Guerre di religione

La corsa alla Casa Bianca sta spaccando anche i cattolici negli Stati Uniti

di Marco Grieco   20 febbraio 2024

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Temi come ambiente, diritti e aborto dividono i fedeli. E la destra aggressiva contesta papa Francesco mentre vede in Trump il salvatore dei costumi della società. Una frattura che sembra destinata ad allargarsi

«Giugno 1946: Dio guardò dall’alto il suo progetto di paradiso e disse: “Ho bisogno di un custode”. Così Dio ci diede Trump». Inizia così un video promozionale che, intrecciando la vita pubblica di Donald Trump a quella privata, dipinge l’ex presidente degli Stati Uniti come l’uomo scelto da Dio per guidare ancora una volta il Paese. Il video, pregno di retorica messianica, non è piaciuto a tutti i cristiani. Di sicuro non al leader evangelico Bob Vander Plaats, che alla vigilia dei Caucus in Iowa aveva rifiutato la corsa di Trump, opponendogli il repubblicano Ron De Santis. Ma nello Stato Trump ha toccato il picco dei consensi anche col sostegno della destra religiosa, che vede in lui il prescelto destinato da Dio a rendere gli Stati Uniti d’America quella Città sulla collina cantata dal puritano John Winthrop. Collina, quella del mito cristiano, che non ha nulla da spartire con la scalata di liberazione degli ultimi della poesia “The Hill we climb”, scritta da Amanda Gorman e da lei stessa recitata nella cerimonia di insediamento del presidente Joe Biden. L’ascesa al Colle capitolino dell’ex tycoon, al contrario, si fregia di una retorica dove “faith” e “fight” – cioè fede e violenza – sono le due, imprescindibili coordinate della corsa al potere.

 

Non importa che, passando dall’Atlantico al Tevere, papa Francesco faccia costantemente appello alla pace, sia nei contesti macroscopici come i conflitti mondiali, che in quelli microscopici come il chiacchiericcio. La guida del cattolicesimo mondiale non riesce a schiodare buona parte dei credenti statunitensi dal loro sostegno a The Donald. È il prezzo pagato dalla domestic policy americana logorata da una guerra culturale che risale almeno alla candidatura del democratico John Kerry, cattolico e inviso ai vescovi per il suo sostegno all’aborto: «Nella chiesa cattolica americana esiste già una sorta di guerra civile o uno scontro di visioni», spiega Katherine Stewart, autrice de “The Power Worshippers”, saggio che analizza il revanscismo cristiano a stelle e strisce e i suoi leader catalizzatori: «Il ruolo dei cattolici di destra è vasto, ma generalmente sottostimato –  puntualizza – alla leadership del movimento, intellettuali e teologi cattolici forniscono gran parte del supporto accademico e teorico (si pensi a Richard John Neuhaus e Michael Novak e ai loro successori oggi, tra cui Adrian Vermeule e Robert P. George). Cattolici super ricchi come Timothy Busch, Tom Monaghan e Sean Fieler sono grandi finanziatori di istituzioni e cause di destra».

 

Chi si sta facendo strada è Leonard Leo, già vicepresidente esecutivo della Federalist Society e guida di un movimento che ha come obiettivo la costruzione di un ecosistema conservatore in settori chiave della politica, come la giustizia. Leo è espressione di una classe dirigente consapevole che la democrazia Usa non sarà mai basata sui valori cristiani da essa propugnati. Da quando nel 2022 la Corte Suprema ha annullato la storica sentenza sull’aborto Roe vs. Wade, in vari Stati si sono moltiplicati i tentativi di utilizzare lo strumento del referendum per sancire il diritto della donna di interrompere una gravidanza. Così, ciò che resta è traslare le guerre culturali su un livello più alto e inaccessibile alla gente comune: «Si tende a collocare la genesi dei conflitti nelle controversie teologiche, nelle tendenze culturali o in altri fattori puramente sociali. Ma la realtà è che il movimento di destra americano muove grandi quantità di denaro. A capo di iniziative che portano denaro in think tank di destra, organizzazioni di difesa legale e altre cause, Leonard Leo ha svolto un ruolo vitale nella creazione delle guerre culturali attualmente rivolte contro le istituzioni democratiche americane», spiega Stewart. Fra i terreni di scontro più aspri c’è il sistema scolastico, trincea dove le questioni più urgenti, come i diritti delle persone Lgbtqia+, l’ecologia, la secolarizzazione sono gli elementi di maggiore frizione fra repubblicani e democratici.

 

Sono tutte questioni in cima all’agenda di papa Francesco, che in questo pontificato le ha toccate più volte, se si pensa a documenti come l’enciclica “Laudato si’” e la dichiarazione “Fiducia Supplicans”. Proprio per questo, la sua popolarità negli Usa, pur toccando picchi del 58 per cento, è in netto calo rispetto al 2014, quando era a 77 punti percentuali (sondaggio Gallupp). Una certa retorica anti-Bergoglio è, anzi, funzionale alla mitopoiesi degli Usa quale faro morale del mondo, come dimostrano l’ascesa messianica di Trump da un lato e la resistenza dei vescovi dissidenti che si autoeleggono a martiri dall’altra. Per esempio, il sit-in al confine col Messico di Mike Johnson, leader dei repubblicani alla Camera, per mostrare l’incapacità di Biden nella gestione della crisi migratoria, ha la stessa portata performativa del rosario recitato dal radiato vescovo del Texas Joseph Strickland mentre era in corso la conferenza dei vescovi americani a Baltimora. È il segno di un nazionalismo religioso che assume sempre di più i contorni di una vera e propria guerra civile, come spiega Stewart: «Esiste già questa, o uno scontro di visioni, nella Chiesa cattolica americana. E penso che questi conflitti continueranno indipendentemente dal fatto che Trump venga eletto o meno». Il rischio tangibile, come dimostra la volontà dell’ex nunzio Usa Carlo Maria Viganò di creare un eremo in provincia di Viterbo per gli epurati di papa Francesco, è che questa guerra abbia già superato l’Atlantico.