sovranità su economia, difesa e migranti. Queste decisioni necessitano di un elevato livello di fiducia reciproca e impatteranno sulle scelte relative al bilancio dell’Ue e a quello da istituire dell’Eurozona, ai poteri fiscali e alle risorse proprie da attribuire al Ministro dell’Eurozona, alla possibilità o meno di emettere titoli europei per finanziare investimenti e beni comuni. Tutte cose per cui l’Italia si è battuta per prima, e di cui ha bisogno: siamo i primi beneficiari del Piano Juncker di investimenti, aumentarne la potenza di fuoco beneficia noi più di chiunque altro.

Nei grandi Paesi c’è solitamente continuità nella politica europea e estera, legate agli interessi strutturali di lungo periodo. Spesso il Quirinale ha svolto un ruolo importante in tal senso. Le conseguenze di un governo nazionalista contrario all’integrazione potrebbero essere diverse. L’Italia potrebbe finire nella periferia dell’Europa con i Paesi di Visegrad nel quadro di un’integrazione a geometria variabile. O la riforma potrebbe essere rimandata a tempi migliori. O essere disegnata in modo da rafforzare i vincoli per tutelarsi dai rischi di un Paese inaffidabile.
Molto dipenderà anche dalle scelte del centrosinistra, il cui appoggio, o la cui non ostilità - almeno sotto forma di astensione - potrebbe permettere la nascita di un governo stabile o di un governo di minoranza del centrodestra o del M5S. Condizionare qualunque forma di sostegno o di astensione ad una linea di continuità almeno nella politica europea potrebbe rassicurare i partner europei e aiutare l’Italia a giocare un ruolo costruttivo nella rifondazione di un’Europa unita, democratica, federale, che in fondo è stata sempre la bussola della politica italiana da De Gasperi ad oggi.