Stati Uniti

«Le leggi contro l'aborto uccidono noi donne»

di Manuela Cavalieri e Donatella Mulvoni   16 aprile 2024

  • linkedintwitterfacebook

Per la vaghezza delle norme, le donne in gravidanza rischiano di morire. La testimonianza di Amanda Zurawski, texana diventata attivista. E se vince Trump i diritti faranno altri passi indietro

C’è un nome che più di tutti incarna la lotta delle americane contro le leggi architettate negli ultimi due anni per strappare loro diritti e libertà di scelta. È quello di Amanda Zurawski, che ha rischiato di morire dopo essersi vista negare in ospedale un aborto terapeutico. Grazie al suo coraggio, il caso “Zurawski vs State of Texas” è una delle cause più importanti e attese in materia. Come lei, centinaia di donne nello sconforto e nella rabbia hanno trovato la forza di denunciare. Molte sono diventate attiviste, altre sono scese in politica. Per tutte l’obiettivo è evitare che l’attuale pulviscolo di nuove norme statali inghiotta interamente cinquant’anni di diritti, sfregiati nel 2022 quando la Corte Suprema annullò la sentenza Roe vs Wade che dal 1973 tutelava l’aborto a livello federale; ma anche fare pressioni in vista delle prossime decisioni, tra cui quella che determinerà il fato della pillola abortiva.

 

Le leggi approvate o entrate in vigore dopo lo storico  pronunciamento hanno gettato donne e operatori in totale confusione. Per la maggior parte i divieti vigenti non proibiscono del tutto l’aborto ma prevedono eccezioni in caso di pericolo per la gestante oppure in presenza di stupro o incesto. Le concessioni, però, sono pochissime a causa di parametri rigidi o soggetti all’interpretazione del medico.

 

E i giri di vite non si fermano. Nella Florida del governatore ultraconservatore Ron DeSantis,  la Corte locale ha appena spianato la strada a un provvedimento che dal primo maggio metterà fuorilegge l’Ivg dopo sole  sei settimane. Una decisione che allarga la cartina geografica del sud est proibizionista.

 

Eppure, sempre in Florida, in una decisione separata la Corte ha anche stabilito che i cittadini potranno decidere con un referendum se emendare la loro Costituzione proteggendo l’accesso all’aborto. Voteranno il  5 novembre, quando saranno anche chiamati a scegliere il prossimo presidente.

 

Se per l’attuale inquilino della Casa Bianca e candidato Joe Biden la difesa dei diritti delle donne è topic centrale in campagna, l’avversario repubblicano Donald Trump, pur avendo posizioni ballerine, strizza l’occhio alla destra più conservatrice intestandosi l’annullamento di Roe. Il tema giocherà un ruolo determinante alle prossime presidenziali. Nonostante la maggioranza degli americani (il 64%, secondo Ap-Norc) sia convinta che l’aborto debba essere legale in tutti o nella maggior parte dei casi.

 

Zurawski, perché i medici le hanno fatto rasentare la morte?
«A causa della vaghezza delle leggi approvate da molti Stati come il Texas per limitare quasi a zero la possibilità di interrompere la gravidanza. Sono rimasta incinta nel 2022; alla 18esima settimana si è verificata una dilatazione prematura e mi si sono rotte le acque. Non c’era speranza che il bambino sopravvivesse. Secondo prassi il medico avrebbe dovuto prescrivere un aborto per evitare gravi infezioni. Io, però, non avevo i requisiti per richiederlo: uniche eccezioni al divieto dopo sei settimane sono il cuore del feto che cessa di battere o il pericolo di vita della madre».

 

Zurawski con il presidente Joe Biden

 

Lei, insomma, grazie a questa legge statale, per salvarsi ha prima dovuto rischiare la morte.
«Esatto. È successo pochi giorni dopo, quando sono andata in shock settico. Solo in quel momento i dottori sono intervenuti. È stata un’esperienza orribile per me, ma anche per mio marito e i miei genitori che non sapevano se sarei riuscita a superare la notte. Sono stata anche in terapia intensiva».

 

La sua storia non è unica. In tutti gli Stati in cui vigono restrizioni sono numerosi i casi in cui i medici decidono di non intervenire anche quando potrebbero. Sono loro i primi a denunciare la vaghezza della formulazione dei regolamenti.
«Hanno paura di essere citati in giudizio. La Corte Suprema finora non ha contribuito a chiarire  i parametri delle eccezioni. Così come sono ora, i divieti in Texas e in altri Stati simili lasciano tutti, in ogni comparto dell’assistenza sanitaria, con le mani legate. Io sono una vittima di questo modus operandi».

 

Per questo ha, insieme ad altre donne, denunciato lo Stato del Texas. Con quali obiettivi?
«Con questa causa, a breve termine, speriamo che la Corte chiarisca il linguaggio delle leggi. A lungo termine, vogliamo dar voce a chi ha vissuto situazioni simili, in Texas come in Iowa, Tennessee, ecc. Noi siamo state le prime a farlo, ma in moltissime ci stanno seguendo».

 

Voleva diventare mamma e si è ritrovata attivista, il volto di una battaglia che ormai tocca le donne di mezza America.
«Sono una persona privilegiata, con un lavoro, una famiglia e una buona assicurazione sanitaria. Quello che è successo a me è capitato ad altre in tutto il Paese. Molte, però, non hanno le mie possibilità. E io sento la responsabilità di lottare anche per loro. Non mi fermerò finché non cambierà qualcosa».

 

Raccontiamo sempre i drammi di chi non può abortire per scelta, ma queste leggi ritenute così discrezionali mettono tutte in pericolo. Persino un aborto spontaneo in alcuni casi rischia di essere letto come indotto volontariamente e quindi fuorilegge. Sta alle persone poi doversi difendere.
«È cambiata la vita di tutti. Se vorrò avere un figlio, a causa dei danni fisici che ho subito dovrò ricorrere all’aiuto di una madre surrogata. Ma non voglio trovarla in Texas, perché so che c’è il rischio di non avere la possibilità di accedere all’assistenza sanitaria di cui si potrebbe aver bisogno. Molte lasciano lo stato perché hanno paura di rimanere incinte qui. Una persona che conosco ha consigliato ai figli che studiano al college di non tornare in Texas a cercare lavoro. Si tratta di una mamma che allontana da sé i figli per proteggerli».

 

In tanti si chiedono come sia possibile che i legislatori non avessero ipotizzato questo caos con leggi dalle maglie così larghe. Che risposta si è data?
«Non è stato un errore, ma una scelta voluta. Prima dell’approvazione di questi divieti i medici avevano avvertito i legislatori prevedendo questa situazione. Hanno proceduto lo stesso. È una questione di controllo e di grande ipocrisia. Sono a favore della vita solo quando conviene. A Houston un uomo è stato condannato a soli 200 giorni di detenzione, con l’accusa di aver cercato di far abortire la fidanzata facendole ingerire un farmaco abortivo. Se però sei un medico e ritieni che in un determinato caso sia necessario praticare un aborto, rischi di perdere la licenza e andare in prigione se i giudici non concordano sulla gravità della salute della donna».

 

Le fa paura un possibile Trump bis?
«È un’ipotesi terrificante. Non solo potrebbe rendere ancora più conservatrice la Corte con la nomina di altri giudici di destra, ma ha già detto che si batterà per una legge nazionale che metta al bando l’interruzione di gravidanza. Se questo avvenisse, anche chi vive in Stati sicuri come, ad esempio, l’Illinois non sarebbe più al riparo».