Sono passati 25 anni dall'assassinio della giornalista del Tg3 e del suo operatore Miran Hrovatin. Grazie al lavoro di tanti giornalisti si è riuscito a smontare un depistaggo e a fare un po' di luce su cosa successe a Mogadiscio. Ma non basta

Ilaria Alpi e Miran Hrovatin
È deludente constatare che in 25 anni la giustizia e la politica, attraverso una commissione parlamentare, non siano riuscite ad accertare mandanti ed esecutori dell’agguato alla giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e all’operatore Miran Hrovatin. Ma sul loro assassinio, a Mogadiscio il 20 marzo 1994, non può essere posta la parola fine. Le inchieste giornalistiche hanno scoperto inganni e omissioni, ritardi e complicità, zone d’ombra e incongruenze, indagini frastagliate o depistate. Grazie alla tenacia dei genitori di Ilaria, Luciana e Giorgio Alpi, che hanno lottato, per avere la verità, fino all’ultimo giorno.

Il lavoro dei giornalisti che hanno indagato fin dal momento dell’agguato ha permesso di ricostruire ciò che è accaduto a Mogadiscio mentre le truppe italiane lasciavano la Somalia. È proseguito fino ai nostri giorni. Ed ha provato che l’unico presunto sicario incarcerato per 16 anni era innocente e la sua condanna frutto di un depistaggio. Come ha dimostrato lo scoop di Chiara Cazzaniga della redazione di “Chi l’ha visto?” che ha lavorato a lungo su questa vicenda, sotto la spinta di Federica Sciarelli, amica e collega al Tg3 di Ilaria Alpi.
I giudici della Corte d’assise di Perugia hanno scritto la parola depistaggio nella sentenza di revisione che ha assolto l’unico somalo portato a processo. Senza il lavoro di un gruppo di bravi giornalisti molti fatti sarebbero rimasti sconosciuti e magari avremmo ingoiato una falsa verità.

La Procura di Roma coordinata da Giuseppe Pignatone ha sottolineato la difficoltà di un’inchiesta partita un quarto di secolo fa, quando la situazione politica della Somalia non consentiva indagini accurate e mancava una polizia degna di questo nome. Per i magistrati «l’ipotesi più attendibile sul piano logico rimane che la decisione omicida sia stata motivata dal fatto che Ilaria Alpi si interessava di qualcuno dei traffici illeciti fiorenti in quell’epoca in Somalia» e che «la giornalista poteva essere venuta a conoscenza di qualcosa di importante e compromettente, anche per soggetti o istituzioni italiane».

Ilaria era in Somalia per documentare e svelare storie, per trovare e raccontare notizie scomode per qualcuno.
«È giusto riconoscere che, dopo 25 anni di indagini e processi, magistratura e Commissione Parlamentare non sono riuscite, nonostante i loro sforzi, a identificare i responsabili né ad accertare con sicurezza la causale del delitto. Ma è anche giusto, credo, riconoscere le eccezionali difficoltà derivanti dal fatto che l’omicidio è avvenuto in Somalia, una regione, allora come oggi, in preda alla guerra civile e agli scontri tra clan rivali», dice Pignatone a L’Espresso. E aggiunge: «Voglio fare una considerazione sull’archiviazione, anche dopo molti anni, di procedimenti che hanno interessato e commosso l’opinione pubblica. Spesso si dice che in questo modo non si cerca più la verità e si rinuncia a punire i colpevoli. Non è così».

Per Pignatone «la richiesta di archiviazione consente alle persone offese, e quindi all’opinione pubblica, la conoscenza degli atti. E quindi non solo la possibilità di suggerire nuove piste investigative, ma anche quella, propria di una democrazia, di giudicare e anche criticare l’operato dei magistrati e della polizia giudiziaria. Se non ci sono più utili spunti di indagine, l’esistenza di un procedimento aperto per anni non genera di per sé nessun elemento di prova e allora l’archiviazione è imposta dalla legge. Per altro verso, la chiusura del procedimento non impedisce di riaprirlo e di ricominciare le indagini se, in qualunque modo, emerge un fatto significativo. Tutto questo può essere particolarmente vero in un caso come quello di Ilaria Alpi. L’informazione era il suo lavoro, per cui è vissuta e per cui, con ogni probabilità, è stata uccisa. Proprio il mondo dell’informazione potrebbe continuare a cercare di capire, anche al di là dei limiti della verità processuale, le vere ragioni della sua morte».

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