Con la visita lampo a Bruxelles, Giorgia Meloni ha fatto il suo esordio sulla scena della diplomazia europea con l’obiettivo di consolidare l’immagine di capo di governo affidabile e pronto a trattare. La leader della destra italiana, un tempo orgogliosamente euroscettica, deve convincere i suoi interlocutori, a cominciare da Berlino e Parigi, che la linea dell’Italia non farà scarti bruschi rispetto alla gestione di Mario Draghi.
Finito il tempo delle dichiarazioni di principio, del tipo: «la pacchia è finita per l’Europa», Meloni è costretta a ritagliarsi uno spazio di manovra per arrivare a un compromesso con Bruxelles sulle questioni più rilevanti per il futuro dell’Italia: dal prezzo dell’energia alla gestione del deficit pubblico, legato anche alla riforma del patto di stabilità, fino alle modifiche del Pnrr e all’accoglienza dei migranti. Organizzati a tempo di record per garantire una prima vetrina mediatica al nuovo capo del governo di Roma, gli incontri con i vertici delle istituzioni Ue (la presidente del Parlamento, Roberta Metsola, quella della commissione, Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel) difficilmente si concluderanno con annunci clamorosi. La raffica di buoni propositi e buone intenzioni espresse da Meloni come dai suoi interlocutori serve però da preambolo benaugurante in vista dei negoziati decisivi, quelli in cui si entrerà nel merito delle questioni.
Si comincia già lunedì prossimo, con l’incontro tra i 19 ministri delle Finanze dell’Eurogruppo, a cui parteciperà Giancarlo Giorgetti. Il vertice è chiamato ad affrontare il tema dei deficit nazionali e di eventuali fondi supplementari, in deroga ai limiti fissati da Bruxelles, che gli Stati potrebbero utilizzare per proteggere famiglie e imprese dai rincari di luce e gas. Con la visita di ieri a Berlino, dove ha incontrato il collega tedesco Christian Lindner, Giorgetti ha iniziato a tessere la tela di una trattativa quanto mai complicata con il governo tedesco che si è già mosso in autonomia varando una manovra che prevede fino a 200 miliardi di aiuti per fronteggiare la crisi energetica.
Roma non può permettersi interventi di quella portata e chiede un’azione comune e concertata tra tutti i Paesi Ue, che però hanno esigenze e capacità di spesa molto diverse tra loro. Meno di due settimane fa, i ministri europei avevano già raggiunto un’intesa di massima sugli interventi per regolare il mercato energetico. Tra le misure previste c’è il coordinamento degli acquisti di gas tra i Paesi dell’Unione e un corridoio di prezzo (massimo e minimo) per evitare sbalzi troppo violenti delle quotazioni. C’è però ancora la massima incertezza sui tempi e i modi con cui questi provvedimenti verranno tradotti in pratica.
«Sulle bollette siamo pronti ad agire da soli il più velocemente possibile» ha più volte ripetuto Meloni, ma non c’è accordo neppure dentro la maggioranza di governo, con la Lega che spinge per dirottare risorse verso pensioni e taglio delle tasse. Sulla carta il governo potrebbe spendere fin da subito una ventina di miliardi, per metà ricevuti dalla gestione Draghi e in parte per effetto di incassi fiscali superiori alle attese. Per rispettare almeno in parte gli impegni presi in campagna elettorale e proseguire negli aiuti per il caro energia, ne servirebbero però almeno il doppio, una quarantina di miliardi, e qui sarà necessario trattare con Bruxelles. Vale lo stesso discorso anche per le modifiche al Pnrr. Meloni vorrebbe correggere alcuni capitoli di spesa, e in teoria anche le regole di Bruxelles lascerebbero spiragli in questo senso, perché l’aumento del prezzo delle materie prime ha corretto al rialzo il costo delle opere pubbliche previste nel piano.
Ma da Bruxelles sono già arrivati segnali chiari: nessun cambio di rotta, solo aggiustamenti. E allora c’è poco da fare: per trovare un punto d’equilibrio con i partner europei e spuntare un accordo, Meloni dovrà imparare il tedesco, una lingua che non ha mai apprezzato, come lei stessa ha raccontato nella sua autobiografia.