Politica
19 febbraio, 2020

È ora che la destra moderata decida da che parte stare

Orban e Merkel
Orban e Merkel

In Germania c’è uno scontro durissimo nel partito della Merkel, ma anche in altri paesi si stanno definendo gli equilibri tra liberali e sovranisti. E il futuro dell'Unione Europea dipende anche da questo

Orban e Merkel
La democrazia liberale e lo stato di diritto sono a rischio in Europa e nel mondo. E più che dallo scontro tra destra e sinistra, dipendono da quello tra unità e divisione, gestione dell’interdipendenza e legge del più forte, condivisione della sovranità e nazionalismo. Molto dipende dal successo o meno dell’estrema destra nazionalista, un tempo marginale, nell’egemonizzare e svuotare quella moderata, nel dettarle l’agenda, ed usarla per nascondere le proprie tendenze autoritarie.

Il nazionalismo si sta affermano nelle maggiori potenze, producendo guerre commerciali e tensioni geopolitiche. Negli Usa l’estrema destra si è manifestata nel Tea Party e si è consolidata con la regia di Bannon e vari media che hanno disseminato fake news e lavorato con Cambridge Analytica con i noti metodi. Ha portato Trump alla nomination, contro la dirigenza Repubblicana, e poi alla Presidenza. La rete di Bannon ha sostenuto l’estrema destra anche in altri Paesi, tentando di creare un’alleanza nazionalista anti-Ue. In Europa si autodefiniscono sovranisti per evitare il portato storico di guerre e tragedie che il nazionalismo porta con sé. Ma nazionalismo e autoritarismo sono il collante ideologico di queste destre. Che nel mondo includono anche Bolsonaro in Brasile, Putin in Russia, Xi Jinping in Cina e Modi in India, con la fine dell’autonomia del Kashmir e la discriminazione dei musulmani.

In Europa la sfida è in corso. Quando per la prima volta l’estrema destra andò al governo in un Paese Ue - la FPÖ di Jorg Haider in Austria nel 1999 - i governi europei non collaborarono con quello austriaco, l’Ue sanzionò l’Austria, i partiti moderati chiesero agli austriaci di abbandonare l’alleanza. Ma non funzionò. Haider lasciò la leadership del partito ad una figura meno estremista e la coalizione durò fino al 2002. Lo sdoganamento avviato e lo spostamento a destra dei popolari austriaci avrebbero poi creato le condizioni per riproporre quell’alleanza nel primo governo Kurz.

Dentro e fuori
Ma Boris Johnson non è un “buffoon”
16/2/2020
Nel Regno Unito lo Ukip di Farage ha usato il successo alle elezioni europee del 2014, dovuto al proporzionale e alla bassissima affluenza, per spingere Cameron a promettere un referendum sulla Brexit, aderendo alla richiesta dello Ukip. L’inattesa vittoria dei Conservatori ha portato al referendum del 2016, in cui i Tories si sono spaccati, nonostante il Governo Cameron fosse per il Remain. La Brexit ha sostituito il pragmatismo britannico con una propaganda nazionalista incurante di dati e fatti, che pure Governo e Banca d’Inghilterra hanno fornito in quantità. Il tentativo di Johnson di “chiudere” il Parlamento nell’autunno scorso, frustrato dalle Corti britanniche, mostra le sue pulsioni autoritarie. L’alleanza, mediante desistenza, alle ultime elezioni tra il Brexit Party e i Tories ha spostato i Conservatori verso posizioni e candidati ancor più nazionalisti, e ha permesso loro di vincere grazie alla divisione delle forze pro-Remain.

In Ungheria e Polonia le forze di governo sono de facto di estrema destra, e demoliscono lo stato di diritto. In Spagna il Partito Popolare ha al suo interno frange provenienti dal franchismo, che spingono per l’alleanza con Vox, che è già avvenuta a livello locale. La leadership di Pablo Casado rafforza questa tendenza.

Da noi Forza Italia non riesce a svincolarsi dall’alleanza con Salvini e Meloni, nonostante la loro deriva verso l’estrema destra, come mostra il loro sostegno ai governi di Polonia e Ungheria. Che leader di Forza Nuova e Casa Pound sostengano che le loro posizioni siano ormai mainstream perché fatte proprie da Lega e FdI è un indicatore dell’evoluzione di questi ultimi. Che in Forza Italia vi sia chi auspichi l’adesione al Partito Popolare Europeo dei propri alleati italiani e il reintegro di Fidesz è indicativo di come in Italia fatichi a svilupparsi una destra moderata, liberal-democratica ed europeista. Mentre in Francia Emmanuel Macron ha creato una nuova formazione centrista ed europeista capace di assorbire parte dei voti gaullisti, evitando che finissero all’estrema destra della Le Pen. E ha vinto le elezioni anche grazie al sistema elettorale a doppio turno.

In Germania vari esponenti della Csu bavarese hanno posizioni ambigue: basti pensare all’iniziale apertura ai sovranisti di Manfred Weber nella campagna per le europee, che ha contribuito a precludergli la Presidenza della Commissione - a testimonianza che nell’Ue certe posizioni non pagano. Nella Cdu vi è uno scontro durissimo. In Turingia ha votato un Presidente dei Liberali insieme ai neo-nazisti di Afd, provocando l’intervento di Angela Merkel, che ha obbligato il neo-presidente e la leadership della Cdu del Land a dimettersi. Ma che succederà dopo Merkel? Kramp-Karrenmbauer ha inteso la scelta della Cdu della Turingia come un atto di sfiducia e ha annunciato le dimissioni da presidente del partito e quindi da candidata alla Cancelleria. I temi dei rapporti con l’Afd e della politica europea saranno decisivi nella scelta della nuova leadership della Cdu a fine anno. Intanto, la crisi politica indebolirà la Germania proprio durante il suo imminente semestre di presidenza del Consiglio dell’Ue.

Lo scontro decisivo in Europa è nei Popolari. Il Fidesz di Orbán da dentro cerca di portare il Ppe su posizioni nazionaliste e razziste, di freno dell’integrazione, contro la tradizionale linea politica popolare. Grazie allo “scudo” del Ppe Orbán ha instaurato la sua “democrazia illiberale”: un ossimoro per nascondere un regime autoritario - e accusato di uso improprio dei fondi Ue - che ha asservito la magistratura, i media, la società civile e la cultura, fino alla cacciata della Central European University da Budapest a Vienna. Eppure il Ppe ha sospeso Fidesz, ma non l’ha espulso, per rimanere il primo partito nel Parlamento Europeo. Sebbene Fidesz voti spesso con l’estrema destra, anche contro l’elezione degli ultimi due Presidenti della Commissione, i popolari Juncker e von der Leyen. Il nuovo presidente del Ppe, l’ex Presidente del Consiglio Europeo il polacco Tusk, è più rigido contro Orbán. Probabilmente sarà l’esito dello scontro per la leadership della Cdu a determinare gli equilibri nel Ppe. Da questo intreccio dipende molto del futuro della democrazia liberale e dello stato di diritto nell’Ue.

Di solito gli elettori preferiscono l’originale alla copia. I partiti moderati devono smarcarsi dai nazionalisti con una autonoma proposta politica per evitare di soccombere elettoralmente. Devono recuperare i fondamentali valori liberali, e dare messaggi chiari sull’importanza del mercato unico e dell’euro per le imprese, gli investimenti e l’occupazione. Denunciare che il messaggio sovranista danneggia l’economia, creando instabilità e l’aumento dei tassi di interesse. Ricordare che se su certi temi l’Ue non funziona, è perché non è (ancora?) una vera federazione, e le mancano le competenze e i poteri per agire in campi cruciali. Perciò la soluzione non è il ritorno alle sovranità nazionali ottocentesche, ma la costruzione di una sovranità europea, in grado di difendere interessi e valori europei sul piano mondiale, di fronte a Stati di dimensioni continentali come Usa, Cina, Russia, India.

La priorità e l’urgenza per la destra moderata, la sinistra, i liberali, i verdi - la maggioranza europeista che ha vinto le elezioni europee e sostiene la Commissione von der Leyen - deve essere il rafforzamento dell’Ue. L’estrema destra si nutre di grandi coalizioni incapaci di rendere l’Ue più capace di agire, abolendo i paralizzanti veti nazionali. Serve un’Ue che tuteli lo stato di diritto nei Paesi membri, anche subordinando l’erogazione dei fondi Ue al rispetto dei suoi principi fondamentali, su cui vigila la Corte di Giustizia. Con un governo federale che risponda alle esigenze dei cittadini - su economia, occupazione, ambiente, migranti, sicurezza - ricostruendo il consenso verso la democrazia liberale multi-livello. La Conferenza sul futuro dell’Europa deve avviare questa riforma. Altrimenti sarà un’occasione persa, che non ci possiamo permettere.

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