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Fratelli d'Italia ci ripensa e ritira la norma sul carcere per i giornalisti

di Simone Alliva   16 aprile 2024

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Israele verso la risposta all'Iran. Trump alla sbarra. Alfa Romeo, in polemica col Governo, cambia nome alla Milano. I fatti del giorno da conoscere

Israele verso la risposta all'Iran, 'attacco imminente'
Israele risponderà all'Iran e l'attacco potrebbe essere "imminente". A poco meno di 48 ore dalla pioggia di droni e missili arrivati sul territorio dello Stato ebraico, il governo di Benyamin Netanyahu sembra aver fatto la sua scelta, mentre Teheran - che ha già messo in stato di massima allerta le sue difese aeree - ha ammonito che l'eventuale azione armata di Israele stavolta "avrà una risposta molto dura". L'operazione verso cui si sta dirigendo Israele si scontra con la forte opposizione Usa e di quella degli alleati che l'hanno affiancato nell'abbattere il 99% dei proiettili lanciati da Teheran. Joe Biden, che aveva frenato la reazione israeliana nelle prime ore, ha ribadito chiaramente che "occorre evitare un'escalation in Medio Oriente" ricevendo il primo ministro iracheno alla Casa Bianca. Mentre il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale John Kirby, dopo che erano filtrate indiscrezioni su un possibile coordinamento tra Gerusalemme e Washington, ha chiarito che "il governo israeliano deciderà da solo se ci sarà e quale sarà la risposta" all'affronto iraniano. "Gli Stati Uniti non sono coinvolti", ha sottolineato Kirby, definendo poi "uno spettacolare fallimento" l'offensiva di sabato di Teheran, quasi a blandire l'alleato israeliano, smentendo peraltro che Teheran "avesse fornito agli Usa tempi e target" dei raid.

"Non c'è altra scelta se non quella di rispondere all'attacco di Teheran", ha detto il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant al capo del Pentagono Austin. E anche il comandante dell'Idf, Herzi Halevi, ha confermato che "la risposta ci sarà". "Il lancio di così tanti droni e missili sul nostro territorio avrà la sua risposta", ha avvertito. Se la reazione armata appare a questo punto scontata, cruciale sarà capire come reagirà Teheran. Il gabinetto di guerra - che al dossier Iran ha già dedicato due riunioni e un'altra è in programma martedì - sta studiando "diverse opzioni". Ognuna delle quali, è stato spiegato, rappresenta "una risposta dolorosa" per gli iraniani, senza tuttavia rischiare di scatenare "una guerra regionale". Nel ristretto gruppo di ministri - da Netanyahu a Gallant a Benny Gantz - che deve prendere la decisione, l'obiettivo è quello di scegliere un'opzione che "non sia bloccata dagli Usa" e che rientri in una strada praticabile. Israele, fanno notare molti analisti anche in patria, non può ignorare del tutto le preoccupazioni degli Stati Uniti e degli altri alleati occidentali su un'escalation che avrebbe conseguenze devastanti per la regione e non solo. Così i vari scenari vanno da un contrattacco diretto sul territorio iraniano a operazioni che colpiscano gli alleati del regime degli ayatollah nella regione fino ad azioni mirate sui capi delle Guardie rivoluzionarie. Nella prima ipotesi, la più pericolosa, nel mirino potrebbero finire addirittura i siti legati al nucleare iraniano il cui programma, secondo il premier britannico Rishi Sunak, "non è mai stato a uno stadio così avanzato". L'Iran da parte sua ha messo in guardia Israele. "L'attacco limitato di sabato sera - ha affermato il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian in un colloquio telefonico con l'omologo russo Serghei Lavrov - mirava ad avvertire, scoraggiare e punire il regime sionista. Ma se Israele intraprenderà una nuova azione contro l'Iran, dovrà affrontare una risposta molto più forte".

Scholz da Xi: «Discuteremo di una pace giusta»
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha incontrato il presidente cinese Xi Jinping a Pechino. Lo hanno riferito i media cinesi nell'ultimo dei tre giorni della visita del cancelliere tedesco nel Paese principale partner commerciale della Germania. «Questa mattina il presidente Xi Jinping ha incontrato il cancelliere tedesco Scholz presso la Diaoyutai State Guesthouse a Pechino» ha detto l'emittente statale CCTV. Con Xi, Scholz ha discusso di una "pace giusta" in Ucraina. «Il mio incontro con il presidente Xi si concentrerà anche su come possiamo contribuire maggiormente a una pace giusta in Ucraina», aveva anticipato su X il cancelliere tedesco. La visita di Scholz mira a rafforzare le relazioni economiche, anche se il leader tedesco ha anche annunciato che avrebbe cercato di convincere Xi a usare la sua influenza per contenere la sua controparte russa, Vladimir Putin, e contribuire a porre fine alla guerra russa in Ucraina. La Cina, che si propone come attore neutrale nella guerra, è stata criticata dalle potenze occidentali per il suo rifiuto di condannare l'invasione russa dell'Ucraina. Accompagnato da una numerosa delegazione di ministri e uomini d'affari, Scholz ha iniziato la visita domenica nella città sud-occidentale di Chongqing, ha proseguito verso il centro economico di Shanghai e si è conclusa a Pechino. Oggi incontrerà il premier cinese Li Qiang e il comitato economico sino-tedesco.

Trump alla sbarra: «Processarmi è un attacco all'America»
Tra ingenti misure di sicurezza e centinaia di rappresentanti dei media accampati fuori dal tribunale sin dalle quattro di mattina, Donald Trump è arrivato a Manhattan per il primo processo ad un ex presidente nella storia degli Stati Uniti. Trentaquattro capi di imputazione e almeno due mesi di udienze, il procedimento per i pagamenti alla porno star Stormy Daniels è l'unico dei quattro a suo carico che arriverà a sentenza prima delle elezioni di novembre. "Lotto per la libertà di 325 milioni di americani. Questo processo è un attacco all'America", ha attaccato Trump poco prima di entrare in aula ribadendo di essere vittima di una "persecuzione politica". Il tycoon è accusato di aver falsificato documenti aziendali per nascondere un pagamento di 130.000 dollari all'attrice e regista hard nel 2016 in modo che non rivelasse la loro relazione. Secondo il procuratore Alvin Braggs, l'ex faccendiere Michael Cohen, uno dei testimoni chiavi, ha materialmente staccato gli assegni e poi è stato rimborsato dalla società di Trump che ha fatto passare le rate come "spese legali". Non solo, la procura di Manhattan imputa all'ex presidente altre due mazzette in cambio del silenzio sulle sue sregolatezze: una da 30.000 dollari ad un portiere della Trump Tower ed un'altra da 150.000 dollari alla coniglietta di Playbow Karen McDougall con la quale The Donald ha avuto una storia sempre nel 2016. Insomma, per l'accusa il tycoon aveva messo in piedi uno schema più ampio per tutelarsi dagli scandali durante la corsa alla Casa Bianca che poi ha vinto. Anche per questo la procura chiamerà sul banco dei testimoni McDougall, l'editore del National Enquirer, il tabloid vicino all'ex presidente che si sarebbe fatto carico dei pagamenti a quest'ultima, e Hope Hicks, ex manager della campagna e poi direttrice delle comunicazioni alla Casa Bianca. Gli avvocati di Trump hanno elaborato una strategia difensiva basata, come riferiscono i media americani, sulle tre 'd', delay, deny and denigrate ovvero 'ritarda, nega e denigra'. Per la parte diffamazione, il lavoro è quasi esclusivamente affidato a Trump che, nonostante l'ordine del silenzio da parte del giudice Juan Merchan, continua a pubblicare post al vetriolo contro Daniels e Cohen accusandoli di volta in volta di essere "bugiardi, opportunisti" e perfino "sacchi della spazzatura". Per quanto riguardi i tempi del processo i legali dell'ex presidente puntano sulla lentezza fisiologica del sistema giudiziario americano - devono ancora essere scelti i membri della giuria su oltre 200 candidati - e su una serie di espedienti piò o meno efficaci. Il giudice ha già bocciato la loro richiesta di ricusazione per un presunto conflitto di interessi (sua figlia lavora per un'azienda legata al partito democratico) sostenendo che si basava su "una serie di riferimenti, allusioni e speculazioni non supportate". Ha invece lasciato una porta aperta su un'altra mozione della difesa, quella di non permettere a Trump di non essere presente alla seduta del 17 maggio per poter partecipare al diploma del figlio 18enne Barron. "Vedremo a che punto del processo saremo", ha risposto Merchan che ha anche stabilito che non ci saranno udienze il mercoledì. Sull'esito del procedimento è ancora troppo presto per esprimersi. Le accuse contro il tycoon sono tutti crimini di classe E, la categoria più bassa a New York, e ognuno comporta una pena detentiva massima di quattro anni di carcere. Merchan ha già chiarito che prende sul serio "i reati di colletti bianchi", perché di questo Trump è accusato al di là degli affaire con le sue amanti, e potrebbe mandarlo dietro le sbarre ma potrebbe anche concedergli la libertà vigilata. In ogni caso, a meno di un passo indietro suo o del partito repubblicano, nulla impedirà a The Donald di continuare a correre per la Casa Bianca e, in caso di vittoria, a guidare gli Stati Uniti anche con la tuta arancione. 

Alfa Romeo, in polemica col Governo, cambia nome alla Milano
La nuova Alfa Romeo Milano dopo la polemica con il governo cambia nome: la prima compatta sportiva del Biscione si chiamerà Junior. «Pur ritenendo che il nome Milano rispetti tutte le prescrizioni di legge, e in considerazione del fatto che ci sono temi di stretta attualità più rilevanti del nome di una nuova auto, Alfa Romeo decide di cambiare il nome da Milano a Junior, nell'ottica di promuovere un clima di serenità e distensione», ha spiegato Jean-Philippe Imparato, amministratore delegato del brand, che ha confermato la produzione a Cassino della nuova Stelvio nel 2025 e della nuova Giulia nel 2026, mentre nulla è stato ancora deciso sui modelli del 2027. «La cautela è importante, faremo il nostro piano industriale sulla base di considerazioni che riguardano competitività e clienti. Questo vale per tutte le vetture che faremo in Italia», ha sottolineato. Soddisfatto il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che nei giorni scorsi aveva definito "illegale" la scelta del brand Stellantis di produrre in Polonia il nuovo modello Alfa Romeo con il nome Milano "perché viola la legge sull'Italian Sounding".

«Credo sia una buona notizia - ha commentato Urso - che giunge proprio nella giornata del made in Italy che esalta il lavoro, l'impresa, la tipicità e la peculiarità del prodotto italiano che tutti ci invidiano nel mondo. Una buona notizia, che penso possa esaltare il lavoro e l'impresa e consentirci di invertire la rotta, anche per quanto riguarda la produzione di auto nel nostro Paese». Il presidente dei senatori di Fratelli d'Italia, Lucio Malan, parla di «una vittoria del governo Meloni che dal giorno del suo insediamento sta portando avanti una battaglia per la tutela e il rilancio del Made in Italy". Per Imparato, che non ha sentito il ministro, "il caso è chiuso": "Non procediamo legalmente, abbiamo da lavorare. Il nome sarà cambiato su tutti i mercati dove l'auto sarà venduta. Per noi il senso non è fare polemica, ma fare business» ha spiegato il manager che ha incontrato anche i concessionari.

«In una delle settimane più importanti per il futuro di Alfa Romeo - ha detto il ceo del brand del Biscione - un esponente del governo italiano dichiara che l'utilizzo del nome Milano, scelto dal marchio per chiamare la nuova compatta sportiva appena presentata, è vietato per legge. Il nome Milano, tra i favoriti del pubblico, era stato scelto per rendere tributo alla città dove tutto ebbe origine nel 1910. Non è la prima volta che Alfa Romeo chiede il parere del pubblico per scegliere il nome di una vettura. Successe già nel 1966 con la Spider 1600: in quel caso il nome scelto dal pubblico era stato Duetto».

Il nuovo nome junior è un omaggio al passato. «Una scelta del tutto naturale, essendo fortemente legato alla storia del marchio ed essendo stato fin dall'inizio tra i nostri preferiti e tra i preferiti del pubblico. Era al secondo posto dopo Milano», ha sottolineato Imparato. «Siamo perfettamente consapevoli - ha affermato il manager - che questo episodio rimarrà inciso nella storia del marchio. È una grande responsabilità ma al tempo stesso è un momento entusiasmante. Come team scegliamo ancora una volta di mettere la nostra passione a disposizione del marchio, di dare priorità al prodotto e ai clienti. Decidiamo di cambiare, pur sapendo di non essere obbligati a farlo, perché vogliamo preservare le emozioni positive che i nostri prodotti generano da sempre ed evitare qualsiasi tipo di polemica. L'attenzione riservata in questi giorni alla nostra nuova compatta sportiva è qualcosa di unico, con un numero di accessi al configuratore online senza precedenti, che ha provocato il crash del sito web per alcune ore». Imparato ha concluso con una battuta: «È come avere lanciato due modelli in pochi giorni, prima la Milano e poi la Junior. Siamo davvero unici».

Passo indietro di FdI sul carcere per i giornalisti
Fratelli d'Italia ci ripensa e ritira il pacchetto di 15 emendamenti presentati al disegno di legge sulla diffamazione che ha come primo firmatario Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato. Ad annunciarlo è il senatore di FdI Gianni Berrino che li aveva depositati in Commissione Giustizia lo scorso 11 aprile scatenando l'ira delle opposizioni. L'accoglienza della maggioranza agli emendamenti che prevedevano il carcere per il giornalista fino a 4 anni e mezzo e sanzioni pecuniarie fino a 120mila euro era stata piuttosto gelida tanto che FI, con Pierantonio Zanettin, e la Lega, con Giulia Bongiorno, ne avevano preso le distanze.

La presidente della Commissione Giustizia aveva convocato subito una riunione di centrodestra che resta confermata nonostante l'annuncio del ritiro. E infatti i capigruppo di maggioranza in Commissione Giustizia si vedranno alle 14 nello studio della presidente Bongiorno, poco prima dell'inizio dei lavori parlamentari. «Cosa si deciderà in quella sede non lo so - risponde Berrino - perché non so leggere il futuro. Quello che posso dire è che come relatore posso presentare emendamenti in qualsiasi momento e che quelli che avevo depositato li ritiro tutti, non solo i 2 in cui si prevede il carcere».

Nelle proposte di modifica, criticate dal centrosinistra, dall'Ordine dei giornalisti e dalla Fnsi, si prevedeva tra l'altro un inasprimento delle pene nel caso in cui l'offeso fosse un politico o un magistrato e l'interdizione sino a 2 anni dall'esercizio della professione giornalistica. Nonostante il ritiro degli emendamenti, la segretaria Pd Elly Schlein continua a dirsi "preoccupata" per la "libertà di stampa". E mentre a Bari sta per aprirsi il processo per diffamazione nei confronti dello storico Luciano Canfora querelato dalla premier Giorgia Meloni, la capogruppo M5S in Commissione Ada Lopreiato invita a "tenere alta la guardia" pur parlando di "tentativo di FdI fallito".

Soddisfatta per il ripensamento di FdI è la senatrice Avs Ilaria Cucchi che considera gli emendamenti contrari alla giurisprudenza della Consulta e della Cedu. «Resta comunque un testo liberticida», commenta il presidente della Fnsi, Vittorio Di Trapani. Alla Camera, intanto, sul ddl Nordio, quello che elimina il reato di abuso d'ufficio limitando fortemente anche quello sul traffico d'influenze, la maggioranza fa muro e decide di non presentare alcuna proposta di modifica per lasciare il testo così com'è stato approvato dal Senato. Anche Azione avverte, con Enrico Costa, che non proporrà cambiamenti per evitare che "tornando a Palazzo Madama il ddl si possa arenare". Il resto delle opposizioni, invece, di emendamenti ne ha già depositati 116.