Se i gay adottano ?i bimbi orfani di guerra

In Colombia hanno deciso che le coppie omosex potranno dare una famiglia ai figli dei caduti nel conflitto civile. Una lezione di umanità e di civiltà

La Colombia è un luogo estremo. In sé porta una quantità radicale di bellezza e dannazione. I problemi che la affliggono sono talmente gravi e importanti che ogni semplificazione farebbe torto alla sua storia e alla nostra comprensione.

Tutto lì sembra essere sinonimo di corruzione, narcotraffico, appoggio palese alle organizzazioni paramilitari, riciclaggio. Eppure la Corte Costituzionale trova il tempo per legiferare su argomenti che apparentemente con le piaghe che affliggono il Paese non hanno attinenza. Che apparentemente non hanno alcun potere di porvi rimedio. Che apparentemente sono solo perdita di tempo. Apparentemente però.

Quando in Italia, non molto tempo fa, in Senato si è discusso il Ddl Cirinnà, il dibattito ha avuto toni accesi e ciascuno si è sentito in dovere di esprimere la propria opinione. Non intendo solo politici, giornalisti, scrittori e opinionisti di mestiere, ma proprio tutti. Della stepchild adoption si è detto che fosse l’anticamera della maternità surrogata, e a dirlo è stato anche chi ha candidamente ammesso di non sapere affatto come funzionasse la maternità surrogata nei paesi in cui è legale. A dirlo è stato soprattutto chi non ha chiaro un meccanismo fondamentale: dove non ci sono leggi, non ci sono diritti. Dove non ci sono leggi, ci sono vittime. E comunque il dibattito sulle adozioni si è focalizzato essenzialmente su due punti: il presunto egoismo di chi a tutti i costi desidera diventare genitore e l’assunto, che non ha alcuna controprova nella realtà, che un individuo dovrebbe nascere, crescere o essere adottato solo da una famiglia tradizionalmente composta da madre e padre, donna e uomo.

Come è possibile non notare che da un dibattito così orientato manca il soggetto. Un soggetto che sembra esserci, ma che non c’è. Nella premessa, vacua e fintamente paternalistica, di chi pretende di avere a cuore il destino dei bambini, i bambini si riducono a mera occasione per affermare principi che hanno più a che fare con il dogma che con istanze umanitarie.

Al contrario in Colombia, democrazia fragile e incompiuta, al centro della decisione della Corte Costituzionale, che ha reso legittima prima la stepchild adoption (febbraio 2015), poi l’adozione per coppie gay (novembre 2015) e infine, pochi giorni fa, il matrimonio gay, ci sono i destini dei tanti bambini resi orfani dalla guerra civile, che hanno diritto a crescere in famiglie e non nelle strutture che ora li accolgono. Di questo ho scritto su Facebook e alcuni commenti mi hanno spinto ad approfondire l’argomento. «Parli di coppie gay quando in Colombia si reprime l’opposizione», «Che senso hanno queste leggi in un narcostato?», «La Colombia non ha nulla da insegnare all’Italia» e infine «Con tutti i problemi che abbiamo dobbiamo pensare alle coppie gay?».

Studio la Colombia da molti anni e, se i problemi di criminalità sono tantissimi, è un dato di fatto che la Corte Costituzionale di Bogotà, stabilendo che i diritti dei cittadini eterosessuali e omosessuali debbano essere equiparati, ha dimostrato che si può avere senso civico pur avendo problemi urgenti da risolvere. Per di più, la possibilità per coppie dello stesso sesso di contrarre matrimonio, viene dopo quella di poter adottare.

E qui è fondamentale notare come al centro del dibattito ci siano, da sempre, non barricate in difesa della famiglia tradizionale, ma i diritti dei minori e soprattutto, come dice la Corte «aquellos en situación de abandono, a tener una familia»: il diritto che i bambini in situazioni di abbandono, vittime della guerra civile, hanno a poter far parte di una famiglia. La Corte Costituzionale di Bogotà sottolinea come l’orientamento sessuale non abbia alcuna connessione con l’idoneità a crescere un figlio.

Una lezione di civiltà, io la chiamo così: voi utilizzate pure le categorie che preferite. Se la guerra civile ha creato una situazione di profondo e insanabile disagio, si può e si deve trovare un modo ragionevole per porvi rimedio. Ma qui da noi, senza guerra e senza morti (per fortuna!), i diritti di tutti, e per primi quelli dei bambini, vengono utilizzati come mero strumento per parlare di altro, per affermare altro. Nel paese dei Family day non esistono reali politiche a sostegno della famiglia e non esiste ragionamento. Perché a pensarci bene, magari, chi è debole non vorrebbe essere semplicemente difeso, ma anche e soprattutto rispettato.

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