
Similmente, quando gli si chiede a bruciapelo perché un melomane che ama i consueti capolavori di Verdi da “Trovatore” a “Falstaff” dovrebbe interessarsi alla “Giovanna d’Arco”, con la quale aprirà la stagione della Scala il prossimo 7 dicembre, non usa perifrasi o giustificazioni, ma afferma perentorio: «Quest’opera è una necessità imprescindibile per chi ama i suoi Requiem, “Aida”, “Rigoletto”, “Macbeth” e “Traviata”. Molti brani di queste partiture che le ho elencato sono in embrione già presenti, e molto evidentemente, in questa “Giovanna d’Arco”».

Ma le affinità e le citazioni di “Giovanna d’Arco” non riguardano solo queste cinque opere. Andando al dettaglio, «nel prologo il profilo musicale e psicologico di Carlo VII è quello che sarà sviluppato nel “Don Carlo” e nel primo atto avvertiamo l’incipit, lo scatto del “Dies irae”: si gira insomma intorno alle stesse note, con la stessa veemenza. Mentre il duetto finale del primo atto prefigura il duetto del secondo atto di “Un ballo in maschera”.
La marcia del secondo atto porterà poi un’idea sinfonica sia nella scena dell’autodafé di “Don Carlo”, sia nella marcia trionfale di “Aida”. E la figura di Giacomo, padre di Giovanna, sarà sviluppata in Rigoletto. Mentre nel terzo atto, nella scena del rogo, troviamo elementi comuni con l’ultimo atto del “Trovatore”. Infine la scena della battaglia lascerà tracce nella successiva “Forza del destino”».

Proprio all’inizio del mese Chailly, direttore principale (dal 2017 musicale) della Scala, ha aperto con un concerto la stagione sinfonica della Filarmonica scaligera, della quale ha assunto il ruolo di guida stabile. L’orchestra fondata da Abbado che, formata dalla maggioranza dei professori scaligeri, affronta il repertorio sinfonico affiancandolo all’attività lirica. Spiega Chailly: «Fa parte della tradizione del teatro, da quando Toscanini volle dare all’orchestra, sin dalla sua nascita votata al melodramma, anche un’identità sinfonica. Il cimentarsi in tale repertorio, sugli autori del Novecento e sui contemporanei, aggiunge una maturità e una duttilità stilistica che può poi riverberarsi sui linguaggi già noti dell’opera».
Nel primo concerto è stata eseguita la Terza sinfonia di Rachmaninov, l’indizio di una futura integrale. «Tre sinfonie mature più una giovanile, che è un gioiello di dodici minuti, e le danze: un totale di cinque pagine orchestrali che desidero mettere in programma anche nelle nostre tournée internazionali».
Questi grandi autori russi hanno una facilità melodica paragonabile a quella degli italiani. «Trovo che ci sia un pericolo di equivoco storico nei confronti di Rachmaninov e di Ciaikovskij, il suo maestro spirituale», obietta Chailly, «simile a quello che c’è stato per Puccini. Il loro lirismo è stato frainteso per troppo tempo. Un errore di lettura che nasce da interpretazioni che hanno dato un profilo non esatto di quelli che sono il significato e i pregi ultimi del messaggio e dello stile di questi grandi autori. Il rigore formale della scrittura di Rachmaninov, così come di quella di Puccini o di Ciaikovskij, oltre che il rispetto delle loro indicazioni metronomiche, ci fanno capire quanto sia importante, per comprenderli pienamente, l’eccezionale valore armonico, insieme al formidabile talento nell’orchestrazione. Per fortuna ci sono grandi interpreti che hanno saputo rimanere nei canoni del rigore e se uno ascolta in cd la “Bohéme” diretta da Toscanini o le sinfonie di Ciaikovskij da Mravinskij ha degli esempi di riferimento».
La Scala, la Filarmonica scaligera, dal 2016 il prestigioso Festival di Lucerna: Chailly ha “ereditato” tre importanti cariche da Claudio Abbado. Gliene chiediamo una memoria a quasi due anni dalla morte: «Gli dedicherò il primo concerto a Lucerna, con l’Ottava sinfonia di Mahler che non vi diresse mai. Di lui ricordo l’attitudine di un camerino sempre aperto, accessibile a tutti, la totale apertura al dialogo e al confronto musicale, segno di un atteggiamento che ha lasciato in me tracce durevoli, oltre ai suoi insegnamenti professionali. Tanta leggerezza sul piano dei rapporti interpersonali conviveva in lui con una ferrea determinazione nello studio, nel realizzare i progetti, nel non scendere a compromessi. Ci rivedo percorrere insieme con gli occhi le partiture delle Sinfonie di Brahms a cui aggiungeva notazioni sempre importanti e puntuali da riportare poi in sede di concertazione. Questo lavoro di scavo nella partitura è stato parte integrante della mia formazione e, sedimentato e trasformato dall’esperienza personale, è rimasto nelle mie interpretazioni».
Abbado fu sempre contro il taglio dei fondi statali agli enti culturali. «È un segnale allarmante. Qualsiasi sia l’orientamento, giustificato dai fatti, dagli eventi o dalla situazione generale economica: posso capire, ma non approvare. La cultura è patrimonio dell’umanità. Ma non per una generazione: per sempre».