Salute
10 luglio, 2025

Sì alla medicina palliativa, no a suicidio assistito e gpa. Studi sul trapianto d’organi da animali. Parla il nuovo presidente della Pontificia Accademia per la Vita Renzo Pegoraro

Le sfide della bioetica globale

Monsignor Renzo Pegoraro, quali sono le sfide principali che la Pontificia Accademia per la Vita, di cui lei è il nuovo presidente, si trova a fronteggiare nel contesto attuale, caratterizzato da rapidi cambiamenti scientifici e culturali?

«È necessario tener presente la varietà delle situazioni a livello mondiale, per evitare il rischio di restare concentrati più sui problemi del contesto occidentale, europeo o nord americano. Le istanze quindi sono diverse, sia in termini di sviluppo economico, sia di sviluppo scientifico e tecnologico. Alcune sfide urgenti sono legate a come garantire buone cure e buona assistenza nei diversi contesti. Parliamo quindi di risorse sanitarie, di uguaglianza e pari dignità, all’interno di un’assistenza sanitaria basata su criteri di equità e accesso universale. Un tema molto importante, soprattutto nel mondo occidentale, riguarda il fine vita. Vedo qui diversi aspetti. In primo luogo in Occidente a volte sembra che desideriamo avere un eccesso di cure, per ritardare in tutti i modi, anche in modo irragionevole, la fine della nostra vita, che è certamente un evento traumatico e difficile ma inevitabile, prima o poi. In ogni caso diciamo certamente che lo sviluppo tecnologico nel settore della medicina e l’allungamento della vita sono fatti positivi e quindi da garantire a tutti. Ma attenzione a non sfociare in quello che anche la Chiesa chiama “accanimento terapeutico”. Oggi veramente si preferisce parlare di “ostinazione clinica”, per riferirsi a procedure che vengono messe in atto quando non c’è più nulla da fare per evitare la morte e si rischia di realizzare interventi sproporzionati senza un reale beneficio per il paziente. Serve dunque un dialogo nel rapporto col paziente. Medico, paziente e familiari valutano quello che viene proposto e quello che è fattibile. L’obiettivo è il bene globale, integrale del paziente, tenendo conto della sua libertà e della sua volontà. Quando questo poi si traduce in criteri legislativi, è questione che va declinata nei vari contesti sociali, culturali e giuridici. Nel rispetto del paziente è necessario evitare forme di accanimento o di ostinazione. Si tratta di un dovere morale, come pure evitare soluzioni come il suicidio assistito o l’eutanasia, per cui sembra che non ci sia una reale possibilità di un buon accompagnamento che eviti da un lato l’accanimento, dall’altro l’accorciamento della vita, come il suicidio assistito o l’eutanasia». 

Lei cosa pensa che dovrebbe essere sempre evitato e prevenuto?

«La proposta positiva dell’Accademia riguarda la diffusione delle cure palliative, per tutti. La medicina, che da un lato allunga la durata della vita umana, dovrebbe essere in grado anche di accompagnare le persone nella fase terminale, senza medicalizzare eccessivamente. Da questo punto di vista, faccio notare che ad esempio il suicidio medicalmente assistito, diventa comunque un’altra forma di medicalizzazione. Quindi la volontà del paziente va sempre rispettata e il paziente va accompagnato nel suo percorso terminale, assicurando sostegno psicologico e spirituale. Altro, evidentemente, è chiedere al medico di agire attivamente per aiutare a commettere un suicidio».

Medicina e bioetica costituiscono due pilastri importanti del suo percorso professionale. Qual è il valore della bioetica e in che modo impatta nelle scelte quotidiane? E come può aiutare a orientare la ricerca scientifica senza frenare l’innovazione e garantire il rispetto della persona?

«Come medico, certamente la medicina ha segnato un momento importante nella mia vita. Anche la bioetica è stata importante perché oggi la medicina si confronta sempre più con la necessità di avere dei valori e dei criteri di riferimento per le scelte da compiere. Cosa fare e cosa è bene per il paziente? La risposta non è automaticamente scientifica o tecnologica. Una risposta va interpretata, va mediata, in relazione alle situazioni concrete. E ci possono essere anche situazioni di conflitto, dove etica e bioetica possono aiutare per trovare delle risposte che la scienza non può darti in maniera automatica come neppure la legislazione. La bioetica aiuta in entrambe le situazioni».

In che modo intende promuovere il dialogo fra Chiesa cattolica e mondo scientifico, specialmente su temi delicati che lei ha già citato come l'inizio e il fine vita?

«Il dialogo col mondo scientifico è fondamentale, l’abbiamo coltivato in questi anni e sarà nostra premura continuare a farlo. Il problema oggi è fare in modo che l’approccio scientifico aiuti sempre di più a conoscere il mondo, conoscere la realtà e capire come gestire le responsabilità conseguenti. Avere più conoscenze significa avere più potere di intervento sulla vita, sia all’inizio che alla fine, ecco perché il nostro sforzo è di un dialogo costante e permanente col mondo scientifico. È il motivo per cui la Pontificia Accademia per la Vita in questi anni ha affrontato temi di frontiera come la robotica e l’intelligenza artificiale. Inoltre da anni dedica attenzione particolare a tutto il campo delle biotecnologie, quindi genetica e terapia genica».

La bioetica riguarda anche i temi della gestazione per altri e la crioconservazione degli embrioni. È possibile conciliare queste esperienze e queste modalità di procedere con i valori cristiani? Qual è la posizione della Pontificia Accademia per la vita? 

«A mio avviso è importante che la Pontificia Accademia continui a fare un lavoro di studio, di indagine, di ricerca, di comprensione per aiutare il Magistero della Chiesa la cui posizione ufficiale rimane contraria alla cosiddetta gestazione per altri. E non è solo il problema se sia o no gratuita o ricompensata. La questione è se una donna possa portare in grembo il figlio per una coppia che lo ha commissionato e che poi riconosce quel figlio come suo, mentre l’altra donna ha “prestato il proprio corpo per nove mesi”. Quindi tutto il tema della maternità e della procreazione vanno approfonditi. Per la Chiesa questa dissociazione tra gestazione e maternità è una questione problematica di ampia portata. Sulla conservazione degli embrioni – la cui identità e destino rimangono un problema – la Chiesa da tempo dice di evitare il congelamento degli embrioni una volta esistenti. Siamo consapevoli che queste posizioni sono spesso in contrasto con quelle della società civile».

Come pensa di affrontare queste spaccature, queste differenze tra la posizione della Chiesa e quella della società civile o di alcune società civili su questioni delicate bioetiche come eutanasia e procreazione assistita?

«La strada è quella del dialogo, con lo sforzo di spiegare, argomentare, giustificare quali sono i valori di fondo su cui si vuole costruire il bene della società e qual è il bene comune di una società civile nella quale aumentano le fratture e le polarizzazioni. È una delle sfide della Pontificia Accademia, senza la pretesa di avere la soluzione immediata per tutto. Ci sono alcuni valori che sono patrimonio comune dentro una società, come il perché è definita civile, il fatto di avere dei valori condivisi, il concetto di dignità della persona, il rispetto della persona stessa, il valore della vita, l’attenzione ai più fragili e più vulnerabili, l’attenzione alla cura e alla presa in carico delle persone malate. In questo contesto come confrontarsi in maniera costruttiva? È importante promuovere un dialogo, una cultura di rispetto per la vita umana e portare avanti una proposta, talvolta una profezia, per cercare di capire come crescere in umanità. In questo momento, anche pensando ai conflitti nel mondo, vediamo come le nostre società cosiddette civili, vivano un impoverimento di umanità. Papa Francesco parlava di questa globalizzazione dell’indifferenza. Ecco, noi cercheremo di non cadere nella globalizzazione dell’indifferenza, di non ridurre la crescita di umanità, di sensibilità, soprattutto verso i più poveri, gli ammalati e chi è in difficoltà. Alla Pontificia Accademia stanno a cuore la giustizia e la solidarietà».

Guardando al futuro, quali sono le sfide emergenti più urgenti della bioetica globale?

«Innanzitutto questo nuovo modo di intendere la salute, la malattia e la presa in carico delle persone: quello che si chiama oggi one health, che considera la persona umana ma anche l’ambiente e i fattori socio-economici. La seconda grande urgenza è quella dell’intelligenza artificiale, che ha ormai grandi ricadute sulla vita delle persone, ma anche in campo biomedico. Come stabilire dei criteri e dei principi etici che ispirino una crescita di responsabilità nello sviluppo e uso dell’intelligenza artificiale? Non crediamo che la soluzione legale, cioè giuridica, sia in grado di regolamentare tutta la materia, perché è questione in grande evoluzione, rapida espansione e complessità. Quindi occorrono sì delle regolamentazioni come quella europea, già entrata in vigore, ma occorrerà fare molto di più considerando la rapida evoluzione del settore. Occorre più responsabilità da parte dei grandi gruppi tecnologici internazionali ma anche del mondo dell’informazione per favorire una vera e propria alfabetizzazione in modo che tutti siano più consapevoli. C’è poi il tema delle biotecnologie e della terapia genica, per la diagnosi e la cura. E di come promuovere un’etica capace di dialogare con questo mondo. La Pontificia Accademia ha lavorato in questi anni col Consorzio di ricerca molecolare e genetica dell’Università di Basilea. Un mondo scientifico molto qualificato che ci ha chiesto di essere un partner per l’etica. A marzo faremo il terzo simposio sulle biotecnologie e l’etica. Ci occupiamo anche di xenotrapianto, cioè la possibilità di utilizzare organi di animali per gli esseri umani. Un tema di grande importanza, su cui abbiamo coinvolto i più grandi nomi dello xeno mondiale che vengono dal mondo universitario e scientifico soprattutto statunitense».

C’è qualche messaggio particolare che vorrebbe trasmettere ai giovani professionisti nel campo della medicina e della ricerca scientifica riguardo all’importanza della bioetica?

«È importante la formazione, la sensibilità e coltivare l’etica nella propria attività professionale, in modo che non si crei uno squilibrio tra l’accumulo e lo sviluppo di conoscenze e di possibilità di intervento e il senso di responsabilità di quello che si fa. Più crescono la conoscenza, l’impegno e la tecnica, tanto più deve crescere anche una formazione etica per gestire le conoscenze che abbiamo. Sarebbe importante che all’interno dei curricula universitari l’etica fosse una compagna di viaggio stabile e permanente, perché aiuterebbe i giovani a tradurre ideali e motivazioni in scelte coerenti». 

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