Diritti

«Questo patto uccide»: la rivolta delle Ong contro il nuovo accordo Ue sui migranti

di Chiara Sgreccia   11 aprile 2024

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Il Parlamento europeo ha approvato nuove procedure per la gestione dei migranti: un «giorno storico» per Von der Leyen, «vergognoso» per Medici senza frontiere e le altre associazioni. Ecco cosa prevede tra schedature, reclusioni e ricollocamenti fuori dall'Europa

«Oggi è un giorno vergognoso. Il Parlamento europeo ha votato il Patto sulle migrazioni, che avalla la violenza alle frontiere, criminalizza le Ong e sfida la gestione dei confini a paesi non sicuri. Questo patto rappresenta l’abolizione del diritto a chiedere asilo nell’Unione europea», ha commentato l’organizzazione internazionale Medici senza frontiere. Che, insieme ad altre ong, circa 160, tra cui Amnesty International, Human Rights Watch e International Rescue Committee, si oppone al nuovo Patto sui migranti che mercoledì 10 aprile 2024 è stato approvato dal Parlamento Ue, nonostante le divisioni interne ai Paesi membri dell’Unione e quelle che hanno spaccato sia i Socialisti, sia le destre riunite nel gruppo dei Conservatori e Riformisti europei.

 

«Questo patto uccide», hanno gridato i manifestanti che si sono riuniti fuori dal Palazzo di Bruxelles, in occasione del voto che ha dato il via libera al pacchetto di misure ideato dopo la crisi dei migranti del 2015, quando più di un milione di persone (per la maggior parte siriani) ha raggiunto l'Europa. «Oggi è davvero una giornata storica. Dopo anni di intenso lavoro il Patto di migrazione e asilo diventa finalmente realtà», ha commentato, invece, la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, anche se prima che le misure diventino operative mancano ancora passaggi importanti, come l’approvazione del Consiglio Ue. E la definizione di un piano di attuazione.

 

I 27 Stati dell’Unione avranno, infatti, due anni di tempo per prepararsi all’attuazione del nuovo patto che si divide in 10 macro-punti fondamentali: dall’incentivo ai meccanismi di solidarietà e di responsabilità) tra gli Stati - secondo cui «per aiutare i paesi soggetti a pressione migratoria, altri Stati membri contribuiranno ricollocando i richiedenti asilo o i beneficiari di protezione internazionale nel loro territorio, versando contributi finanziari o fornendo supporto operativo e tecnico» - alla garanzia di standard di accoglienza equivalenti per i richiedenti asilo per quanto riguarda, ad esempio, l’alloggio, l’istruzione e l’assistenza sanitaria.

 

Ma il nuovo patto per come gestire la migrazione verso l’Ue legittima anche misure più controverse, come l’invio di richiedenti asilo nei Paesi fuori dall’Unione che vengono considerati «sicuri» se una persona ha qualche legame con quel paese. E come lo screening di pre-ingresso (prelievo di immagini facciali e di impronte digitali) a cui saranno sottoposte le persone che non soddisfano le condizioni per entrare (le cui informazioni saranno archiviate nella banca dati Eurodac). Potranno essere schedati anche i minori da sei anni in poi.

 

Per fermare i migranti prima che entrino in Europa sarà necessario aprire lungo le frontiere appositi centri dove identificarli entro sette giorni. Così da rimandare rapidamente indietro chi non viene ritenuto idoneo. In questo modo, come avevano già spiegato a L’Espresso gli avvocati di Asgi, l’associazione per gli Studi giuridici sull’immigrazione, si legittima l’equivalenza tra migrante e criminale, consentendo di fatto la detenzione di chi non ha commesso alcun crimine: «Con la procedura accelerata in frontiera stiamo aggirando la convenzione di Ginevra, per smantellare il diritto alla protezione internazionale. Che in questo modo non è più il diritto del cittadino di essere accolto da uno Stato sicuro ma diventa la facoltà di presentare un’istanza amministrativa che non legittima l'accesso al territorio», aveva chiarito l’avvocato di Asgi Nicola Datena.

 

A schierarsi contro il nuovo Patto Ue non ci sono, però, solo le ong e alcuni eurodeputati democratici (come gli esponenti del Pd) ma anche i leader di Ungheria e Polonia, Viktor Orbán e Donald Tusk, che hanno sottolineato che non avrebbero accettato i ricollocamenti in base alle nuove regole di solidarietà, secondo cui un paese può chiedere al Consiglio Ue la dichiarazione dello “stato di crisi”. Che prevede la redistribuzione obbligatoria dei richiedenti asilo tra gli Stati altri membri, oppure, per chi si rifiuta, il pagamento di 20 mila euro per ogni mancato ricollocamento.

 

Anche alcuni rappresentati delle forze politiche più a destra hanno criticato la misura. Considerata non in grado di porre fine ai flussi di migrazione irregolare: «La Lega ha votato contro l'impianto di questa riforma, dopo aver proposto soluzioni di buonsenso per fermare le partenze e cooperare con i Paesi d'origine, tutte non prese in considerazione», ha commentato, ad esempio, il leader del Carroccio Matteo Salvini.