Il regista americano Richard Linklater torna con una storia lunga dodici anni. Seguendo con la telecamera l’infanzia del protagonista Mason (la rivelazione Ellar Coltrane), la sua adolescenza, l’inizio dell’età adulta, mentre il mondo cambia intorno a lui

Dopo i film in cui succede tutto in un giorno - quelli della trilogia Alba, Tramonto e Mezzanotte che l’hanno trasformato in un regista cult - l’americano Richard Linklater torna con una storia lunga dodici anni. Dodici anni non cinematografici, ma reali. "Boyhood – adolescenza" - questo il titolo del film, Linklater l’ha girato dal settembre 2002 fino all’estate 2013. Con la telecamera ha seguito l’infanzia del protagonista Mason (la rivelazione Ellar Coltrane), la sua adolescenza, l’inizio dell’età adulta, mentre il mondo cambia intorno a lui. Ogni volta chiamando gli stessi attori a raccolta, Patricia Arquette, Ethan Hawke e la figlia del regista Lorelei Linklater, e ogni volta riprendendo il filo della narrazione interrotta un anno prima. Il risultato è un film di una bellezza fuori del comune.

[[ge:rep-locali:espresso:285507200]]"Boyhood" fa sentire sulla pelle la lama del tempo, senza affondarla. Ci fa perdere nella sua luce cangiante di quando è già lontano, ma ce lo fa ritrovare intatto nei momenti semplici, e decisivi, della vita. Alla fine del film ci si chiede se sia davvero passato un pezzo di vita davanti agli occhi, o solo le due ore e 44 minuti ufficiali. "Boyhood" è un’opera molto semplice e non banale, poetica, senza averne le intenzioni Linklater mette in discussione alcune certezze. Il dogma, per esempio, che una cinepresa e un montaggio possano manipolare il tempo a piacere del regista. L’idea che il cinema, in definitiva, non possa, e non debba, curarsi del tempo reale.

"Boyhood" su questo fornisce una nuova, sottile, risposta, che ha a che fare con una riflessione sulla memoria a lungo termine. Lo spettatore alla fine del film conosce i protagonisti da molti anni. Non assiste solo al cambiamento dei personaggi, ma anche a quello, e forte, degli attori. L’effetto è di un’intensità unica. Boyhood trasmette qualcosa in cui riesce, quando riesce, la letteratura, ma difficilissima da riprodurre sullo schermo: la forza creatrice e corrosiva del tempo. Una saga cinematografica e la semplice storia di una famiglia del Texas.

Al centro Mason, che all’inizio del film inizia la prima elementare, intorno la sorella, la madre, la perfetta Patricia Arquette, il padre assente. La voce di Mason cambia, come le case in cui abita; Ethank Hawke, il padre biologico, resta sullo sfondo, non scompare mai; la famiglia, anche se lontana, resiste e dà calore. Alla fine del film Mason ha diciotto anni, e parte per il college. Al posto dei vecchi computer compaiono gli iPhone. Non si vedono più sigarette nei ristoranti e la storia continua ad espandersi come un acquarello sulla tela di Linklater.

Ogni anno un paio di dozzine di sequenze in più, pochi giorni di lavoro. Ma è bastato a Linklater per ricreare la meraviglia del crescere, dell’imparare, del provare. Così come del diventare grigi, e più grassi, e poi ancora più magri e più bianchi, dei genitori. La perdita delle illusioni, la conquista del distacco.

Alla fine della scuola Mason decide di diventare fotografo. "Chiunque può fare uno scatto”, gli dice il tutore che lo accoglierà al college. "La cosa difficile è fare arte”. "A volte però l’arte è anche nel processo di farla. Quando il processo e il risultato diventano tutt’uno", così Patricia Arquette. "È allora che diventa sublime. Come la vita".

Prosegue l’attrice: "Credo che questo film si possa paragonare alla sensazione che si prova quando ci si vede tra parenti lontani una volta all’anno. A volte non è cambiato nulla. Altre, si resta storditi dallo choc. Soprattutto per la forza e il pathos con cui si trasformano i corpi e le voci dei bambini". Per il giovane Coltrane si tratta "della bellezza dell’essere testimoni diretti del più grande miracolo dell’esistenza".

"Boyhood è stato messo insieme con la cura che arriva dalla necessità del cuore", così Arquette. Gli attori sono bravissimi, la recitazione però quasi non si vede. Attraversando questo film ci si chiede se non si sia già visto, da qualche parte. "Ma certo", assicura Arquette. "Basta guardare nella memoria. E scorrere l’album dei ricordi. Le famiglie che si amano e che si lasciano. Le madri che fanno la cosa giusta e quella sbagliata. I padri vicini e quelli che fanno del male, le vite che salgono e quelle che scendono. Il primo bacio, e l’ultimo addio.

Tutto cambia. A volte più veloce, a volte un po’ di meno. Senza soluzione di continuità ma in moto continuo". Boyhood è uno dei migliori film americani degli ultimi anni. Naturalmente ci sono già stati registi che hanno provato a fermare il lavoro del tempo sui corpi, i volti, i sogni. Michael Apted in Inghilterra ha fatto qualcosa di molto simile con la sua serie documentario "Up", e François Truffaut ha accompagnato la figura di Antoine Doinel, interpretata dall’indimenticabile Jean-Pierre Léaud, per oltre vent’anni e quattro film e mezzo.

L’inventario narrativo a cadenza annuale di Linklater rilegato in forma di racconto fittizio, è tuttavia un’operazione ancora diversa. Non c’erano timori di non riuscire a finire un progetto lungo quanto un’adolescenza? "Linklater ha scritto la sceneggiatura anno dopo anno ma l’idea era chiara dall’inizio. Seguire una vita che cresce e che diventa adulta. I dettagli non sono stati costruiti, ma sono cambiati realmente nel corso degli anni. Come, per esempio, il secondo piano aggiunto a casa mia". Non avete mai pensato di perdere il controllo? I rischi erano prevedibilissimi dall’inizio. Il futuro di Ellar Coltrane, che ha iniziato a girare a sette anni, non lo conosceva nessuno. "Se fossi diventato patologicamente timido? Eccesivamente grasso? O un criminale?", commenta il giovane attore. Per Arquette "chiunque nella vita, e nel suo lavoro, ha bisogno di un po’ di fortuna. Noi ne abbiamo avuta molta con Ellar. La sua magnetica presenza, soprattutto dal quindicesimo anno di età, è un sincero, stupendo regalo che questo film ha avuto". Aggunge Coltrane "il tempo, il protagonista di Boyhood, raccoglie le piccole cose altrimenti inghiottite dal flusso della vita, e le restituisce con una qualità magica".

Proprio come Lev Tolstoj nel suo debutto letterario, i racconti Infanzia, Adolescenza, Giovinezza. A Tolstoj riesce con grandiosa modernità di fissare per sempre il punto di vista meraviglioso e drammatico del bambino sulle cose della vita. Boyhood continua sul quel solco. A Ellar Coltrane, ora al college e contemporaneamente pieno di impegni di lavoro, molti registi di Hollywood ora vogliono lavorare con lui, Boyhood manca già. "Questi dodici anni mi hanno insegnato una cosa: la felicità è un episodio temporaneo. Racchiuso tra due parentesi. La felicità non è un posto dove poter restare. La vita è piena di cambiamenti drastici e radicali. E se senti il bisogno di resistere a tutti i costi ai cambiamenti, non sarai mai felice, né sereno".

Il regista
Richard Linklater (1954) è uno degli autori e registi indipendenti più prolifici del cinema americano. Dal 1991 ha girato diciassette pellicole. Per non contare i corti, i documentari e le produzioni televisive. Al cinema ha cominciato con Slacker (1991), ambientato in un giorno, il primo di nuemerosi esperimenti narrativi del regista, una singola giornata nella vita di alcuni giovani sfaccendati in Texas, diventato manifesto della Generazione X dei primi anni 90. Dopo ha girato La Vita è un Sogno (1993), sempre Austin, sempre in un giorno, il 28 maggio 1976, l'ultimo giorno di scuola, Linklater segue le vicende parallele di due matricole studentesche e lancia le carriere di Parker Posey, Ben Affleck e Matthew McConaughey.

Dopo i successi anni novanta Linklater si orienta sulla sperimentazione digitale e ha successo anche lì, con i film d’animazione in rotoscope Walking Life (2001), e soprattutto A Scanner Darkly (2006), Un Oscuro Scrutare, tratto dal capolavoro dello scrittore americano Philip K. Dick. Ma Linklater nei duemila sperimenta anche la commedia pura, e intelligente, con l’adolescenza al centro. È il caso di School of Rock (2003), commedia musicale scritta apposta per il comico e musicista Jack Black, e Bad News Bears (2005), il remake del film del 1976 Che botte se Incontri gli Orsi con Walter Matthau e Tatum O’Neal, fino al successo di Bernie (2011) l’irresistibile biopic su un impiegato di pompe funebri texano che uccide una ricca vedova di provincia.

Ma è la trilogia del "prima" che ha conquistato a Linklater lo status di regista di culto. I film sono nient’altro che quelle conversazioni che tutti vorremmo risucire a fare con il proprio partner, ma che raramente si riescono a fare, su tutte le cose importanti della vita, il lavoro, l’amore, il sesso, la morte. Il primo è Prima dell’Alba (1995), un incontro romantico in un treno per Vienna tra un giovane americano (Ethan Hawke) e una donna francese (Julie Delpy). In Prima del Tramonto (2004), girato in tempo reale, i due si reincontrano a Parigi. Nell’ultimo capitolo della trilogia Prima di Mezzanotte (2013), Celine e Jesse sono ormai una coppia da molti anni e in una notte difficilissima cercano di salvare il proprio matrimonio. Giocare con il tempo è la passione-ossessione di Linklater. Nei suoi film sono tre le domande ricorrenti: che ci facciamo qui, cosa vogliamo, che fare col tempo che passa. Con Boyhood Linklater cambia marcia. Il regista qui non fa domande, lascia che sia il tempo a parlare. Sulla pelle degli attori.

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