Il racconto di Abu Shujaa, padre coraggio da anni al lavoro per salvare le vittime della tratta sessuale

Giovani con figli piccoli, madri sole. C’è anche qualche donna anziana. Sedute su divano scuro, in posa per il prossimo aguzzino. Sono queste le foto che vengono da un vecchio gruppo su Telegram, aperto per la vendita delle schiave dello Stato Islamico a Raqqa.

Appartengono alla minoranza yazida, sono "sabaya”, schiave bottino di guerra: chi decide di venderle in un’asta online apre il gruppo, fa la foto e poi le assegna un numero, oggetto delle offerte dei combattenti del Califfato, che non ne vedono i volti se non al momento dell’aggiudicazione. A mostrarle all'Espresso è Abu Shujaa, "padre coraggio”, l’ex commerciante iracheno che da due anni con una rete di 35 collaboratori svolge attività di mediazione per liberare 3.770 donne e bambini ancora ostaggi del Califfato, rapiti durante il massacro di Sinjar nell’agosto 2014.

[[ge:rep-locali:espresso:285236703]]

Le 72 fosse comuni scoperte nei mesi scorsi nell’area a nord ovest dell’Iraq, al confine con la Siria, rivelano la portata di quello che a giugno l’Onu ha definito "genocidio in atto” di questa minoranza religiosa, attaccata dalla jihad di Abu Bakr al Baghdadi perché ritenuta "infedele”. Fino a 15 mila uccisioni stimate, bambini addestrati per diventare kamikaze e soldati e le donne, spesso minorenni, violentate, torturate e costrette alla schiavitù sessuale, vendute da combattente a combattente.

"Adesso queste grandi aste sono meno frequenti. L’Isis ha paura dei bombardamenti e usa piccolissimi gruppi in Telegram per proteggere la privacy e in cui presenta le ragazze truccate e vestite bene per guadagnare di più”, spiega Abu Shujaa. L'uomo, che per 20 volte Abu Shujaa è entrato e uscito nel territorio occupato dall’Isis, ha nove profili social e quattro telefoni sempre accesi. Le famiglie delle ragazze, se riuscono a mettersi in contatto, spesso passano direttamente il suo numero alle donne rapite per organizzare la fuga. Altre invece vengono ricomprate dalla famiglia. Sono più di 500 le donne e i bambini salvati dalla sua rete attraverso un lavoro di intelligence che poggia sugli informatori nelle città occupate, sull’analisi della situazione dell’ostaggio e sulla conoscenza dei punti deboli del nemico.

Abu Shujaa
"Nella prima operazione abbiamo liberato sette ragazzine prigioniere di una coppia di australiani di origine libanese. Le abbiamo portate via durante la preghiera, nascoste per due giorni in un' abitazione lontana appena 200 metri dalla loro e trasportate verso Gaziantep, in Turchia, grazie a nostri passatori. "Ho speso di tasca mia circa 70.000 dollari, dall'inizio della mia attività”.

Il bilancio umano invece è di diciassette collaboratori uccisi, da sommare alle minacce di morte da parte dell'Isis che ha messo su di lui una taglia di 500.000 dollari.

Abu Shujaa è famoso per postare in rete i video delle liberazioni e l’emozione di quel momento di libertà è condiviso da migliaia di yazidi in tutto il mondo. Lui ed altri tre mediatori famosi in tutto il Kurdistan non riescono però più a portare a termine le operazioni: le famiglie non hanno più soldi per riscattare le ragazze: i combattenti hanno iniziato a venderle loro a cifre che arrivano a 40 mila dollari e l’Isis ha inasprito le pene per chi tenta la fuga.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Il rebus della Chiesa - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso