
Perché proprio qui? Per quale motivo la multinazionale che possiede Gucci ha deciso di costruire all’ombra delle Alpi svizzere il suo centro logistico più importante? Questione di soldi, ovviamente. Questione di tasse. Le autorità elvetiche da tempo cercano di attirare le aziende straniere a suon di tagli d’imposta. In Ticino sono arrivati i piccoli imprenditori italiani, ma il grosso del business, ormai da anni, riguarda alcuni giganti multinazionali dell’abbigliamento, non solo Kering, ma anche l’americana VF corporation, quella di Timberland, Patagonia e NorthFace, così come Abercrombie & Fitch. Con l’andare del tempo il fenomeno ha raggiunto dimensioni tali da innescare la reazione dell’Unione europea. Molti Paesi Ue, tra cui l’Italia, hanno perso redditi imponenti da tassare in casa propria a tutto vantaggio della Svizzera. Così Bruxelles ha di fatto ottenuto una parziale marcia indietro della Confederazione. Le norme sotto accusa verranno riviste, questa la promessa di Berna.
Nel frattempo, i marchi della moda fanno soldi a palate grazie ai generosi sconti sulle tasse garantiti oltre il confine di Chiasso.
Sui numeri di questa manna fiscale vige da sempre il massimo riserbo, ma per illuminare i contorni di questo business milionario possiamo partire proprio da Sant’Antonino, il paese del Canton Ticino, nei dintorni di Bellinzona, dove Kering nella primavera del 2014 ha inaugurato il suo centro logistico internazionale. L’azienda francese, meglio nota fino al 2013 con il nome del suo fondatore François Pinault, controllava già da anni una rete di filiali con sede a pochi chilometri di distanza dal nuovo deposito. La più importante si chiama Luxury Goods International, in sigla LGI. È questo il perno attorno al quale ruota il grande affare fiscale col marchio Gucci, di gran lunga la griffe più nota tra quelle in portafoglio a Kering, che possiede, tra gli altri, anche Bottega Veneta, Saint Laurent, Boucheron, oltre a Puma nello sportswear.
I documenti consultati da “l’Espresso” rivelano che il gruppo francese realizza buona parte dei propri profitti grazie alla sua controllata svizzera, quella che possiede il centro logistico di Sant’Antonino. Bilanci alla mano, si scopre che la ticinese LGI ha chiuso il 2013, ultimo dato disponibile, con un risultato positivo di 835 milioni di euro. Un risultato eccezionale, su cui il fisco svizzero ha scelto di usare una mano leggera, leggerissima. In base alle stime di analisti e studiosi della materia, l’imposta pagata su questi guadagni non sarebbe superiore al 12-13 per cento. Il dato preciso viene custodito come un segreto di Stato dalle autorità elvetiche, ma secondo altre fonti, come l’Ong “Declaration de Berne” che ha di recente pubblicato un report sul tema, il prelievo effettivo potrebbe essere ancora più basso, vicino al 5 per cento. Facile intuire, allora, perché Pinault abbia scelto la Svizzera come piattaforma per i propri affari.
Va segnalato un altro dato sorprendente. Nel 2013, l’intero gruppo Kering ha macinato utili per 1,2 miliardi. Significa che i due terzi dei profitti della multinazionale della moda arrivano dal Canton Ticino. Eppure da quelle parti non viene prodotto nulla, o quasi. Ci sono uffici commerciali, di marketing. E poi l’enorme magazzino in cui la merce viene confezionata, etichettata e quindi inviata a grossisti e distributori in giro per il mondo. Da dove arrivano, quindi, gli enormi guadagni registrati a bilancio dalla ticinese LGI? Per rispondere alla domanda si può cercare di ricostruire il percorso dei prodotti con la griffe di Gucci, che, come noto, sono “made in Italy”. I documenti ufficiali rivelano che esiste una società di Firenze, la Gucci logistica, che realizza gran parte dei propri ricavi grazie ai rapporti commerciali con la filiale svizzera. «Le vendite all’estero sono fatte prevalentemente verso la consociata Luxury Goods International», si legge nel bilancio dell’azienda toscana. Tradotto in cifre, significa che Gucci logistica ha incassato in totale nel 2014 circa 566 milioni. Di questa somma ben 512 milioni arrivano dal Canton Ticino, dalla LGI.
Lo schema è semplice, quindi. La società italiana vende a quella svizzera. E quest’ultima macina profitti a bassissimo prelievo fiscale. In altre parole, i tir con la merce griffata Gucci partono dalla Toscana per approdare pochi chilometri oltre il confine, nel centro logistico vicino a Bellinzona. Una parte di quei prodotti, una volta confezionati, riprendono la via dell’Italia, dove vengono finalmente messi in commercio. Grazie a questo gioco di sponda, il gruppo Kering incassa profitti supplementari per decine di milioni, perché la svizzera LGI paga imposte inferiori della metà, o anche di meno, rispetto a quelle correnti in Italia.
Contattato da “l’Espresso” il gruppo Kering precisa che tutte le loro società in Svizzera «svolgono attività economiche a tutti gli effetti». Non sono, quindi, scatole vuote costituite solo per risparmiare sulle tasse. Inoltre, spiega un portavoce del gruppo parigino, «lo status fiscale di Kering è ben conosciuto dalle autorità fiscali svizzere, italiane e francesi».
A ben guardare, però, la protezione anti-fisco risulta ancora più sofisticata. La filiale elvetica, infatti, dipende dalla Kering Luxembourg. Quest’ultima nel 2013 ha ricevuto dividendi per 812 milioni dalla sua controllata nel Canton Ticino. Grazie a questa maxi-cedola, la holding del Granducato ha chiuso il bilancio con circa 940 milioni di profitti. Sono guadagni esentasse, o quasi: solo 1,6 milioni di imposte. L’aliquota viaggia quindi intorno all’1 per cento. Sono i miracoli del fisco lussemburghese, che sommati al generoso trattamento svizzero, hanno l’effetto finale di gonfiare gli utili della multinazionale francese.
Come detto, Kering non è l’unica azienda globale sbarcata in Canton Ticino per risparmiare sulle tasse. Nel 2013, per esempio, il gruppo Armani ha pagato 270 milioni per sanare una controversia con l’Agenzia delle Entrate. La vertenza riguardava il domicilio fiscale di alcune controllate. Tra queste anche la GA Modefine di Mendrisio, a pochi chilometri dalla frontiera con l’Italia.
Sempre a Mendrisio, 15 mila abitanti sulla strada che porta da Lugano a Varese, ha piantato le insegne anche l’americana Abercrombie & Fitch. La multinazionale del casual per giovani e giovanissimi ha aperto un ufficio formalmente intestato a una propria controllata, la Abercrombie & Fitch Europe. Sei mesi fa, la casamadre americana ha completato un’operazione iscritta a bilancio per oltre 600 milioni di franchi svizzeri, più di mezzo miliardo di euro. In pratica, la Abercrombie statunitense ha trasferito alla sua filiale ticinese «proprietà intellettuali, licenze, permessi e altre autorizzazioni (...) per lo svolgimento dell’attività di distribuzione e vendita» via Internet in tutto il mondo con l’eccezione dell’America del Nord. A quanto si può capire, quindi, Mendrisio sarebbe diventata la base per il commercio in Rete del gruppo americano.
Dalla sede di Abercrombie bastano dieci minuti d’auto in direzione sud per incrociare un’altra corazzata della moda come VF corporation. Il nome dice qualcosa solo agli addetti ai lavori, ma questa multinazionale Usa controlla marchi di gran fama come Timberland, Patagonia, NorthFace, Vans, Wrangler e altri ancora. Un palazzo dalle linee eleganti, tutto vetri e acciaio, ospita il quartier generale per l’Europa del gruppo VF. Siamo in località Stabio, praticamente a ridosso del confine italiano. Anche qui non si produce nulla. Molti uffici, per il marketing, il design, la ricerca e sviluppo. E poi show room per i marchi del gruppo. Infine ristoranti e anche una palestra. La multinazionale delle Timberland non è arrivata qui per caso, ovviamente. I manager del colosso Usa hanno ottenuto forti sconti fiscali dalle autorità svizzere. Il comune di Stabio, per dire, ha addirittura azzerato l’imposta municipale.
Gli effetti di queste manovre si sono fatti sentire anche in Italia. L’impianto di Pederobba, nel trevigiano, l’unico controllato da VF nel nostro Paese, è stato chiuso già nel 2011. Comanda la Svizzera, ormai. A dirigere le operazioni è una società ticinese, la VF holding che controlla la VF sales. Entrambe hanno sede nel palazzo di Stabio. Per dare un’idea dei valori in gioco basta una cifra. La VF holding è iscritta nei conti del gruppo americano a un valore di 2,6 miliardi di dollari. Non è solo questione di numeri in bilancio, però. Dai documenti consultati da “l’Espresso” emerge infatti che è la società svizzera VF sales a tirare le fila delle vendite fuori dai confini elvetici. La VF Italia, per esempio, è legata alla sua consociata ticinese da un contratto di commissione. La prima, con sede a Milano, vende per conto della VF sales di Stabio, che paga una provvigione sulla base dei risultati commerciali. Tutto regolare? Nel 2014, il Fisco italiano ha contestato i rapporti tra la filiale italiana di VF e un’altra consociata, questa volta, in Belgio. Anche quest’ultima, come la già citata VF ticinese, ha stipulato un contratto di commissione con la VF Italia. Secondo l’Agenzia delle Entrate la società belga aveva di fatto costituito una stabile organizzazione in Italia senza dichiararla ai fini fiscali. «Il procedimento è ancora aperto», precisa un portavoce di VF. Nel giugno dell’anno scorso, al secondo grado di giudizio, il gruppo americano è stato, però, condannato a pagare una somma vicina ai 2 milioni di euro. Spiccioli, per un colosso che incassa oltre 12 miliardi di dollari l’anno. Con profitti per un miliardo.
ha collaborato Federico Franchini