Diritto allo studio

Nella scuola tutta ordine e disciplina di Valditara punire conta più che insegnare

di Chiara Sgreccia   14 febbraio 2024

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Mentre il ministro dell'Istruzione e del Merito incentiva la linea dura nel reprimere il dissenso, gli studenti ricordano che dietro le proteste c'è la voglia di migliorare un'istituzione che dovrebbe essere democratica

In piedi, accanto alla cattedra, lo studente racconta la sua versione dei fatti. Di fianco c’è il dirigente scolastico, poco distante il professore che mette a verbale le dichiarazioni. Seduti tra i banchi, i docenti, i rappresentati dei genitori, quelli di classe. Dietro la porta, gli altri studenti in attesa del proprio turno per spiegare le ragioni dell’occupazione dello scorso dicembre, durata quattro giorni. Così, come se la classe fosse l’aula di un tribunale, si sono svolti i colloqui al Liceo classico “Torquato Tasso” di Roma per discutere dell’emanazione dei provvedimenti disciplinari nei confronti di 170 ragazzi e ragazze che si sono autodenunciati. «Perché hai deciso di partecipare all’occupazione?». «Prometti che il prossimo anno non lo farai di nuovo?». Consigli di classe simili a processi, ma con sentenze già scritte – 5 in condotta nel trimestre e sei giorni di sospensione, quattro con i lavori socialmente utili – forse più utili a mettere alla gogna lo studente che a insegnare qualcosa.

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«La reazione è stata quella che mi aspettavo. A essere discutibile non è il preside che applica il regolamento d’istituto, approvato di fretta un anno fa, proprio durante la scorsa occupazione. Ma che questo preveda provvedimenti sproporzionati. Così finisce che, indipendentemente dall’opinione che si ha delle occupazioni, nessuno ascolta le voci degli studenti. Che si espongono con l’obiettivo di migliorare la scuola. Ma probabilmente sono voci scomode». A parlare è Marcello Ambrogi, rappresentante d’istituto del “Tasso”, deluso, nonostante abbia deciso di non partecipare all’occupazione, dall’indifferenza della politica nei confronti delle ragioni per cui gli studenti protestano: costruire una scuola che conosca i reali bisogni di chi la vive. «L’intervento del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, è emblema del disinteresse. Immediato l’apprezzamento per la fermezza del nostro preside, ma neanche una parola sui contenuti che hanno sorretto l’ondata di proteste».

 

Il “Tasso”, infatti, non è un caso isolato. Al Liceo Virgilio, sempre a Roma, l’atto con cui sono stati contestati gli addebiti disciplinari è diventato una lista pubblica con nomi, cognomi, classe degli studenti che hanno partecipato all’occupazione, divisi tra «recidivi» e «novellini», da cui evincere le sanzioni. All’Ites “Jacopo Barozzi” di Modena uno studente rischia 12 giorni di sospensione per aver rilasciato un’intervista che la preside ha ritenuto lesiva dell’immagine della scuola. Sono parecchi gli istituti in cui la linea dura dei dirigenti ha preceduto la circolare che, il 5 febbraio scorso, il ministro Valditara ha fatto recapitare a tutte le scuole. Per spingere i presidi ad applicare i provvedimenti disciplinari previsti dai regolamenti, a denunciare i possibili reati di cui gli studenti si potrebbero rendere responsabili durante le occupazioni, per individuare gli autori degli eventuali danni e caricare su di loro i costi.

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«La piazza romana fa sempre rumore, ma le segnalazioni di ripercussioni sproporzionate nei confronti degli studenti ci arrivano da tutta Italia», spiega Paolo Notarnicola, coordinatore nazionale della Rete degli studenti medi che sottolinea come nell’ultimo periodo la repressione stia trovando maggiore spazio nelle scuole rispetto all’ascolto. Perché «a livello mediatico prevale la visione dei giovani come criminali. Incentivata subito dal governo con il decreto Rave, oggi passa anche attraverso la riforma in discussione al Senato sul voto in condotta. Uno strumento più retorico che di contenuto, con cui si trasforma il voto in condotta in soglia per far scattare bocciatura e debito in educazione civica. E con cui si modificano i servizi socialmente utili, i quali non saranno più svolti esclusivamente all’interno degli istituti, come forma di riparazione del danno, ma potranno essere svolti anche in strutture esterne. Di fatto, diventeranno sempre meno sanzioni disciplinari e sempre più pene. Anche se non è detto che alla sospensione corrisponda un reato».

 

Per Elisabetta Piccolotti, deputata di Alleanza Verdi e Sinistra, il ministro dell’Istruzione interviene continuamente con l’obiettivo di legittimare l’esperienza autoritaria: «È ossessionato dal Sessantotto, convinto che la scuola non funzioni per l’assenza di disciplina e per lo sgretolarsi della gerarchia. Una visione, però, che non è supportata da alcuna prova. E che preoccupa, perché sembra voler impedire agli studenti di riflettere criticamente sui fatti». Una forma d’imposizione della disciplina che è ancora più fastidiosa, secondo Piccolotti, in quanto contribuisce ad allontanare dalla politica proprio quei giovani a cui, invece, viene o verrà chiesto di esercitare il diritto/dovere di voto. «Stiamo lavorando a una proposta di legge che impedisca che occupazioni e autogestioni possano configurarsi come motivi di sospensione, bocciatura, 6 in condotta, o come reati. Per tutelare la formazione dello studente come persona, dentro paletti chiari, come il fatto che non ci siano danni agli istituti. Serve non fare di tutta l’erba un fascio, senza distinguere tra espressione del dissenso e atti di violenza». 

 

La prima è necessaria alla scuola perché si caratterizzi come istituzione democratica. I secondi sono sintomo di un disagio che, oltre a essere punito, dovrebbe essere compreso, per porvi rimedio. Invece di ipotizzare, come ha fatto il ministro a proposito delle aggressioni contro i docenti, che l’arrivo delle forze dell’ordine negli istituti più a rischio possa essere una soluzione.