Al tempo delle petizioni, delle richieste quotidiane (serissime e necessarie) di prendere parte contro un’ingiustizia, contro discriminazioni, contro ciò che nel mondo non funziona e che non si può affatto prendere alla leggera, capita che un’iniziativa goliardica considerata magari poco efficace, abbia sortito invece effetti incisivi per la ricerca scientifica.
Era l’estate di due anni fa, estate 2014, e sui social network partì l’ice bucket challenge che a molti sembrò solo un modo per mettersi in mostra. Ricordo i commenti di chi criticava la platealità della donazione, ricordo commenti del tipo: «Se vuoi fare del bene non c’è bisogno di farlo sapere». Una doccia fredda e una donazione: non sarebbe meglio donare in silenzio? Che idiozia. Non c’è cosa più sana e più importante di rendere pubblico il buon esempio, perché possa incoraggiare altri a seguirlo, perché lo si possa imitare, perché si possa avere voglia di fare lo stesso, di fare di più.
Grazie alle secchiate d’acqua gelata immortalate e diffuse in rete (si calcola che i video caricati siano stati 17 milioni per un totale di 440 milioni di click) la rivista inglese “Nature Genetics” informa che non solo sono stati raccolti oltre 100 milioni di euro, ma che questi fondi hanno finanziato diversi progetti di ricerca sulla Sla e che due in particolare hanno portato all’individuazione di geni considerati responsabili dello sviluppo della malattia. Inorgoglisce poi sapere che agli studi hanno partecipato anche ricercatori italiani.
Quindi ben vengano le donazioni plateali, quelle fatte anche ostentando, se il risultato è questo. Ero un bambino appassionato di cartoni animati giapponesi e non sapevo, cosa che ho poi scoperto dopo, che in Giappone emulando la magnanimità dell’Uomo tigre, agli orfanotrofi sono arrivate negli anni moltissime donazioni anonime sotto il fantomatico nome di Naoto Date, l’uomo che nel manga indossa la maschera del Tigre. Il buon esempio è ciò su cui la società, per prima cosa, calibra le proprie azioni.
Del resto, se il mondo provassimo a osservarlo, per una volta, dalla prospettiva della ricerca scientifica, non potremmo fare a meno di essere ottimisti. È notizia delle scorse settimane la creazione di una proteina ingegnerizzata in grado di inibire lo sviluppo delle cellule tumorali. I risultati di questo studio sono stati pubblicati da un’altra rivista inglese, “Nature Chemical Biology”, e in Italia è stata diffusa dai media trentini perché dei dieci ricercatori che hanno lavorato al progetto, una parte provenivano dall’Università di Trento che insieme all’Università di Washington ha finanziato il programma di ricerca.
Avvicinarsi alla conoscenza della Sla, fare progressi nella lotta ai tumori, tutto questo ha un’evidente finalità, quella di rendere tangibile il raggiungimento di una felicità terrena (se mai esistesse altra felicità, diversa da questa) che passa anche per la cura di malattie che fino a qualche tempo fa non davano scampo.
E quindi la ricerca scientifica, il finanziamento di progetti di studio, sono anche questo: piccoli passi verso una felicità che deve appartenere a tutti e che migliorerà, come ha sempre fatto, la vita non solo di chi è malato, ma anche dei familiari, di chi ama persone malate e se ne prende cura.
E nei giorni di Nizza, nei giorni della paura del diverso, della paura di muoversi, di viaggiare, ma non solo; nei giorni della paura di uscire, di andare in discoteca o al ristorante, di andare a un concerto, mi ha colpito la foto del gruppo di ricerca del laboratorio del professor Paolo Macchi dell’Università di Trento. Sei giovanissimi ricercatori e sorridenti, due uomini e quattro donne (nella ricerca le quote rosa sono ovviamente, e in maniera del tutto naturale, rispettate) di cui una con i capelli coperti dal velo. Guardare quella foto mette di buon umore e dà speranza, molta. Speranza e consapevolezza che la ricerca scientifica non ha sesso e non ha religione, speranza che finalmente il mondo lo si cominci a osservare da questa angolazione, che è una prospettiva di ottimismo che non resta mai ferma al palo, che non va mai indietro, che non ha ideologie e non ha colore politico ma che della politica talvolta è succube, di quella miope, di quella che non comprende che la ricerca scientifica è anche e soprattutto ricerca della felicità.
Camorra10.11.2011
Quel processo, la mia speranza