Cultura
26 ottobre, 2007

Senso

La battaglia di Custoza simbolo della decadenza. Con Alida Valli, Massimo Girotti, Farley Granger

C'è una memorabile sequenza che svela tutta la bellezza e la forza di "Senso" (1954), il capolavoro di Luchino Visconti a suo tempo osteggiato dalla censura. È l'alba dopo una notte d'amore fra la contessa Livia Serpieri (Alida Valli) e il tenente austriaco Franz Mahler (Farley Granger): è l'alba dell'addio. Il cielo livido, il vento che muove le tende e la complice sinfonia di Bruckner sottolineano la follia della donna, accrescono la disperazione di questo momento di struggente, infinito languore. Puro melodramma. «Ogni mia opera è intrisa di melodramma», spiegava Visconti, grande appassionato d'opera. Ma qui il languore ha una potenza espressiva mai vista. E tutto il film, ambientato nei giorni della battaglia di Custoza, è il potente affresco di una disfatta storica: non solo quella dell'esercito del generale La Marmora (ammiratissime le sequenze della battaglia, degne dei quadri dei macchiaioli) ma della fine di tutto un mondo. È il paradigma del Risorgimento come "rivoluzione incompiuta". I protagonisti, chiusi nelle proprie futili tragedie, pretendono di partecipare alle grandi vicende della storia, ma restano, alla fine, solo spettatori. Il film comincia infatti con la rappresentazione del "Trovatore" di Verdi alla Fenice di Venezia.

La bellissima contessa Serpieri, sposata a un collaborazionista, nutre sentimenti irredentisti, ma alla fine, pazza d'amore, arriverà a tradire i patrioti. Il vile tenente Franz, che si serve di lei, rappresenta l'Austria, un mondo di decadenza. Il marchese Ussoni (Massimo Girotti) è il patriota di una realtà nascente, dell'Italia che si sta formando. A quello che poi si chiamò "Senso", come il libro di Camillo Boito dal quale è tratto, Visconti avrebbe voluto dare il titolo "Custoza", quasi a sottolineare il suo interesse predominante per la vicenda storica. Ma l'offesa di quella sconfitta era ancora troppo bruciante per essere ricordata così platealmente. Secondo il critico Guido Aristarco, "Senso" è il primo film che segna il passaggio dal neorealismo al realismo, cioè all'interpretazione critica della realtà. Dopo, sarebbe arrivato "Rocco e i suoi fratelli".

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