Il dossier

Ferrovie dello Stato punta alla Borsa: ecco i piani segreti in tempo di nomine

di Carlo Tecce   16 febbraio 2024

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Il governo ha bisogno di 20 miliardi di euro in 3 anni dalle aziende di Stato. E anche Fs è chiamata a partecipare: l'idea piace a Meloni e ai manager uscenti che con questa operazione avrebbero di sicuro il secondo mandato. Ma il ministero del Tesoro ha molti dubbi

Lo facciamo per rassicurare il mercato. Così il mercato ha impressioni positive. Il mercato ci osserva con attenzione. In nome del mercato, che è una entità astratta, parecchio diffidente, abbastanza sadica, e con questa diffidenza e questo sadismo maneggia l’abnorme debito pubblico italiano, il governo di Giorgia Meloni ha annunciato e quasi quasi programmato una serie di potature/dismissioni/vendite di pezzi/lembi/arti di aziende di Stato. Non per cedere il controllo di patrimoni nazionali tipo Eni, Enel, Poste e riproporre il pastrocchio Tim, lo ripete con didascalica premura il ministro di riferimento Giancarlo Giorgetti (Economia), ma per fare cassa: estrarre denaro – 20 miliardi entro il 2026 – per coprire il debito pubblico e quindi per blandire i mercati. Questa strategia, che di fatto sacrifica l’argenteria di famiglia, non è in discussione nel governo: o paga lo Stato piluccando miliardi da ricche aziende di Stato o paga il cittadino comune riversando ancora più oboli e tasse allo Stato. Però al Tesoro, apprende L’Espresso, sono più incerti, riflessivi e finanche perplessi su Ferrovie dello Stato, la capogruppo che controlla il trasporto di carichi merci e di passeggeri su rotaie e gomma fra capoluoghi di regioni e paesi montani e periferici e lo fa con Anas, Trenitalia, Busitalia, Mercitalia e soprattutto possiede la rete di Rfi, i servizi, la logistica, la manutenzione.

 

A differenza di Eni e di Poste, Ferrovie dello Stato non è quotata in Borsa, non è predisposta a una piazza di Borsa; le tratte locali vivono di sussidi pubblici, i miliardi di euro sborsati ogni anno per la rete di Rfi sono finanziati dallo Stato e col Piano nazionale di Ripresa e Resilienza ce ne sono 25 di miliardi (circa 18 ancora da spendere in un paio di anni) e poi c’è il Ponte sullo Stretto che vuole il ministro Matteo Salvini. E sempre a differenza di Eni e di Poste, Ferrovie dello Stato è un’azienda totalmente statale con i suoi vertici in scadenza di mandato a maggio: Nicoletta Giadrossi presidente, Luigi Ferraris amministratore delegato. Questo incrocio di date e di soldi fa di Ferrovie la più appetitosa azienda statale per la politica e perciò per il governo che la influenza. La presidente Meloni, nella conferenza stampa d’inizio anno, ha dichiarato con approssimazione che per Ferrovie c’è la «possibilità di fare entrare i privati». Allora a Ferrovie sono venuti giù i magazzini. Dov’è quel piano di vent’anni fa? Non è la prima volta che Ferrovie sta per concedersi ai privati. Come entrano questi privati e, se entrano, poi che vogliono? Ferrovie fa sapere che «valutazioni e decisioni spettano al Tesoro. In ogni caso ci faremo trovare pronti». Tutti notano che l’ad Ferraris nelle sue biografie riporta con cura le esperienze di quotazioni in Enel e in Poste. Più che farsi trovare pronti, a Ferrovie sono già pronti. Il buon costume fra azienda vigilata e istituzioni vigilanti impone un profilo basso, ma i confronti fra Ferrovie e il Tesoro sono avviati da mesi e sono più frequenti in queste settimane.

 

Il primo dilemma: quotare in Borsa l’intera Ferrovie dello Stato con le sue ramificazioni oppure quotare le partecipate che hanno bisogno di efficienza (Trenitalia) e rattoppi (Mercitalia)? La quotazione di Trenitalia che ha dentro Busitalia, per esempio, potrebbe attrarre privati in cerca di investimenti protetti e con moderate aspettative, ma il contributo economico per lo Stato sarebbe assai limitato. Invece la quotazione di Ferrovie dello Stato, risolta la sua funzione pubblica per il trasporto locale, potrebbe intrigare i fondi che hanno grossa liquidità e altrettanto grosse pretese di rendimento. Com’è accaduto per Tim che sta per varare la rete unica “nazionale” con il fondo americano Kkr senza Open Fiber e qualche dubbio diffuso. Com’è accaduto per Autostrade dopo la tragedia del ponte Morandi sotto la gestione dei Benetton, è rientrata a caro prezzo allo Stato con Cassa Depositi e Prestiti e il supporto non disinteressato dei fondi Macquarie e Blackstone che hanno ottenuto un trattamento sontuoso attraverso i patti parasociali.

 

 

Nonostante questi precedenti non incoraggianti, la quotazione di Ferrovie dello Stato completa (13,7 miliardi di ricavi nel 2022), spiegano fonti qualificate a L’Espresso, è il piano che il Tesoro sta esaminando. A Ferraris una quotazione totale allunga la vita, per il governo significa miliardi di euro. Palazzo Chigi e Ferrovie dello Stato concordano. Ci sono da superare le esitazioni del Tesoro che dipendono dal modello di operazione. Ragioni tecniche, non politiche. I fondi stranieri, che già sono allertati da una banca d’affari americana, dovranno sgomitare per ghermire il 20/30 per cento di Ferrovie lasciato in Borsa al libero mercato. Il timore non riguarda lo scarso successo. I fondi infrastrutturali sono costantemente a caccia di reti, telefoniche, autostradali, ferroviarie, perché le reti hanno un valore che non marcisce. Figurarsi le reti in regime di monopolio come quelle di Rfi.

 

I fondi possono elargire denaro per il cantiere in provincia di Bari e per la magnifica opera in provincia di Trieste, ma vogliono la garanzia che il capitale frutti nel tempo. Il meccanismo «Rab» (Regulatory Asset Base) è il metodo adottato per remunerare l’investimento, è una previsione di crescita, potrebbe oscillare fra il 7 e il 10 per cento. Se le previsioni sono eccessivamente sbagliate, chi garantisce i fondi? Lo Stato è limitato dalle norme, rischia che la spesa sia calcolata in debito pubblico da Eurostat. L’effetto contrario. Nel settore elettrico gli investimenti pesano sulle bollette, e quindi per i treni pesano sui biglietti. Quanto dovrebbe costare un biglietto di un treno fra due cittadine di provincia per rimborsare i fondi? Ferrovie potrebbe replicare che i margini per i fondi si possono scaricare sui pedaggi per le compagnie che usano la rete e non sui biglietti dei passeggeri. Assai opinabile. La differenza è semplice: con il Pnrr europeo o con le obbligazioni lo Stato si indebita a tassi calmierati, con la quotazione in Borsa si indebita ugualmente lo Stato però a tassi triplicati. Con una stima prudente, cioè senza sopravvalutare le decine di miliardi di euro in opere già stanziate, Ferrovie potrebbe recuperare 4-5 miliardi con la cessione in Borsa di un 20/30 per cento. La quotazione di Ferrovie potrebbe avvicinare il governo all’obiettivo dei 20 miliardi con le privatizzazioni e Ferraris all’obiettivo del secondo mandato. La parabola del buon passeggero dice: mai attendere oziosamente il treno al binario prefissato senza verificare sul tabellone cos’è successo. Insomma, mai attendere il treno al binario senza verificare cosa sta per succedere al Tesoro.