L'onda di arrivi dei profughi siriani continua a crescere e i centri di accoglienza sono strapieni. Finora sono tutti ammassati in una ex scuola dove i servizi sanitari sono forniti da un ambulatorio di Emergency, che però non riesce a seguire tutti

Alle dieci e mezza di sera del 6 settembre sulla banchina del porto commerciale di Augusta, in provincia di Siracusa, la macchina dell'emergenza è schierata di fronte all'ennesimo carico di disperazione.

Tira un vento gelido e il rumore del gruppo elettrogeno del faro che illumina il molo è assordante. Camionette di carabinieri e polizia, uomini della guardia costiera e della protezione civile. Pettorine del ministero della salute. Mascherine. A bordo della motonave che li ha soccorsi a trenta miglia dalla costa ci sono uomini di tutte le età, con t-shirt e zaini in spalla, tutti in fila per la visita medica di rito, secondo il protocollo della profilassi internazionale. Malattie respiratorie, corona virus, sars. Si controlla il torace e la rigidità della nuca, per escludere la meningite. E l'attaccatura delle dita delle mani, dove si annidano gli acari della scabbia.
Le donne e i bambini, arrivati a terra qualche ora prima, erano tutti bagnati e in ipotermia. Gli uomini, chissà come mai, no. Eppure erano tutti e 293 sulla stessa imbarcazione di tre piani, stipata all'inverosimile, avvistata da uno degli elicotteri del Frontex che sorvolano quotidianamente le frontiere liquide dell'Europa.

L'atmosfera è surreale. A terra c'è la stanchezza di chi immagina la notte insonne e le ore di lavoro straordinario non pagato. A bordo c'è chi parla al cellulare, chi è assorto, con lo sguardo perso nel buio. O almeno così sembra, nel display della macchina fotografica. Impossibile avvicinarsi oltre il cordone sanitario, per motivi di igiene e di sicurezza. Di sicurezza e di rischio per la cittadinanza per l'arrivo dei profughi ha parlato il ministro Angelino Alfano quella stessa mattina a Siracusa, epicentro dell'emergenza sbarchi.

Il vicepremier non ha visitato i centri che ospitano gli immigrati clandestini e in conferenza stampa, mentre la comunità internazionale discuteva di un possibile intervento contro il regime di Assad, spiegava: "Non profughi da un teatro di guerra, ma immigrati di serie A, che scelgono di proseguire per i paesi del Nord".

Anche le promesse del ministro restano vaghe. Saranno incrementate le commissioni che esaminano le richieste di asilo e il numero dei posti (16 mila) nella struttura dello Sprar, cioè l'accoglienza per chi ha già lo status di rifugiato. E alla domanda sui costi e sulle modalità di gestione dell'Umberto I, il luogo che dall'inizio dell'estate è la struttura temporanea per gli immigrati clandestini alle porte della città, il ministro non risponde.

L'ente gestore dell'Umberto I, un edificio di tre piani che nel passato era un istituto scolastico, è la onlus Clean service, e il suo responsabile è Gianpiero Parrinello, che non nasconde di aver fatto carriera nel centro per immigrati di Cassibile, finito qualche anno fa nelle cronache giudiziarie.

Dall'inizio dell'anno la Clean service ha operato in accordo con la Prefettura, che la autorizzava ad aprire un centro di costo per ogni sbarco per fornire un letto, i pasti e un kit essenziale: slip, maglietta, dentifricio, spazzolino, asciugamano, lenzuola usa e getta, shampoo. Con un rimborso di 25 euro al giorno a presenza. Dalla firma della convenzione, cioè dal 19 agosto, la quota è aumentata di 5 euro ogni due giorni, per le schede telefoniche degli ospiti. Bagni e docce sono insufficienti e la fogna è già scoppiata una volta. I materassi sono ai limiti e la fornitura autorizzata per i 400 nuovi non è ancora arrivata.

L'ex istituto Umberto I non è una struttura governativa, spiega la Prefettura, cioè né un Cie, né un Cara. Ma una struttura di emergenza e temporanea, per la permanenza di 24/48 ore. Le frequenze quotidiane degli sbarchi hanno stravolto le presenze nelle strutture accreditate sul territorio. Il Cara di Mineo (3000 posti) a pochi km da Catania e il CSPA di Pozzallo (130 posti letto) ormai scoppiano. Così non sorprende che l'ennesimo arrivo dal mare crei il caos e la fuga di un centinaio di eritrei nell'area portuale recintata che è il CPSA gestito dal Comune del ragusano.

A vigilare sulle condizioni igienico sanitarie dell'Umberto I e a fornire servizi sociosanitari il Comune di Siracusa ha delegato Emergency, che da metà luglio ha un ambulatorio mobile parcheggiato nell'area del centro, ma i suoi operatori non riescono a gestire tutte le richieste e a fornire assistenza per i casi più complicati.

I genitori di una bambina nata durante la navigazione hanno tolto la flebo alla neonata e hanno lasciato l'ospedale di Noto dov'era in cura senza un documento che attesti la sua nascita. Lo zio architetto è venuto in auto dal Belgio dove vive a prendere la sua famiglia sbarcata il giorno prima e doveva ripartire al più presto per tornare al lavoro. L'altro zio non lo vedrà mai: è stato ucciso da un cecchino a due passi dall'Università, ad Aleppo, mentre mangiava delle patatine.

Darin e il marito Tariq invece, sono andati chissà dove con il certificato di nascita di Maren, nata il 24 agosto durante la traversata iniziata da Alessandria d'Egitto. Così recita la dichiarazione firmata davanti alla funzionaria dello stato civile di Siracusa.

Yousef, 23 anni, ha aspettato quasi una settimana per seppellire sua madre Nuhad, che soffriva d'asma e di diabete ed è morta durante il viaggio per mare in fuga dalla Siria, due giorni dopo il suo compleanno. Il padre ha raggiunto un figlio in Svezia ed è Alì, un marocchino che ha una bancarella davanti alla stazione dei bus, che lo aiuta a spiegare le regole di una sepoltura con il rito islamico, che verrà pagata dal Comune. Un'altra donna siriana morta di ictus in ospedale ha donato gli organi ed è volata a Malta per la sepoltura. È lì il cimitero islamico più vicino.

Per chi sa trasformarsi in volontario, sa come muoversi e ha qualche aggancio gli sbarchi possono diventare un vero affare. "L’emergenza, come qualsiasi calamità naturale, richiede risultati immediati" dice Ramzi Harrabi, tunisino, che a Siracusa vive da 11 anni ed è presidente della Consulta degli immigrati della città "C’è chi lavora per iniziativa personale e chi sa di poter contare sul politico di turno che gli passerà dei fondi. Non c’è una rendicontazione seria e tutto si svolge nell’improvvisazione assoluta. Nei centri per i migranti, ad esempio, non ci sono mediatori culturali riconosciuti".

Un altro centro di accoglienza è stato aperto in gran fretta l'8 agosto a Priolo, perché un caso di tubercolosi aveva costretto alla sorveglianza sanitaria 150 persone sbarcate a Portopalo. È gestito dall'associazione Papa Francesco e la sede è quella dell'impresa di vigilanza di un ex consigliere provinciale, Francesco Napoli. Mentre la coordinatrice del centro che ospita una settantina di minori non accompagnati è Simona Princiotta, da poco eletta con oltre 600 voti nel consiglio comunale di Siracusa in una lista di centro destra ed ex assessore in una delle giunte precedenti. Il costo giornaliero per un minore non accompagnato è di 70 euro al giorno e sulla carta è a carico del Comune dove è sbarcato, ma i sindaci di Priolo e Siracusa si rimpallano le responsabilità e i rimborsi, per adesso, non arrivano.

Alle sei del pomeriggio del 9 settembre all'Umberto I arrivano i pullman con le famiglie siriane sbarcate la mattina a Portopalo. C'è un caldo torrido, ma due ragazzini seduti accanto al conducente indossano canottiere di lana. Qualcuno saluta timidamente, prima di scomparire dietro le sbarre del cancello. Da oggi c'è un tesserino identificativo e una lista degli ospiti, una quarantina in tutto. Un poliziotto che l'indomani riparte per il Nord, commenta al telefono con un collega "Ci voleva una donna a mettere un po’ d’ordine all’Umberto I".

Da una decina di giorni è a Siracusa il vice questore aggiunto Lina Iervasi. Nell'elenco ci sono eritrei, somali, nigeriani. Alcuni sono arrivati da mesi e attendono di incontrare la Commissione per la richiesta di asilo e un trasferimento a Mineo, che chissà mai se avverrà. I siriani, invece, non sono in lista perché ripartiranno tra uno o due giorni. Sono identificati, ma senza impronte digitali, perché nessuno di loro richiede asilo in Italia. L'indomani mattina escono in gruppetti e popolano le strade del quartiere di case popolari dove non c'è un autobus, in cerca di un mezzo per la stazione o in attesa di autisti improvvisati che sfruttano la situazione.

In città c'è chi racconta di corse di pochi km pagate 400 euro, di informazioni essenziali sugli orari dei treni pagate a caro prezzo, di mezzi che prelevano piccoli gruppi che proseguono il viaggio via terra pagando 600/900 euro a persona.

Majed, 54 anni, insegnava arabo in una scuola in una zona abitata da profughi palestinesi, vicino a Damasco.

È smarrito, non avrebbe mai voluto lasciare la Siria. Ma ha pagato 20 mila dollari per attraversare il Mediterraneo ed è qui con la moglie e i suoi sei figli, il più piccolo ha undici anni. Ola ne ha 19, ha la pelle chiarissima e uno sguardo dolce. Tira fuori da una busta una specie di pagella e una foto preziosa: è con il presidente e sua moglie, che nel 2009 l'hanno ricevuta e premiata come studente più brava del paese. Era al secondo anno di medicina, ma è sfollata quattro mesi fa, dopo che la casa è stata colpita dalle bombe e semidistrutta. Dalle bombe lanciate da Assad. Mi mostra le foto sul suo iPhone: c'è una rosa gialla tra le macerie.

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