Il documento, scritto in caratteri cirillici, s'intitola: «Risoluzione per la revoca delle sanzioni e il riconoscimento della Crimea nel Parlamento italiano». È una scheda con sette colonne di testo e tre cifre finali: un piano di lavoro, con un preventivo di spesa. È stato redatto il 9 giugno 2016 dallo staff di un oligarca russo ultranazionalista, Kostantin Malofeev. I suoi collaboratori, scambiandosi quella e altre carte per email, fanno i nomi di una dozzina di parlamentari della destra sovranista europea, dalla Germania all'Austria, dall'Ungheria all'Italia. L'obiettivo di Malofeev è cancellare le sanzioni contro la Russia di Putin, decise dalla Ue nel 2014 per punire l'annessione della Crimea. Per ogni politico menzionato, nelle carte di Mosca viene riportata una «tariffa». Oppure un «prezzo indicato per la votazione».
Per l'Italia, come si legge nel documento russo, la risoluzione parlamentare viene affidata a un senatore, Paolo Tosato. Ma come «organizzatore» viene registrato il suo partito: «Lega Nord». La spesa preventivata dallo staff dell'oligarca è di «20 mila euro, più 20 mila di contributo, più 15 mila in caso di votazione favorevole».
La scheda fa parte di una serie di documenti ottenuti dal quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung, che li ha condivisi con L'Espresso e altre testate europee. Come riferito già nell'articolo pubblicato la settimana scorsa su lespresso.it, si tratta soprattutto di messaggi di posta elettronica, con relativi allegati, scambiati tra il 2013 e il 2019 da politici e portaborse dei partiti europei che hanno avuto rapporti diretti con il gruppo di Malofeev, chiamato Tsargrad (la città dello zar), che controlla anche una catena televisiva schierata con i «patrioti ortodossi» fedeli al presidente Vladimir Putin. Sono documenti raccolti dall’organizzazione Dossier Center, finanziata dal miliardario Mikhail Khodorkovsky, oppositore del regime di Putin, fuggito a Londra nel 2014 dopo nove anni di reclusione in Siberia.
Nei file così trapelati da Mosca non ci sono bonifici bancari: solo «piani d'azione», corredati dai preventivi di spesa. Il senatore Tosato non viene indicato come beneficiario dei versamenti, ma solo come presentatore della risoluzione filorussa. I documenti disponibili non permettono, dunque, di stabilire se il gruppo di Malofeev abbia davvero effettuato i pagamenti annotati e a chi siano finiti i soldi. Le carte confermano però altri fatti, collegati: l'oligarca di Mosca ha sicuramente stanziato almeno 40 mila euro per quella risoluzione. Che è stata effettivamente presentata dal parlamentare della Lega il 27 giugno 2016, diciotto giorni dopo la profetica annotazione russa.
Tosato è solo il primo dei sette firmatari dell'atto, tutti senatori della «Lega per Salvini», come è stato ribattezzato il partito fondato da Umberto Bossi dopo i processi e le confische per la truffa da 49 milioni dei rimborsi elettorali.
L'intervento pro-Putin ha una genesi particolare. Tosato è un parlamentare veronese radicato nel suo territorio, che raramente si occupa di questioni internazionali. Secondo testimonianze raccolte da L'Espresso, ha presentato quella risoluzione su richiesta del suo partito, utilizzando un precedente atto regionale veneto, in parte modificato dai vertici nazionali della Lega. In effetti la risoluzione numero 6-00189, che il Parlamento italiano ha respinto, risulta copiata quasi interamente da una delibera contro le sanzioni approvata il 15 maggio 2016 dal consiglio regionale veneto, con il voto favorevole di 27 consiglieri di tutto il centrodestra. L'atto approvato a Venezia, però, parlava solo della Crimea, ricordando tra l'altro che l'annessione del 2014 fu approvata da un referendum popolare.
La risoluzione dei senatori leghisti, invece, ha un'aggiunta finale di portata strategica: riguarda anche il Donbass, dove già allora era in corso il conflitto armato tra i separatisti filorussi e l'esercito di Kiev. La stessa regione che è tuttora al centro della guerra esplosa il 24 febbraio scorso con l’invasione russa dell’Ucraina.
L'oligarca Malofeev, ex banchiere statale, titolare di un ricco fondo d'investimento con base in un paradiso fiscale offshore, è stato sanzionato già dal 2014 soprattutto per il suo sostegno economico alle milizie filo-russe nel Donbass e in Crimea. Nello stesso periodo, come hanno poi rivelato i giornalisti francesi di Mediapart e Canal Plus, ha procurato al partito di Marine Le Pen prestiti a tassi agevolati per 11 milioni di euro, finanziati da banche statali russe attraverso le filiali di Cipro.
Nelle carte dell'oligarca, il preventivo di spesa per l'atto dei senatori della Lega è inserito in un file, intitolato «Risoluzioni in Austria e Italia», che contiene anche una seconda scheda.
Un'altra risoluzione, programmata a Vienna per i primi di luglio del 2016, che riguarda il partito di estrema destra Fpoe. Anche questo «piano d’azione» prevede l'intervento di un parlamentare, Johannes Hübner, vicepresidente della Commissione affari esteri, per spiegare che «le sanzioni contro la Russia provocano un danno irreparabile all'economia austriaca». Il costo preventivato dallo staff di Malofeev, in questo caso, è di «20 mila euro, più altri 15 mila in caso di votazione favorevole».
Molti dei documenti russi riguardano l'ex portavoce di Matteo Salvini, il leghista lombardo Gianluca Savoini, che nell'ottobre 2018 fu protagonista del famoso incontro all'hotel Metropol di Mosca per chiedere finanziamenti riservati per la Lega. Dalle nuove carte ora risulta che Savoini ha continuato almeno fino al 2019, nonostante quello scandalo, a fare da tramite tra l'estrema destra europea e il partito Russia Unita di Vladimir Putin, organizzando anche una missione a Mosca di tre parlamentari tedeschi dell'Afd.
Le carte dell'oligarca mostrano che anche altri atti firmati da politici italiani sono stati scritti sotto dettatura russa. In una serie di mail del 2015, ad esempio, il parlamentare leghista Claudio D'Amico, poi diventato consigliere di Salvini al ministero, ha concordato una mozione per il parlamento europeo con Alexey Komov, direttore della fondazione ultra-ortodossa di Malofeev, nonché responsabile per la Russia del Congresso mondiale delle famiglie. Komov è stato l'ospite d'onore dell’omonimo raduno della destra integralista organizzato nel 2019 a Verona con vari ministri della Lega.
Contattato dal giornale estone New Line a nome di tutte le testate che hanno realizzato questa inchiesta, Malofeev non ha smentito nessuno dei documenti pubblicati. Invece di rispondere alle domande, ha paragonato i giornali europei alla propaganda nazista ai tempi di Adolf Hitler. E ha accusato i cronisti di «attivare informazioni procurate dai vostri servizi segreti: americani, europei e britannici», chiudendo così il messaggio: «Vi aspettiamo a Mosca».
L'Espresso ha inviato domande dettagliate anche a Savoini, che non ha fornito alcuna risposta. L'ex portavoce di Salvini sembra confidare in una prossima archiviazione dell'indagine che lo riguarda. Le autorità russe infatti hanno ignorato le rogatorie inviate dalla Procura di Milano. Mentre le indagini italiane, pur confermando che Savoini a Mosca cercò davvero di procurare soldi alla Lega, non hanno provato che sia riuscito a ottenerli. Anche perché la trattativa finale con i colossi statali russi dell’energia, prima con Rosneft e poi con Gazprom, nel febbraio 2019, fu rovinata dallo scoop de L'Espresso.