Come capo di gabinetto del presidente Jean-Claude Juncker, Martin Selmayr è stato la mano invisibile che in questo mandato ha guidato l’operato della Commissione. Tanto potente quanto brutale. Tanto intelligente quanto odiato. Fino a qualche settimana fa ci si domandava che ne sarebbe stato di lui. La risposta non ha tardato.
La mattina del 21 febbraio Juncker lo ha promosso a vice segretario generale della Commissione. Mezz’ora dopo, tra la completa ignoranza degli altri 28 commissari, Juncker, prendendo atto delle dimissioni del segretario generale Alexander Italianer, 61 anni, in carica da tre e ancora lontano dalla pensione, e del ritiro della candidatura di Clara Martinez, ha annunciato di avere scelto, sorpresa, proprio Selmayer come nuovo capo del carro europeo. I commissari hanno approvato senza fiatare.
Nel giro di un’ora Selmayer ha fatto la carriera che altri (pochissimi) completano in dieci anni. La stampa protesta, il parlamento convoca una discussione ?in assemblea plenaria. «La sua promozione flash distrugge ogni credibilità dell’Unione», tuona la deputata olandese liberale Sophie in’t Veld. «Se i commissari si fanno così facilmente imbambolare ?da un funzionario, come potranno difendere l’Europa dalla guerra commerciale con Trump?» ?le fa eco Françoise Grossetête del Ppe.
Intanto però Bruxelles è avvertita: la macchina elettorale per il 2019 è in moto. ?Il Ppe consolida le posizioni chiave. E le quotazioni a nuovo presidente europeo ?di Michel Barnier, sono in rapida ascesa.