Nel classico stile trionfalistico che lo contraddistingue, Donald Trump aveva presentato l’annuncio dello stop ai raid contro gli Houthi come una propria vittoria: un conseguenza della resa dei ribelli yemeniti, che con i loro bombardamenti a navi mercantili occidentali, partiti all’indomani 7 ottobre del 2023, stanno mettendo a dura prova il commercio via mare tramite lo stretto di Bad al-Mandab, a Sud del canale di Suez. Ma secondo il New York Times, la fine della campagna militare sarebbe dettata non tanto dalla capitolazione degli Houthi quando dai costi sempre più elevati dell’operazione. Trump, secondo il quotidiano statunitense, avrebbe cercato un’exit strategy dopo che il gruppo yemenita continuava a resistere con successo alle forze statunitensi, e a quelle francesi e inglesi impegnate in quel teso tratto di mare, le quali hanno perso negli scorsi mesi un consistente numero di droni Reaper e due caccia di ultima generazione.
Oltre un miliardo di dollari in un mese
Secondo il New York Times, la campagna è costata - solo nel primo mese di amministrazione Trump - oltre un miliardo di dollari e, secondo funzionari statunitensi che hanno scelto di rimanere anonimi, il rischio è quello di rimanere a corto di munizioni che un domani potrebbero servire a Taiwan per difendersi da un futuro attacco della Cina. Sempre secondo il Times, l'idea di una tregua è stata avanzata dagli emissari dell’Oman tramite l'inviato degli Stati Uniti per il Medio Oriente, Steve Witkoff, mentre mediavano i colloqui sul nucleare tra Washington e Teheran. Israele e' stato colto alla sprovvista dalla tregua, annunciata pochi giorni dopo che un missile ha colpito l'aeroporto Ben Gurion, ferendo diverse persone e scatenando pesanti attacchi israeliani sulle infrastrutture Houthi, incluso il principale aeroporto di Sana'a. Da allora gli Houthi hanno continuato a lanciare missili contro Israele, di cui uno e' riuscito a bucare i sistemi di difesa aerea israeliani e far scattare le sirene di avvertimento
Costi elevati già emersi nelle chat su Signal
Che all’interno dell’amministrazione Trump ci fosse più di un malumore per una campagna, quella contro i ribelli yemeniti, considerata troppo costosa era già emerso nelle chat riservate su Signal poi pubblicate dal direttore dell’Atlantic (che avevano alzato un polverone e che hanno portato alle dimissioni di Mark Waltz dalla carica di consigliere per la Sicurezza nazionale). In quell’occasione si discuteva proprio dei preparativi dei raid contro gli Houthi e, tra i contrari alle operazioni, c’era il vicepresidente JD Vance. Perché - questo era il suo ragionamento, in pieno stile “America First” - da Suez passa solo il 3 per cento del commercio Usa, mentre vi passa il 40 per cento di quello europeo e c’è un “rischio reale” che gli americani non capiscano “perché è necessario intervenire”. “Spieghiamo all’Egitto e all’Europa cosa ci aspettiamo in cambio - aveva scritto il consigliere politico di Trump, Stephen Miller - deve esseri un guadagno economico se gli Stati Uniti ripristinano con successo la libertà di navigazione”. La questione, anche allora, prima che politico-militare era squisitamente economica.