Poltorne d'oro

Francesco Vaia, il potente della sanità spina di Orazio Schillaci

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L’ex dg dello Spallanzani è stato imposto dalla premier alla Salute, al fianco del ministro che lo vive come una minaccia. Perché il superdirettore della prevenzione scalpita già

Il più vaccinato dei vaccinati dicono sia lui. Passato praticamente indenne da bufere giudiziarie, scandali, controversie contabili e governi di ogni colore, oggi Francesco Vaia, direttore di tutto, direttore da sempre, siede nella poltrona di capo – direttore generale, manco a dirlo – della prevenzione al ministero della Salute. Nato socialista, poi vicino a Francesco Storace, quindi avversario giurato dell’ex ras della sanità laziale, Alessio D’Amato(già dem ora Azione), poi suo alleato e sodale durante gli anni all’Istituto Spallanzani, Vaia è uno dei più ascoltati e influenti consiglieri di Giorgia Meloni che lo ha voluto al ministero l’estate scorsa.

 

Nulla di strano per un medico napoletano, classe ’54, specializzatosi a Roma in statistica sanitaria che alle cartelle cliniche ha preferito presto i bilanci da manager. Con frequentazioni capitoline ad ampio spettro e una certa attitudine all’apparire che i mesi dell’incubo Covid gli hanno permesso di sviluppare. Di bollettino in bollettino. Con una sfilza di annunci sui vaccini: dall’accordo poi stracciato con ReiThera fino alla nebulosa vicenda del rimedio russo Sputnik V, benedetta da Vladimir Putin in persona.La sua ingombrante presenza negli uffici romani del ministero è vista quasi come un’imposizione della presidenza del Consiglio, subita dal titolare del dicastero, Orazio Schillaci, che lo percepisce come una minaccia. Tanto più che in quelle stanze Vaia ha ritrovato Giuseppe Ippolito, ex direttore scientifico dello Spallanzani, uno del fronte degli studiosi andato via proprio durante la sua gestione, seguendo le ricercatrici che per prime avevano isolato il virus e l’ex dg scalzata Marta Branca. Che a Vaia, del resto, non faccia difetto la capacità di scalare posizioni lo dimostra l’intera parabola della sua carriera, costellata di infortuni, risolti egregiamente e per apparecchiare la quale gli fu cucita addosso anche una norma ad personam.

 

Accadde quando da facente funzioni bisognava insediarlo definitivamente e per tre anni alla guida dell’Istituto nazionale Malattie infettive “Lazzaro Spallanzani” che già guidava provvisoriamente, dopo essersi lasciato alle spalle la ruggine con D’Amato. Ma nel 2022 Vaia aveva contro l’anagrafe. Il limite d’età che gli era d’ostacolo fu polverizzato da un emendamento trasversale nella legge sulla capienza negli stadi e la nomina targata D’Amato-Zingaretti ebbe via libera. Con la fedina penale sbiancata dal tempo trascorso, alle spalle una condanna patteggiata a un anno e 7 mesi per un giro di tangenti nella sanità napoletana quando brillava la stella del socialista Giulio Di Donato, Vaia è poi incappato nell’inchiesta sul giro di mazzette in quella laziale. Era l’indagine chiamata “Lady Asl”, sviluppata dal racconto di Anna Iannuzzi, la manager della sanità privata che aveva vuotato il sacco. A Vaia costò la latitanza, ma la storia poi si risolse in nulla. Derubricato il reato, arrivò la prescrizione. Così come il superdirettore ha potuto archiviare un danno erariale colposo nella vicenda di un concorso all’Asl Roma 2. Ha concluso e incassato anche alcune migliaia di euro dalla Asl che aveva guidato. Alla Corte dei Conti non è rimasto che rivalersi, eventualmente, sui cinque dirigenti che hanno sottoscritto l’accordo. E il cavaliere Vaia, nominato da Sergio Mattarella, non è solo immune ma anche senza macchia.