Il dossier segreto sulla Cina, le aperture su Islam e luterani. Le donne. Le spinte su diritti e comunità Lgbt. L’ambiente e la pace. L’eredità del Papa che divide i prelati è la posta in gioco. E in tanti vorrebbero riportare l’orologio al 2013

Gli occhi del mondo sono puntati su quel piccolo lembo di terra, il più piccolo Stato al mondo, dove si svolge, con fascinosa solennità, uno dei riti più antichi e suggestivi della storia: oltre cento uomini con la pelle di vari colori e vestiti con bizzarri abiti rosso porpora sono arrivati da tutti i continenti per riunirsi nella stanza artisticamente più preziosa del Pianeta ed eleggere il nuovo leader del cattolicesimo, la religione più diffusa sulla terra, che conta quasi due miliardi e mezzo di fedeli. Un enorme potere, non solo spirituale, sarà consegnato nelle sue mani quando arriverà al vertice di una struttura gerarchica non democratica e affidata, nelle funzioni sacerdotali, a soli uomini. Per i cattolici, quel potere gli è affidato da Dio e gli è concesso per essere messo al servizio dell’umanità.

 

Ma quale Conclave sarà, che dinamiche ne saranno protagoniste, e quali nodi sarà chiamato ad affrontare il nuovo Papa che sotto il temibile affresco del Giudizio Universale verrà chiamato dai suoi confratelli a succedere all’argentino Bergoglio? In passato c’è stato anche chi ha rifiutato l’elezione (anche se la cosa, per le regole del Conclave, viene sempre tenuta strettamente segreta) e le votazioni sono quindi continuate. Ma se subito dopo la domanda rivolta all’eletto, «accetti la tua elezione canonica a Sommo Pontefice?», giunge il suo consenso a diventare il capo in terra della Chiesa cattolica, vicario di Cristo tra gli uomini e scatta il secondo applauso dell’aula (il primo, inevitabile, appena supera il numero di voti necessari all’elezione), il nuovo Papa viene condotto in un piccolo stanzino senza finestre che si trova in cima alle scalette sotto l’affresco, dove indosserà, secondo la sua corporatura, uno dei tre abiti preparati per il Pontefice e con il quale si affaccerà dal balcone centrale della Basilica di San Pietro. La camera senza finestre è chiamata Stanza delle Lacrime, nome dato non solo per la commozione che in genere sopraffà l’eletto ma soprattutto per la coscienza che lo invade rispetto al pesante compito che lo aspetta.

 

In passato ci sono state elezioni velocissime, la più breve durò solo 10 ore, si svolse nel 1503 ed elesse Giulio II, della potente famiglia della Rovere; la più lunga si protrasse per ben 2 anni e nove mesi, e si concluse nel 1271, solo quando gli abitanti della città di Viterbo –esasperati dall’indecisione dei cardinali che non si decidevano a scegliere perché influenzati dai vari potenti d’Europa e dalle contrapposizioni delle dinastie ecclesiali – ridussero loro il vitto, scoperchiarono il tetto dell’edificio e chiusero a chiave (cum clave) la porta del Palazzo dove si riunivano: fu il primo Conclave della storia.

 

Erano anni cruenti, elezioni che risentivano dei voleri dei Re di Spagna, di Francia, d’Inghilterra, e dei rancori tra casati. Anni in cui il sangue poteva anche scorrere sull’altare nei giorni del Conclave, proprio come accadde durante quel primo Conclave di Viterbo, quando il 13 marzo 1271 Enrico di Cornovaglia, nipote del re inglese Enrico III, venne ucciso dai cugini Guido e Simone di Monfort mentre assisteva alla Messa: i suoi stessi cugini avevano voluto vendicarsi dell’uccisione del loro padre e del fratello, decisa dal sovrano che ne aveva poi fatto mutilare i cadaveri. L’efferato episodio, che aveva violato la sacralità della Messa mentre si sceglieva il Pontefice, scosse l’intera Europa, e venne ricordato da Dante nella Divina Commedia dicendo che il cuore di Enrico ancora colava sul Tamigi.

 

Ora quei tempi brutali sono alle spalle, i capi di nazioni non intervengono nella scelta, anche se l’orgoglio di avere un Papa della propria nazione fa gola a molti. Fatto del tutto inedito, e non poco sorprendente, il primo ministro di una nazione musulmana come l’Iraq, Mohammed al-Sudani, ha pubblicamente annunciato che il suo Paese sostiene la candidatura a Papa di Louis Raphaël Sako, arcivescovo di Baghdad e unico cardinale nato in Medio Oriente. 

 

Quelle che si contrappongono nel Conclave 2025 sono le differenti sensibilità ecclesiali. Troppo semplificante identificare le assise cardinalizie come una contrapposizione tra conservatori e progressisti, seguendo criteri validi in politica. Tra i prelati le divisioni su questioni essenziali, sia di prassi che di concezioni, messe in luce dal pontificato di Bergoglio, sono notevolissime, il disagio in ampi settori della Chiesa palpabile. Il dissenso di importanti porporati sulle linee dettate da Francesco è stato frequente. L’unanime consenso pubblico che ha caratterizzato i primi tempi del suo pontificato si è a mano a mano sgretolato. Disaccordi che si erano però palesati, spesso con più virulenza, anche con gli ultimi Pontefici.

 

Del resto, basta un soffio, una semplice decisione presa da un Papa regnante, per cambiare i destini della Chiesa. Benedetto XVI, dopo la morte di Karol Wojtyla, creò cardinale il segretario di Giovanni Paolo II, Stanislaw Dziwisz. Cosa sarebbe successo se Ratzinger prima di dare le dimissioni avesse creato cardinale il proprio segretario, nel quale aveva enorme fiducia? Il “cardinale” Georg Ganswein, invece di subire l’umiliazione di essere allontanato dal ruolo di Prefetto della Casa Pontificia ed essere definito da Bergoglio «mancante di nobiltà e umanità», sarebbe oggi in Conclave, con un’immagine non lesa e sarebbe il candidato ideale di chi è restato legato a Benedetto XVI. In questi giorni, proprio per le divisioni che ci sono, il richiamo all’unità e a lavorare solo per rispondere al desiderio di Dio è continuo, tanto che il cardinale Vicario di Roma Baldo Reina, durante la messa per i Novendiali, davanti a tutti i cardinali riuniti ha usato parole forti e che denunciano il clima che si teme di respirare in Conclave: «Non è tempo di tattiche, rivalse o alleanze di potere».

 

Insomma, il Conclave sarà incandescente, così come il Pre-Conclave, quelle Congregazioni generali dove i confronti fra tutti i cardinali del mondo si svolgono rigorosamente a porte chiuse, e durante le quali, parlando ogni cardinale una manciata di minuti per illustrare cosa a suo parere serve alla Chiesa, si tenta di identificare profili che possano catturare consensi, così da arrivare nella Cappella Sistina con un numero ridotto di candidati. Poi nelle varie votazioni (4 al giorno, 2 al mattino e 2 al pomeriggio, tranne che nel primo giorno, il 7 maggio, quando si vota solo al pomeriggio) si conteranno ogni volta i voti, si faranno nuove coalizioni, cadranno candidature, altre si consolideranno e ne sorgeranno di alternative. Papa Francesco era devoto a una particolare immagine della Vergine: ne aveva diffuso il culto quando era cardinale a Buenos Aires e poi l’aveva proposta a tutti una volta diventato Papa. È l’immagine, tenerissima, della Madonna che scioglie i nodi.

 

Ma quali sono allora i nodi del futuro pontificato, quei temi caldissimi lasciati da gestire al prossimo Papa? Bergoglio amava dire, seguendo un principio gesuitico, che non era importante arrivare a soluzioni ma aprire processi, indicare vie sulle quali altri avrebbero proseguito. Ma c’è la concreta possibilità che col nuovo Pontefice queste strade lentamente si chiudano, i processi abortiscano. Oppure, dipende da chi sarà eletto, questi processi potrebbero proseguire con più decisione, proprio quello che Francesco, come aveva confidato alle persone a lui più vicine, aveva intenzione di fare se si fosse rimesso in salute. In questo caso aumenterebbe un certo scontento che da tempo si respira in ampi settori del cattolicesimo.

 

Per ovviare a queste contrapposizioni la soluzione auspicata da tanti è l’avvento di un Papa di compromesso, che porti avanti i temi bergogliani, ma con moderazione. Uno dei più delicati nodi che si troverà ad affrontare il successore di Francesco è quello dei rapporti con la Cina. Bergoglio ha firmato un accordo, tuttora segreto, con le autorità di Pechino. Pochissimi, anche in Vaticano, ne conoscono i contenuti. L’accordo segreto, già rinnovato una volta, ha fatto sì che la chiesa clandestina cinese, legata a Roma, uscisse dalle “catacombe”. Adesso le nomine dei vescovi, fino ad allora scelti da Pechino e quindi non riconosciuti dal Vaticano, partono da Roma, spesso dopo un consulto con le autorità cinesi. Ma la persecuzione, lamentano in tanti, non è finita, e quell’accordo è stato fatto sulla pelle dei cristiani, incuranti delle loro sofferenze. A protestare con forza, tra gli altri, il cardinale, oggi emerito, di Hong Kong, Joseph Zen Ze-kiun. Il nuovo Pontefice, se non è tra quelli che lo conoscono, come il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, dovrà farsi portare il testo dell’accordo segreto, leggerlo e decidere se rinnovarlo o intervenire diversamente.

 

Il nodo più sensibile è quello dell’atteggiamento verso le persone con tendenze sessuali non conformi ai dettami tradizionali della Chiesa. Francesco in questo è stato decisamente innovatore, suscitando da subito speranze e polemiche. Dopo la frase pronunciata sull’aereo di ritorno dal Brasile, «chi sono io per giudicare un gay che cerca Dio?», la percezione dell’accoglienza della Chiesa verso le persone Lgbtq+ è aumentata, e il tema dei diritti è diventato esplosivo. Le recenti decisioni di Bergoglio, quelle di permettere la benedizione di coppie gay e concedere a transessuali di chiedere e ricevere il battesimo o di essere padrini e testimoni di nozze, ha suscitato accese proteste, anche tra cardinali. L’arcivescovo di Kinshasa, Fridolin Ambongo, considerato un “papabile”, venne a Roma solo per dire bruscamente a Francesco che i vescovi dell’Africa non avrebbero seguito quelle indicazioni.

 

Uno dei “processi” cui Bergoglio teneva era quello del ruolo della donna nella Chiesa. E un tema delicatissimo che portò anche Ratzinger a intervenire è stato quello della possibilità di concedere il sacerdozio anche a persone sposate e di sicura fede. Nel Sinodo sull’Amazzonia lo scontro sull’argomento è stato forte, materia che il futuro Papa non potrà accantonare, anche perché tocca in profondità la struttura della Chiesa: sull’argomento i nervi sono scoperti. E se sulla lotta agli abusi pedofili non potrà più esserci nessun passo indietro, così come sull’attenzione ecologica, alla quale Papa Bergoglio ha addirittura dedicato una enciclica. Non così scontato è l’appoggio tra i membri del Conclave al rapporto con le altre confessioni e fedi come concepito dal Papa gesuita. Alcuni cardinali si dissero perplessi, altri contrari, alla visita di Francesco in Svezia per il 500° centenario della Riforma di Lutero. «Si benedice lo scisma», lamentarono.

 

Ma la Svezia ha per la prima volta un cardinale, si tratta di Anders Arborelius. Qualcuno lo sogna Papa, per confrontarsi con un mondo distante, quello protestante, e con Paesi considerati avanguardia della modernità. Come qualcuno si augura il pontificato di Louis Raphaël Sako, arcivescovo iracheno, perché capace di avere un dialogo serrato con l’Islam. Dopo decenni, il Concilio Vaticano II fa ancora discutere e c’è chi ne chiede la completa attuazione. La sinodalità ne è uno dei nuclei, tema estremamente presente a Bergoglio. Il campione per portarlo avanti potrebbe essere l’asiatico Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, ex Propaganda Fide, cardinale Luis Antonio Tagle. Papa Francesco lo ha voluto a Roma, dove ha imparato l’italiano e si è fatto conoscere. Tagle, nonostante le sue brillanti doti, ha adottato un profilo basso. Strategia che in Vaticano abitualmente rende. Ma Francesco stesso si preoccupò delle spinte troppo avanzate arrivate dai vescovi tedeschi e tentò di mitigarle. E nei vari Sinodi da lui indetti i vescovi si sono scontrati, visioni contrastanti si sono combattute, spesso con asprezza. 

Altro nodo da sciogliere per il prossimo Papa, l’attenzione alla pace, al disarmo, alle cause che provocano la povertà, al divario tra Nord e Sud del mondo, al rapporto con l’America e l’emigrazione: temi delicatissimi e attuali, temi carissimi a Francesco ma forieri di coinvolgenti conseguenze politiche. Basti pensare alle parole da Bergoglio usate per il conflitto tra Israele e Palestina o a quello tra Russia e Ucraina. Il prossimo Papa dovrà da subito confermare o edulcorare le linee bergogliane. Il Patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, si offrì in cambio dei rapiti di Hamas, il cardinale Matteo Maria Zuppi, incaricato da Francesco di occuparsi del conflitto tra Ucraina e Russia, è stato moderato e abile nell’incarico: il suo appartenere alla Comunità di Sant’Egidio può provocare qualche perplessità tra cardinali italiani, ma il Movimento è diffuso nel mondo, ha avuto contatti strettissimi con tanti cardinali, e lui ha mediato la pace in Mozambico: un asso in più nella manica di chi lo vorrebbe successore di Francesco, capace di continuarne l’eredità senza asprezze. 

L’ultimo, delicatissimo nodo lasciato in eredità da Papa Francesco al suo successore è il caso Becciu, che ha rischiato di minare sin dall’inizio questo Conclave incandescente. Il clamoroso processo al porporato, nato da un’inchiesta de L’Espresso, ha portato a una sua condanna in primo grado. I cardinali si sono divisi sulla possibilità che entrasse in Conclave. Becciu si è sempre proclamato innocente e vittima di scontri interni alla Curia e ha rivendicato, facendo leva sul Diritto canonico e sulla Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis che regola le modalità di svolgimento del Conclave, il suo diritto di partecipare alle votazioni. Ma alla fine, per non incendiare il dibattito, per non arrivare a un voto divisivo e avere la devastante possibilità, dopo la sua eventuale esclusione dal Conclave, di rivendicare la nullità dell’elezione del prossimo Papa, ha fatto un passo indietro, rinunciando a entrare nella Cappella Sistina. Un gesto che è stato molto apprezzato da tutti i suoi confratelli. Ma a settembre il Processo Becciu andrà in appello. Nel caso di una condanna, il futuro Pontefice dovrà decidere se concedergli la grazia, come fece Ratzinger con Paolo Gabriele, il maggiordomo traditore che causò lo scandalo Vatileaks. Oppure, se il tribunale assolverà Becciu, il nuovo Pontefice si ritroverà accanto un cardinale spinto dal suo predecessore a rinunciare ai suoi diritti di concorrere all’elezione papale. In ogni caso, una “patata bollente”.

 

Ma il futuro Pontefice dovrà anche decidere se continuare, come Francesco, a concedersi ai media con altrettanta frequenza e senza filtri. Scelta che molti cardinali hanno ritenuto intaccasse, minandola alla base, sacralità e autorevolezza del ruolo di un Papa. 

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