Personaggi e interpreti
Cosa insegnano Francia e Gran Bretagna ai proporzionalisti di casa nostra
I laburisti nel Regno Unito e il partito di Marine Le Pen Oltralpe hanno preso la stessa percentuale dei voti. Ma da una parte governeranno con larga maggioranza, dall'altra sono fuori dai giochi. Per questo la legge elettorale non è solo una questione tecnica
Quello che è successo nel giro di tre giorni in Gran Bretagna e in Francia ha qualcosa di clamoroso. A Londra il Partito laburista, che ha raccolto il 33 per cento dei voti, ha stravinto le elezioni e ha conquistato i due terzi dei seggi. A Parigi, invece, il Rassemblement National, pur avendo superato al primo turno il 33 per cento (e al secondo addirittura il 37) è stato nettamente sconfitto e dovrà accontentarsi di un quarto dei seggi. Stessa percentuale, esiti opposti.
Al contrario di ciò che pensa chi sostiene che i meccanismi delle leggi elettorali sono solo technicalities, dettagli tecnici che devono seguire e non precedere le evoluzioni della politica, questa è la dimostrazione che le leggi elettorali sono determinanti nei cambiamenti politici.
Poi, certo, bisogna stare attenti alle differenze, che sono importanti. Sia gli inglesi sia i francesi, per esempio, votano con il sistema dei collegi uninominali, nei quali vince un solo candidato. Però in Gran Bretagna si vota in solo turno (uninominale secco) che è una spinta permanente verso il bipartitismo, mentre in Francia vige il doppio turno, che favorisce le alleanze e permette quella desistenza che si è rivelata fatale per madame Le Pen.
Noi italiani osserviamo tutto questo come se fosse qualcosa di esotico, perché ci siamo sempre tenuti stretti un multipartitismo che dal 1948 a oggi ha prodotto 380 sigle e 558 simboli, spezzettando la rappresentanza in nome della democrazia perfetta. In realtà una chance per passare all’uninominale secco l’abbiamo avuta, nel 1999, ma purtroppo quel referendum – nonostante il 91 per cento di sì – fallì perché il quorum non fu raggiunto per soli 150 mila votanti. Così adesso, dopo la parentesi del Mattarellum, siamo tornati alla proporzionale. Con le liste bloccate, per giunta.
Di tutto questo porta una pesante responsabilità quella parte della sinistra che dal 1984 – quando si aprì il dibattito sulla Grande Riforma – ha sempre rifiutato il sistema inglese, con la motivazione che il bipolarismo non si addice all’Italia, preferendo di volta in volta il sistema tedesco (metà proporzionale e metà uninominale) o quello francese (uninominale a doppio turno). Non ha ottenuto né l’uno né l’altro. Ma la storia, che non aspetta i tempi biblici della politica italiana, nel frattempo ci ha mostrato che negli ultimi vent’anni la Germania ha visto uscire solo due volte dalle urne una maggioranza di governo, mentre per la maggior parte del tempo è stata governata da una Grande Coalizione in cui gli avversari erano costretti a una guardinga collaborazione. Adesso la stessa cosa sta succedendo in Francia, dove Emmanuel Macron dovrà convincere chi fino a ieri lo attaccava da sinistra a condividere con il suo partito la responsabilità di governare.
Insomma, dopo il sistema tedesco anche quello francese si è rivelato incapace di garantire comunque la governabilità e l’alternanza, e a turno tutti e due sono finiti in una palude all’italiana. A differenza del sistema inglese, che anche stavolta ha funzionato perfettamente, permettendo il ritorno di un laburista a Downing Street. Ma neanche questo farà cambiare idea a quella sinistra che continua a difendere il proporzionale, mentre Giorgia Meloni va avanti con il suo premierato di sartoria, disegnato su misura per lei.