«Risolviamo due problemi in uno: Di Maio rinunci alla presidenza del consiglio e venga a fare il segretario del Pd». Eccolo, il bello dei fake account: possono puntare dritto alla verità, senza tante complicazioni. Come questo tweet di Gianni Kuperlo, strepitosa imitazione dell'originale dirigente del Pd. Ne sono fioriti tanti, in questi anni: da D'Alema er Massimo a Renzo Mattei, dal Virile ministro Orlando ad Arfio Marchini, Alejandro di Battista, VirgionaèRaggi.
Tanto che le giornaliste Romana Ranucci (Italpress) e Sara Dellabella (freelance) ne hanno fatto un pamphlet, “Fake Republic, la satira politica ai tempi di twitter” (Ponte Sisto), che analizza il fenomeno: il proliferare sui social di profili finti, perfettamente cesellati su quelli veri, tanto da finire per essere confusi con i personaggi in carne ed ossa, divenire fonte di ispirazione o di imitazione.
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Le due autrici, raccontano non solo i fake più noti attraverso alcuni dei loro messaggi, ma svelano anche chi c'è dietro. Gli inventori di quei personaggi, che a volte sono militanti o comunicatori e altre volte semplici appassionati di politica, sono stati intervistati e raccontano la genesi, i retroscena, e insomma cosa succede quando si decide di fare l'alter ego social di un politico. E per lo più di un politico di sinistra, perché se i finti Renzi hanno spopolato («Il Pd non perde voti: li rifiuta!», twitta Orfino Mattei, alter ego di Matteo Orfini) a destra l'operazione non ha avuto altrettanto successo.
A parte il caso di Arfio Marchini, fake di Alfio Marchini ai tempi della candidatura a sindaco di Roma («C'è chi rincorre le lobby e chi gli hobby. Polo ti esercito. Roma ti amo»), infatti, ci sono più denunce (Alemanno, ad esempio fu prontissimo) che successi da registrare – del resto la destra tradizionale è per lo più stata poco incline a un utilizzo contemporaneo dei social media. Vanno meglio gli alter-ego nell'area Cinque stelle, anche se il profilo di Casalegglo, il più seguito di tutti, si è spento con la morte dell'originale.
A cosa si deve il fenomeno? A quali bisogni risponde? La professoressa Giovanna Cosenza, ordinaria a Bologna di Semiotica e nuovi media, intervistata nel penultimo capitolo piega che si tratta, fra l'altro del combinato di due fenomeni contemporaneamnetei: la semplificazione del messaggio, e la spettacolarizzazione della politica: «Il gossip, l'intrattenimento che si mischiano alla comunicazione politica sono temi molto studiati negli ultimi quindici anni. In italiano il fenomeno si chiama “politica pop”, in inglese “politainment”, in francese “pipolisation”. Molti politici, inoltre, cedono alla battuta e alla gag facile, da Berlusconi a Renzi a Salvini. Quindi il fake account fa solo il suo mestiere se gioca su questi eccessi dei politici», spiega la professoressa in un capitolo-intervista. Insomma ogni politico oramai ende a fare di se stesso un personaggi, una copia mediatica: di qui al fake, il passo è breve
Altro elemento interessantissimo, l'interazione con i politici veri e propri. Racconta per esempio Federico Palmaroli, impiegato romano e burattinaio della famosa pagina Facebook dedicata a “Osho”, che aver iniziato a interagire con i leader italiani l'ha messo inaspettatamente al centro della scena: «Prima erano in pochi a rispondermi oggi tutti i politici, anche i più insospettabili, hanno capito che questo meccanismo funziona, gli fa gioco e quasi mi cercano. Commentando i loro tweet gli faccio una sorta di pubblicità involontaria. Se, per esempio, Giorgia Meloni twitta un suo appuntamento, e ha un tot di condivisioni sul suo profilo, con un mio commento può aumentare di molto la diffusione. L’account satirico di Osho, come i fake dei politici, possono aiutare a dare una visibilità maggiore. Il mio profilo twitter ha molti follower e tanti vedranno la mia risposta al tweet originale del politico. Se Renzi dice che il Pil è cresciuto del 2 per cento, che tu creda o no alla notizia, in ogni caso rispondendo con l’account di Osho, faccio girare quell’informazione, e quel tweet avrà una forma di circolazione maggiore, questo è lo sfruttamento involontario».
Ecco un altro motivo che sta dietro al successo dei tanti fake: servono agli originali