Il Vietnam a cinquant'anni dalla riunificazione, la piaga lunga mezzo secolo

Cinquant’anni dopo la presa di Hanoi, il Paese è uno dei pochi al mondo ancora governato da un partito unico socialista. Ma ha aperto al mercato e cresce. E resta aperta la ferita degli effetti della diossina dell’Agente Arancio

Il trenta aprile sono cinquant’anni della ritrovata riunificazione del Vietnam, dilaniato da più di un secolo di guerre. Prima contro i francesi che sulle sponde del Mekong si stabilirono sotto le mentite spoglie di un protettorato. E poi contro gli americani, il cui intervento iniziò con Kennedy, nel solco di Eisenhower, proseguì con Johnson e si concluse con il ritiro firmato da Nixon nel gennaio 1973. Due anni dopo, il 30 aprile 1975, i comunisti del Nord presero Saigon al grido di “giai phong” (liberazione). Quella seconda guerra d’Indocina marchiò il Paese, con effetti che durano tutt’ora. E anche  l’Occidente: da Hair ad Apocalipse Now, da Platoon a Full Metal Jacket, Hollywood ha provato a raccontare l’irrisolto americano di quella guerra lontana incomprensibile che ha segnato più generazioni.

 

Cinquant’anni dopo, nonostante le progressive aperture al mercato e la crescita economica, il Vietnam è uno dei pochi Paesi al mondo guidato ancora da un monopartito socialista. Ho Chi Minh ne è il padre fondatore, al pari di Mao Tse Tung in Cina. Gli eredi dell’alleanza nazionalista d’ispirazione leninista che prese il potere ad Hanoi nell’agosto del 1945, governano una società di 95 milioni di abitanti, l’86 per cento di etnia Kinh, con una struttura fortemente patriarcale e un’economia di agricoltura e pesca che assorbono metà degli occupati e che vanno contraendosi, a vantaggio dell’industria della trasformazione in funzione dell’export e del terziario.

 

La prima Costituzione della “Repubblica Socialista del Vietnam” è del 1980. Una profonda trasformazione arrivò nel 1992 con il via libera all’esercizio dell’impresa privata, alla proprietà e agli investitori stranieri. Le riforme successive hanno impresso una curva crescente al Pil. Quello pro-capite si attesta su 4.282 dollari con un turismo che fa registrare numeri in aumento e ha una quota del 9 per cento del prodotto interno lordo. La copertura sanitaria, estesa all’87 per cento della popolazione, in tre decenni ha fatto crescere di 5 anni – da 70,5 a 75,5 – l’aspettativa di vita. L’elettricità, privilegio che fino al 1993 era riservato al 14 per cento della popolazione, serve quasi l’intero Paese. L’acqua poco più della metà degli abitanti. La conoscenza dell’inglese è quasi obbligatoria nel mercato del lavoro più qualificato e ovunque sono sorte scuole internazionali per la classe media. 

 

Il programma di investimenti, sostenuto anche da capitali stranieri (vedi articolo nelle pagine successive) passa anche per le nuove tecnologie. La rete Internet è stata resa progressivamente accessibile, dopo uno sbarramento tariffario, con un livello di censura attenuato che colloca il Vietnam al 22° posto nel mondo per velocità di connessione mobile. Le imprese private sono cresciute soprattutto nei settori dell’abbigliamento (primo esportatore nel Sud-est asiatico), dei fertilizzanti, degli alimenti, delle apparecchiature elettroniche, dell’auto e delle moto. Gli scooter, 58 milioni contro 3,6 milioni di automobili, sono il mezzo di trasporto primario.

 

I livelli di smog, complici i fumi di industrie e abitazioni, alimentate a combustibili a biomassa e carbone, rappresentano una priorità da risolvere, essendo il Paese al settimo posto nella classifica mondiale dell’inquinamento atmosferico. Si stima che ogni anno 60.000 decessi sono attribuibili agli effetti della scarsa qualità dell’aria delle città più popolose: Ho Chi Minh (9 milioni di abitanti) e Hanoi (8 milioni).

 

Ma la questione ha radici lontane che risalgono all’intervento americano con l’impiego del famigerato Agente Arancio, erbicidi contenenti diossina spruzzati dalle truppe americane e del Vietnam del Sud (oltre 76 milioni di litri) fra il 1961 e 1971, per defogliare le foreste con lo scopo di smascherare le operazioni Viet Cong.

 

L’impatto di quell’irrorazione fu devastante per l’ambiente e la salute della popolazione colpita e per gli stessi militari statunitensi. Si stima che durante il conflitto circa 4,8 milioni di vietnamiti (dati del censimento) e decine di migliaia di soldati americani furono esposti alle conseguenze deleterie dell’Agente Arancio. A morire di malattie incurabili, fra le decine di migliaia di vittime, furono in stragrande maggioranza bambini e donne. Ancora oggi, a distanza di cinquant’anni, gli effetti della diossina si manifestano nelle nuove generazioni con alti indici di malformazioni alla nascita riconducibili agli effetti di lungo periodo del Tcdd, prodotto dalla combustione dell’Agente Arancio, presente nella catena alimentare.

 

Matthew Keenan, veterano dell’esercito americano, inviato in giovane età (22 anni) a Da Nang e Chu Lai per circa 9 mesi fra il 1971-72, ha avuto un’esperienza diretta sugli effetti dell’Agente Arancio. «Nel corso degli anni, tanti dei miei amici veterani di quella guerra si sono ammalati di diverse malattie, in particolari tumori. Abbiamo capito col tempo che l’Agente Arancio, cui noi stessi siamo stati esposti, era la probabile causa. Anche io ne sono vittima: nel 2013 mi è stato diagnosticato un cancro; sulla mia cartella clinica risulta che è la conseguenza di un’esposizione ad erbicidi». Il Congresso degli Stati Uniti nel 1991 ha approvato l’Agent Orange Act, che prevede il risarcimento di un’indennità ai veterani americani affetti da malattie associate all’esposizione alla diossina.

 

«Dopo che mi è stata comunicata la diagnosi – racconta Matthew Keenan – ho pensato che il modo migliore per saperne di più sull’Agente Arancio fosse di andare in Vietnam. La prima volta da civile sono tornato nel 2015». Il primo luogo che Matthew visitò fu un asilo nido gestito dalla Da Nang Association for Victims of Agent Orange (Dava), un Ong che si prende cura e fornisce assistenza alle famiglie colpite dagli effetti della diossina. «Ho sentito di avere un forte legame con quei bambini, la maggior parte affetti da disabilità invalidanti. Condividiamo gli effetti dello stesso male e dare il mio modesto contributo è stato uno scambio vicendevole di amore. Tornai un’altra volta e poi tante altre ancora, fino a decidere di trasferirmi definitivamente a Da Nang. Da allora ho dedicato intensamente le mie energie e il mio tempo assistendo come volontario i bambini nelle loro attività. È come se fossi parte di una grande famiglia. Abbiamo creato una rete per sostenere l’Ong. In seguito a un intervento chirurgico e delle sessioni di radioterapia, sento di avere meno forze ed energie ma il mio impegno non cambia».

 

Matthew indossa ancora, come durante le missioni, la piastrina dei militari degli Stati Uniti. «La differenza è che prima ero un soldato, ora lavoro per la pace». In un Vietnam che la guerra se l’è lasciata alle spalle, ma che le ferite le sconta ancora.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Il pugno di Francesco - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso