Cuba, Fidel, la libertà

Da ragazzi avevamo tutti in camera il poster di Che Guevara.  Ma nulla può giustificare la repressione delle idee. E delle persone 

«Vi lascio in eredità tutte le mie paure, ma anche la speranza che presto Cuba sia libera», scrisse su un biglietto Reinaldo Arenas, nel 1990, prima di suicidarsi. Scrivo queste righe per i miei lettori più giovani, per quelli meno avvelenati dalle ideologie miopi, per quelli che sono venuti dopo, che sono venuti quando non c’erano più giustificazioni né alibi. Per quelli che sono cresciuti considerando fondamentali alcune forme di libertà, che sono cresciuti senza i racconti della miseria del periodo post bellico e non per questo sono incapaci di empatia con chi soffre. Per quelli che non pensano che la sofferenza sia cosa normale, accettabile in nome di un ideale più alto, di un ideale imposto e non condiviso. Scrivo per chi è cresciuto nell’era del politicamente corretto e ha imparato che i comportamenti omofobi non sono frutto di leggerezza ma di omofobia e possono avere conseguenze gravi.

Scrivo per quei lettori che possono percepire l’ingiustizia per quello che è, a prescindere da dove si compia e da chi ne sia il responsabile. A loro chiedo: come mai se Erdogan chiude giornali facciamo fiaccolate e se a Cuba era possibile leggere solo lo squallido Granma è tutto nella norma? A me queste sembrano ovvietà e ancora mi stupisco quando, parlando dei regimi totalitari del Sudamerica, c’è ancora chi si accanisce nel difendere Fidel Castro o Hugo Chávez. Impossibile esprimere critiche senza essere chiamati servi dell’imperialismo nordamericano. Cianfrusaglie ideologiche che negano anni di arresti, persecuzioni, miseria.

Dichiarare che Cuba sia stato un regime totalitario senza libertà d’espressione e senza libertà di voto non significa parteggiare per gli Stati Uniti. Dire che a Cuba dissidenti e omosessuali erano perseguitati, non significa essere miopi davanti ad altre persecuzioni analoghe. Mentre Cuba perseguitava Reinaldo Arenas, l’Italia perseguitava Pasolini, questo ha scritto qualcuno sulla mia pagina Facebook, invitandomi a smetterla di parlar male di Cuba: dato che tutti perseguitiamo, smettiamola di parlare di persecuzioni! Eppure questi racconti sono verità frutto di analisi, riscontri, descrizioni. Quando si parla delle dittature “rosse”, mi avvertono in questi giorni, bisogna sempre farlo con cautela per non essere fraintesi. Ma è un ricatto perché non esiste fraintendimento possibile. Non mi piace il sistema Usa, non mi piace il sistema cubano. Criticare il primo non significa parteggiare per il secondo. Criticare gli Usa non significa stare con Erdogan o con Putin. Piccolezze da estremismo pensarla così. Da haters.

Quando ero ragazzino, ingenuamente, avevo anche io in camera il poster di Che Guevara, affascinato da idee che invece nella loro realizzazione generarono miseria, corruzione, illibertà. L’assenza di libertà elettorale a Cuba non può essere giustificata con «se facciamo libere elezioni gli americani finanziano l’opposizione». E la miseria non può essere giustificata con «è l’embargo» mentre l’isola veniva svenduta ad hotel, resort e locali “per soli turisti”. Cuba prima della rivoluzione era il bordello americano in mano alle cinque famiglie mafiose italoamericane. Vero. Ma da molti anni è tornato a essere un bordello per turisti con il silenzio assenso del Líder Máximo. «Sistema educativo e sanitario all’avanguardia e gratuito per tutti» in parte è cosa vera e per alcuni anni è stato così (oggi però si fatica a raggiungere livelli di efficienza): ma davvero questo giustifica l’assenza di libertà politica? Chi voglia capire davvero cosa sia accaduto a Cuba dopo la rivoluzione, spero possa trovare il tempo per leggere “Prima che sia notte” di Reinaldo Arenas, poeta perseguitato dal regime castrista per la sua omosessualità, imprigionato e torturato. Spero possa leggere “Cuba Libre” di Yoani Sanchez, che è riuscita a garantirsi uno spazio di libertà attraverso il Web, cercando ovunque, in clandestinità, connessioni per comunicare con il resto del mondo.

Spero possa leggere Carlos Franqui e la sua monumentale “Cuba, la rivoluzione: mito o realtà? Memorie di un fantasma socialista”. Franqui, che era stato al fianco di Fidel e Che Guevara nel Movimento 26 luglio, in questo libro racconta in quale triste regime si fosse trasformato il socialismo reale caraibico. Studiare, leggere, capire e non cadere nella trappola che avere posizioni critiche verso un sistema ci rende automaticamente partigiani del sistema rivale. Non è così. Anche capire questo significa essere liberi, di una libertà che ho imparato dai dissidenti cubani. E colpisce vedere che gli stessi che magari criticano il governo italiano per non essere stato eletto, trovino assolutamente naturale che un uomo possa essere a capo di un Paese per mezzo secolo, per poi passare lo scettro a suo fratello. Davvero basta rispondere: «Saviano contestualizza, Cuba è un’altra cosa»? Cuba è la coperta di Linus e con la morte di Castro, intere generazioni che hanno creduto di cambiare il mondo attraverso la rivoluzione, hanno visto la nostalgia di quel sogno infrangersi definitivamente.

Molte persone che stimo e a cui voglio bene hanno verso Cuba e Castro questa nostalgia per l’idea più che per quello che è stato realmente realizzato. Mia madre è tra queste persone. E non sopportano chi racconta come quel sogno sia diventato un incubo. Consiglio di leggere “Koba il terribile” di Martin Amis: è il racconto dei comunisti inglesi - e Amis è legittimato a parlarne perché figlio di un esponente del Partito comunista inglese negli anni Quaranta - che si erano rifiutati di riflettere seriamente su come, negli anni, l’Idea con la “I” maiuscola avesse coperto crimini. Cuba di Castro è un idea che in pochi vogliono vedere cosa sia diventata. Il mio impegno costante di questi anni è stato dimostrare come capitalismo legale e capitalismo criminale si siano ormai sovrapposti, come tra loro non esistano più confini; ma la mia critica al capitalismo contemporaneo non mi rende però amico dei regimi totalitari, di Castro, Assad, Gheddafi, Putin. Per me la regola “amico dei nemici” non vale, è una scorciatoia.

Negli Stati Uniti, dove vivo da molti anni, vedo un sistema protezionista dove l’Europa (sul piano culturale, ma non è cosa da poco) è percepita come una sorta di esotismo da colonizzare. Gli Usa sono il paese con il più alto tasso di popolazione carceraria. Il sistema giudiziario non garantisce equità, spesso imputati afroamericani innocenti patteggiano condanne perché sanno che il pregiudizio delle giurie popolari gli farebbe rischiare molti molti anni di carcere. Questo non mi piace, ma non può piacermi nemmeno l’ostracismo con cui viene accolto il racconto dei dissidenti cubani, di chi negli anni si è opposto a Castro ed è stato piegato. Un’isola dove era vietato l’accesso a internet, dove esiste un’economia binaria, dove i turisti sono padroni e la maggior parte degli autoctoni ha meno di niente. Ma che risposta è: «Anche in Europa e in Usa ci sono diseguaglianza e povertà, indigenza e ingiustizie»? Da noi ci sono libere elezioni e quando proviamo a denunciare sospetti di voto di scambio nessun giornalista viene incriminato, incarcerato, obbligato a ritrattare. La nostra democrazia è claudicante e da migliorare, non mi sognerei però di migliorarla con un partito unico.

«Ma a Cuba i seggi sono presidiati da bambini non dall’esercito»: vero, ma esiste un partito unico e nessun altro partito oltre quello, un partito che ha costruito un racconto di sé non vincente, ma ideale: il sogno che chiunque può nutrire di poter contare qualcosa, di non avere contro altri candidati con più mezzi e più possibilità. Un sogno confezionato per noi, non per i cubani che hanno invece un unico partito che ufficialmente non compete, ma che dà l’indirizzo. Come se tutto questo fosse normale, accettabile, democratico. E chiunque faccia un racconto diverso è fascista, sionista, servo. Anche Gheddafi ufficialmente non aveva nessun incarico né si candidava alle elezioni: lasciava che il popolo scegliesse gli amministratori. Carlos Franqui voleva costruire un mondo in cui non si dovesse rispondere ai crimini con altri crimini, cosa che avrebbe snaturato la rivoluzione. Arrivò a dire che il sistema castrista aveva superato per morti e arresti l’orrore batistiano. Per molti queste parole sono dolorosissime da leggere, ascoltare, capire, ma chiedo approfondimento perché l’insulto, quando si parla di dittature di sinistra, è l’unica arma che l’estremismo utilizza. Mi danno del fascista o dell’imperialista ( sic!) solo perché voglio ragionare. È fascista chi cita Franqui quando dice: «Non ero nato né per diventare un signor comunista né un signor borghese, sarei sempre stato uno del popolo, era quello il mio mondo. Ma se allora avevo perduto un partito e un ideale, adesso perdevo una rivoluzione e una patria». Questo Franqui lo dice quando capisce che Cuba è diventata un regime nascosto dietro ideali, che non ci sono elezioni libere, che puoi andare a votare Castro o non andare a votare, venendo così facilmente identificati. Secondo gli hater estremisti è fascista chi ricorda Heberto Padilla, arrestato nel 1971 insieme a sua moglie Belkis Cuza Malé, perché accusato di scrivere letteratura controrivoluzionaria. Mario Vargas Llosa, Julio Cortázar, Susan Sontag, Jean-Paul Sartre, Octavio Paz, Juan Goytisolo, Federico Fellini e Alberto Moravia, tutti noti fascisti filo americani al soldo della Cia, chiesero la sua liberazione e da allora non misero più piede, per esprimere dissenso, a Cuba. La risposta di Fidel agli intellettuali fu il discorso “Niente sarà concesso fuori dalla rivoluzione”, un discorso disgustoso che dice chiaramente questo: o sei rivoluzionario (ossia stai con me e la mia famiglia) o sei un nemico. Padilla, come Reinaldo Arenas, fu arrestato e torturato. È fascista ricordarlo? Padilla ebbe attenzione, Arenas fu praticamente cacciato da Cuba e morì suicida. E ancora c’è chi ricorda: «Ma Fidel non ha cacciato solo gli indesiderati, ha cacciato anche la mafia da Cuba: vero. Mussolini mandò mafiosi al confino, Hitler arrestò i criminali: questo legittima forse i regimi? Nessun parallelismo tra dittature tanto distanti tra loro, sarebbe una scorciatoia, ma dovremmo avere anticorpi per la propaganda e invece non ne abbiamo, siamo scoperti, vulnerabili. Per tornare libero, Padilla, ritrattò i suoi scritti, dovette dire che tutto quello che aveva scritto era falso. Abiura, Padilla, ma poi dirà: «Quando a un uomo mettono davanti quattro mitragliatori e lo minacciano di tagliargli le mani se non ritratta, di solito acconsente, anche perché le sue mani sono necessarie per continuare a scrivere».

È fascista ricordare queste parole e ricordare anche Huber Matos Benítez che aveva fatto la rivoluzione insieme a Castro, ma non voleva che il Partito comunista cubano fosse l’unico partito. Aveva una visione democratica per Cuba: scontò venti anni di carcere. Raúl e Che Guevara lo avrebbero condannato a morte per fucilazione, ma Fidel non voleva farne un martire. Venti anni di carcere per non aver voluto il partito unico: è fascista ricordarlo? Il sogno che portò a rovesciare Fulgencio Batista era vero, era autentico, come il sogno della rivoluzione, ma dopo sono venuti anni di dittatura. Come diceva Sandro Pertini, in continuità con i fratelli Rosselli, non può esistere nessuna forma di socialismo e di riforma sociale senza la libertà. Lo ripeterò anche se continueranno a riempirmi di improperi e fango in nome di tutti i dissidenti, incarcerati, a Cuba come negli Stati Uniti, in Russia come in Turchia. 

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