Negli istituti italiani è un boom di cause legali. I genitori ormai vanno dal giudice per ogni motivo: voti bassi, note sul diario, docenti severi. E i presidi non ne possono più

I voti? Non li decide il professore, ma il magistrato. Che può trasformare il cinque in pagella in una sufficienza. Ormai la vita della scuola finisce sempre più nelle aule di giustizia, dove spesso la realtà si capovolge o diventa paradossale. Così la punizione a uno studente bullo può costare il carcere all'insegnante, la correzione sul registro di classe diventa un processo per "falso in atto pubblico". E una caduta dalle scale di un bambino si trasforma in un contenzioso legale decennale, anche quando il piccolo al momento dell'incidente stava dando la mano al papà. Protagonisti sono soprattutto i genitori, che fanno scudo ai loro figli con le carte bollate intasando i tribunali di cause civili e penali. Mentre cattedre e carriere sono appannaggio dei giudici del lavoro, sommersi dalle richieste nell'era dei blocchi e dei tagli della riforma Gelmini. Così, mentre per via giudiziaria si riscrivono le graduatorie e si impongono assunzioni - è proprio per scongiurare un contenzioso di massa che è arrivata in extremis la regolarizzazione di 65 mila supplenti annuali - deflagra davanti al giudice anche il conflitto tra scuola e famiglia. Con esiti spesso disastrosi per entrambe.

Promossi dal giudice
Dei circa 50 mila avvocati che esercitano a Roma (sono più che in tutta la Francia) molti si concentrano nel quartiere Prati, dalle parti del palazzo di giustizia. Non stupisce quindi che proprio qui, in una scuola media intitolata al poeta romanesco Belli, un bravo legale sia riuscito a ribaltare pure le leggi della matematica, trasformando i 5 in 6. E il Tar, accogliendo il ricorso di una famiglia contro la bocciatura del figlio, ha decretato che il 5 non è una vera e propria insufficienza. Il ragazzo nel giugno dell'anno scorso, s'era preso 5 in quattro materie: matematica, scienze, inglese e francese. Il giudice s'è fatto pedagogo e ha concluso che si trattava di "insufficienze non molto gravi". Il guaio è che la sentenza è arrivata diversi mesi dopo il fattaccio. Risultato: nel bel mezzo dell'anno, l'alunno che stava ripetendo la seconda media è stato da un giorno all'altro portato in terza, e adesso si prepara agli esami. Mentre l'avvocatura di Stato, che aveva difeso la scuola nel processo, ha deciso di alzare le braccia e non fare ricorso. Eppure la legge Gelmini sul ritorno dei voti diceva chiaro e tondo che si viene promossi solo "con voto non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina".

Un'eccezione? Un pasticciaccio tipicamente romano? Non si direbbe: ormai agli scrutini si accompagna un'ondata di cause legali, che spostano le promozioni dalle pagelle alle sentenze. "L'anno scorso, appena chiuse le scuole sono arrivate una trentina di famiglie solo al mio studio, anche se sanno che noi non facciamo con facilità queste cause", racconta Isetta Barsanti Mauceri, avvocato di Firenze. In realtà lei si trova di solito a difendere gli insegnanti più che le famiglie, alle quali spesso dà consigli poco graditi in toscano schietto: "Se il tuo figliolo è ciuco resta ciuco, anche se vinciamo la causa". Ma dal suo osservatorio privilegiato, 15 anni a occuparsi di questioni scolastiche in tribunale, spesso in assistenza alla Cgil, può raccontare cosa sta cambiando nel contenzioso tra scuola e famiglie: "Prima gli insegnanti si rivolgevano a noi per essere difesi nel loro rapporto di lavoro, adesso sempre più spesso devono difendersi dai genitori". E non solo quelli prestigiosi del liceo Berchet di Milano, che qualche mese fa hanno messo in fuga alcuni professori ritenuti incapaci. "Se la stessa situazione accade in una elementare della Val Trompia passa inosservata, ma il problema c'è lo stesso: sono saltati tutti i filtri, adesso appena succede qualcosa si scrive al ministro o si va dal giudice, non ci si rivolge al preside o alla direzione regionale", dice Mario Maviglia, ispettore negli istituti milanesi. E in una scuola sempre più esposta alle turbolenze della società e sempre più povera di risorse, può accadere di tutto: si va dal giudice non solo per contestare un brutto voto o per farsi ammettere all'esame di Stato, ma anche per contestare la composizione delle classi o la mancanza di insegnanti di sostegno. Ricorsi a caro prezzo. "Agli avvocati conviene fare il ricorso piuttosto che un esposto all'ufficio scolastico competente", dice la Barsanti Mauceri, che fa due conti in tasca alle famiglie che pagano: almeno mille euro di spese vive, più 4-5 mila di parcella per l'avvocato.

Ne vale la pena? Nel ramo infortuni, può darsi che l'investimento frutti. O, almeno, questo è il miraggio che scatta appena un bambino si fa male a scuola, soprattutto alle materne ed elementari. "C'è un'assicurazione che copre i danni, ma si va dal giudice pensando che così si otterranno più soldi", dice Barsanti Mauceri, facendo un paragone con quello che succede con gli incidenti stradali. Solo che in questo caso gli imputati sono insegnanti e bidelli, e la scena dell'incidente tipica si può descrivere così: "Un bambino cade e si rompe un incisivo, la maestra raccoglie il frammento e corre a metterlo nel latte caldo (così si potrà recuperare), poi scrive la relazione per il dirigente. Pochi giorni dopo arriva la diagnosi del dentista: costo della riattaccatura, impatto sulla vita adulta, probabile necessità dell'apparecchio. Parte una super-richiesta di risarcimento danni, l'assicurazione dice di no o tira fuori qualche cavillo, a quel punto l'avvocato inizia la causa in tribunale". Causa civile, in questo caso, contro la scuola. Che poi, se sarà condannata, avrà diritto di rivalersi sull'insegnante o sul bidello responsabili, che potranno essere chiamati a rispondere di colpa grave o dolo. Magari dopo anni.

Ma non è solo questione di infortuni, soldi e cavilli. Giorgio Rembado, presidente dell'Associazione nazionale presidi, elenca cause vecchie e nuove: "La valutazione, i provvedimenti disciplinari: soprattutto alle superiori, accade spesso che le famiglie si accorgano solo troppo tardi del fatto che le cose non vanno. Anche se poi non è che il Tar può rifare le pagelle, può sospendere il provvedimento solo per vizi di forma e non giudicare nel merito". Di solito i magistrati si limitano a vedere se tutti gli atti sono formalmente corretti, se erano presenti tutti i prof, se non manca qualche firma... Poi ci sono i ricorsi di tipo nuovo, legati alla povertà di fondi e risorse: "Sono esplose, soprattutto in Lombardia, le cause per le ore di sostegno e i ricorsi per le iscrizioni, dato che spesso ci sono più domande che posti e alcuni restano fuori". Anche se il contenzioso sui disabili e sulle ammissioni è dovuto più a scelte politiche generali (tagli) che al comportamento delle scuole stesse, "il conflitto esplode sempre nella scuola". E dimostra, insieme agli scontri su pagelle ed esami, un generale "incattivimento dei rapporti tra la famiglia e la scuola".

Condannata la prof
"Se mio figlio è un deficiente, lei è una gran cogliona". Altro che incattivimento, alla scuola Silvio Boccone di Palermo si è andati oltre. La professoressa Giuseppa Valido non è stata solo insultata per iscritto con questa frase dal papà di un suo alunno, ma è stata poi condannata a un mese di carcere per "abuso di mezzi di correzione". Aveva fatto scrivere a un ragazzo per cento volte sul quaderno: "Sono un deficiente". Adesso la prof è in pensione, ma ancora le si incrina la voce quando ne parla: "Non era una punizione, né un insulto: era un modo per far riflettere il ragazzo su quello che aveva fatto". Insieme ad altri, aveva impedito a un ragazzino della classe l'accesso al bagno dei maschi, apostrofandolo come "gay" e "femminuccia". "Volevo anche richiamare l'attenzione dei genitori, parlarne con loro". Ma il padre del ragazzo punito ha mandato gli avvocati, con perizia dello psicologo attestante i danni ricevuti, ed è partito il processo penale: assolta in primo grado, la professoressa Valido, insegnante di lettere dal 1973, è stata condannata in appello, e a una pena persino raddoppiata rispetto a quella chiesta dall'accusa. La scuola non l'ha accusata di niente, ma non l'ha neanche difesa: l'avvocato se l'è pagato da sola, con il contributo di una raccolta spontanea fatta da un gruppo di colleghi che le hanno mandato circa 3 mila euro. "Ma quello che mi pesa è non essere stata compresa per quello che ho fatto: se c'è una situazione difficile a scuola (e in quella scuola ce n'erano spesso), io intervengo, non posso lavarmene le mani e far finta di niente. Viviamo in una società in cui si giustifica tutto, la scuola non può farlo".

Figli padroni
Un caso limite, una situazione estrema? "Tutti parlano sempre della perdita di autorevolezza della scuola, ma non si guarda a quel che è successo ai genitori", sottolinea Giusi Milani, ex coordinatrice degli ispettori scolastici della Lombardia. Cos'è successo ai genitori? "Sono subordinati alla volontà dei figli: abbiamo una generazione di adolescenti sovraprotetti e di famiglie che hanno grandissime difficoltà a gestirli. Per farlo, ci sarebbe bisogno di un'alleanza con la scuola, che invece è venuta meno". Milani non assolve però il suo campo: "Se questo è successo, è anche per un incattivirsi dei docenti, che si sentono attaccati da tutte le parti. Per di più l'età media di maestre e professori è molto alta e capita che i più anziani, che hanno più strumenti per affrontare le situazioni, soffrano per uno scarto di età molto pesante. Mentre i più giovani sono pochi e spesso meno preparati sul piano pedagogico-didattico". Qualche esempio lo dà Lamberto Montanari, preside emiliano. "I docenti spesso non sono preparati bene alla comunicazione con le famiglie. E a volte fanno cose sbagliatissime. Se una maestra non riesce a tenere una classe perché ci sono dei problemi, e comunica questo ai genitori, senza però offrire una soluzione, non fa altro che portare all'esterno un problema che doveva essere risolto nella scuola, e questo è devastante. Succede persino che famiglie si coalizzino per chiedere l'allontanamento dei soggetti che disturbano, questo è tremendo, è la negazione dei compiti della scuola".

Lo stesso discorso vale per i brutti voti non accettati dai genitori, "che vanno comunicati durante l'anno", spiega. Ma qui c'è un problema in più: "I criteri di valutazione non sono chiari, i genitori ragionano in base ai loro vecchi parametri, spesso non capiscono quel che la scuola dice e si ribellano". Oppure, quando lo capiscono, si ribellano lo stesso e vanno dal giudice per ottenere un ribaltamento della decisione: "È una fuga davanti alle difficoltà, una scorciatoia che però, va detto, non riguarda solo la scuola". Ma che nella scuola può essere letale. Per dirla con le parole del preside Montanari: "Difficile pensare alla formazione, alla comunicazione, al futuro dei ragazzi, se un genitore incontra il preside e dice: "Io con lei non discuto, parli con i miei avvocati"".

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