Aperti solo il fine settimana, code alla cassa con tanto di transenne e buttafuori, musica trance sparata a tutto volume, negozi di gadget e magliette, banconi di bar affollati, jeans calati a metà sedere e scarpe da ginnastica. Benvenuti nei nuovi centri sociali, un tempo luoghi di lotta e di sperimentazione, oggi sempre più simili a divertimentifici a prezzi popolari o supplenti di un welfare in fase di dissoluzione. Prima i miti guerriglieri del Che e del subcomandante Marcos o le coppie di compagni caduti, da Fausto e Iaio a Sole e Baleno; adesso un Pantheon meno ortodosso in cui spiccano Naomi Klein, José Bové e Manu Chao affiancati a Beppe Grillo, Mtv e Zelig Circus. Cambia la società e chi si adatta sopravvive, magari inserendosi a pieno titolo nell'area della Sinistra parlamentare. Sempre meno rosso per tingersi di verde, niente più Palestina, ma tante case da occupare, mentre più dell'imperialismo delle multinazionali fa paura la chiusura del call center dietro l'angolo.
Sabato 20 ottobre a Roma sotto le bandiere della sinistra radicale loro erano pochi: 2 mila persone, relegati in fondo alla coda. Il popolo dei centri sociali, smarrito e sempre più disilluso, ha disertato il battesimo della Cosa rossa. Quella manifestazione ha fatto tornare a molti in mente un'altra data, che incarna la svolta: sabato 8 novembre 2002, a Firenze per Social forum europeo. Settecentomila persone in un serpentone lungo sei chilometri per una delle feste di pace più riuscite della storia recente. Ma per molti quello fu anche il corteo funebre, il canto del cigno dei movimenti che lo ispirarono. Quasi che lo sforzo organizzativo, ideologico, propulsivo del Social forum abbia assorbito tutte le energie del mondo che di quell'evento fu il promotore. Il movimento antagonista che era cresciuto nei vent'anni precedenti non esiste più, ha cambiato pelle e anima: si è trasformato in marketing alternativo o in servizio sociale. Decine dei centri che allora sfilarono si sono dissolti. Di alcuni restano solo le pagine web, manifesti di lotta politica che più che documenti di un recente passato, sembrano epitaffi di vecchie ideologie. Antimperialismo, la parola più ricorrente: una bandiera che pare scolorita.
Oggi i centri sociali si dividono in due categorie. Quelli che sono animati dal binomio birra & musica, dove si respira aria di libertà senza necessariamente fare i conti con le ideologie, sono sempre più frequentati. Gli altri si sono svuotati fino a chiudersi in se stessi. Perso il potere contrattuale con le istituzioni delle città in cui sopravvivono, ridimensionati i temi internazionali che li animavano, sterilizzata l'osmosi con le altre realtà antagoniste, dell'identità di un tempo si scoprono tracce evanescenti. Chi resiste ha scelto un tema e si occupa quasi esclusivamente di immigrati, senzacasa, carceri o delle campagne ecologiste. I cortei si fanno sempre più sporadici. Solo pochi anni fa a Firenze, Milano, Torino, Genova, Bologna e Napoli, non c'era sabato in cui una marcia non sfilasse per le strade della città. Ogni sera dibattiti sui popoli baschi, cene di finanziamento per l'Intifada, proiezioni di film sui guerriglieri delle Farc, campagne di boicottaggio delle multinazionali, convention di hacker che sferravano attacchi informatici alle aziende 'nemiche'. Oggi quasi tutti i centri sociali rimasti in piedi propongono iniziative solo il venerdì e il sabato, gli altri giorni della settimana sono addirittura chiusi con grossi lucchetti dall'esterno. E non è un caso che a scorrere i programmi delle iniziative sui loro siti Internet si leggano solo nomi dei dj e menù di cene etniche. Come al Cantiere di viale Monte Rosa a Milano, ospitato nei locali del Derby club. Il programma di un weekend tipo prevede 'campus erasmus' con band musicali universitarie, poi Roma-Inter sul maxischermo. A seguire il rugby, con Italia-Scozia, sottolineando però che 'chi ama lo sport è contro il razzismo'. Punta molto sul biologico invece il Conchetta o Cox 18, che ogni domenica pomeriggio intercetta le milanesi che passeggiano sui Navigli al fianco di annoiati fidanzati con il casco della moto infilato al braccio, allestendo un mercatino di prodotti naturali, compresi 'cosmetici, detersivi, oli e saponi per il corpo'. Lì dietro la storica libreria Calusca, aperta in orari commerciali, ha un pubblico sempre più ridotto.
Il programma più ricco lo offre il Leoncavallo: ex centro sociale, ora spa (spazio aperto autogestito) che nonostante ogni due mesi riceva la visita dell'ufficiale giudiziario che, come un personaggio kafkiano, consegna l'intimazione di sfratto (la prossima volta sarà il 26 novembre), presenta il suo bilancio sociale a Palazzo Marino (vedi box). Su uno dei muri di via Watteau un graffito è dedicato Fausto e Iaio, uccisi nel '78 dai neofascisti. Oggi nel 'fortino' del Leoncavallo entrano molti stranieri e anche parecchi italiani che nulla sanno dei due giovani. Tra i pochi a ricordarli bene c'è Daniele Farina, deputato di Rifondazione, anima storica del Leonka: "Ora partiamo dai bisogni del territorio che non vengono affrontati dalle istituzioni, grazie a un patto tra saperi e professionalità che intervengono sulle marginalità". Ecco quindi il ruolo dominante di immigrazione, welfare, precarietà nelle discussioni del Leonka. E l'antimperialismo? Tutti sorridono e Farina spiega: "Le ideologie sono morte e le lotte non pagano più". Così ogni giorno il Leonka sforna centinaia di pasti gratis per gli emarginati, organizza laboratori teatrali, mostre di pittura, eventi musicali. Ma l'interlocutore del Leonka è nelle istituzioni: la sinistra parlamentare, la nuova Cosa rossa, non più i movimenti antagonisti. E, almeno a Milano, tante battaglie sono state abbandonate. In una città dove l'emergenza casa è drammatica, accanto agli sfrattati si muove solo il Sunia. Mentre a difendere i nomadi sfollati dai campi abusivi sono rimasti i digiuni di don Virginio Colmegna. Manca poi il confronto con gli altri centri superstiti. Chiusi l'Orso, l'Ilic, il Garibaldi, restano il Vittoria, con i suoi corsi di italiano per immigrati; il Cocs, che ha un ambulatorio medico popolare; il Pergola con il suo ostello da 10 euro a notte e la zona wireless per Internet.
Di attività clandestina ormai se ne fa sempre meno, tanto che la Digos non li infiltra quasi più e otto anni di informative sul neobrigatismo li hanno assolti. Certo, in nome dell'antifascismo si fa ancora blocco, abbracciando realtà estreme come quelle anarchiche o punk nel flashback degli scontri politici anni Settanta sempre più frequenti in questi mesi. Mantiene alto l'interesse delle forze dell'ordine solo la Panetteria Occupata, già sfiorata dalle indagini sulla Seconda posizione delle nuove Brigate Rosse.
Ma tanta varietà esiste ormai solo a Milano. A Genova agonizza l'Inmensa, che non ha neanche più un sito web. E sopravvive lo Zapata, a Sanpierdarena: ai tempi del G8 base delle tute bianche, oggi non riesce a portare in piazza che pochi simpatizzanti, soprattutto in difesa degli immigrati clandestini. Non va meglio a Firenze, dove soltanto l'ordinanza anti-lavavetri ha saputo svegliare la protesta assopita di mille manifestanti. Negli anni Novanta i movimenti fiorentini erano un riferimento per tutta Italia; ora sono rimasti il Cpa Fi sud, l'Ex Emerson e il Panico degli anarchici. Il primo cortocircuito con la sinistra istituzionale si consumò il 28 novembre 2001, quando il sindaco diessino Leonardo Domenici fece sgomberare il Cpa dalla storica sede di viale Giannotti per far posto alla più grande Ipercoop della città. I ragazzi del Cpa alzarono il livello contrapposizione con il comune e le istituzioni, fino a essere sospettati, assieme agli anarchici, di aver spedito buste esplosive all'allora prefetto Achille Serra e al sindaco. La rottura non è mai stata ricucita, ma la tensione è diventata sotterranea. Il Movimento antagonista toscano annuncia la prossima mobilitazione su immigrazione, precarietà e ambiente, ma basteranno poche telefonate per coinvolgere i superstiti. Il loro periodico, 'Comunicazione antagonista', diretto da Pio Baldelli, era una voce che sapeva convogliare le idee di quel mondo. Dal 2002 ha cessato le pubblicazioni. Uno dei suoi redattori ammette: "Chi ancora vagheggia la presa del Palazzo d'Inverno è un dinosauro. Oggi c'è chi fa un'analisi marxista leninista ortodossa, ma si ferma lì e non si sporca le mani con i problemi della città". L'unico che invece le mani se le sporca quasi ogni giorno è Lorenzo Bargellini, leader del Movimento di Lotta per la Casa. Un tempo in squadra con il Mat, il Cpa e l'ex Emerson, oggi punta solo sull'emergenza abitativa, ed è rimasto l'unico in grado di raggruppare centinaia di senzacasa, soprattutto stranieri, e a guidarli verso sempre nuove occupazioni. "Si è aperto uno spazio enorme per chi oggi sta fuori dalle istituzioni e si batte per la difesa dei beni comuni come la casa", spiega Bargellini, nipote del sindaco dell'alluvione: "I centri sociali e i movimenti devono cogliere questa grande occasione, per riproporsi a una società che deve essere cambiata". Anche per questo gli antagonisti di Firenze non hanno marciato su Roma il 20 ottobre: preferiscono concentrarsi sullo sciopero generale del 9 novembre.
Al Sud la metamorfosi è stata meno traumatica. Lì il lavoro è al primo posto. Francesco Caruso, oggi deputato di Rifondazione, spiega che "i disastri economici, sociali e ambientali del Sud sono gli stessi da anni e l'attenzione quindi non si è abbassata. Semmai i confronti sulle tematiche internazionali trovano difficoltà a concretizzarsi in un intervento politico". Più local che no global, insomma. "Il logoramento della politica nazionale ha certamente contribuito all'impoverimento di certe realtà", analizza Marco Revelli, sociologo dell'Università del Piemonte orientale: "Il Social forum europeo fu lo spartiacque tra la fine dei movimenti sorti come ultimo fenomeno delle proteste degli anni '60 e '70 e l'inevitabile involuzione di quel mondo". Oggi i i centri si caratterizzano per temi: "Sempre più precariato, abitazioni e territorio perché quelli sono gli argomenti dove la politica ufficiale lascia uno spazio vuoto, che l'antagonismo sta già occupando", prosegue Revelli. Ma il futuro non promette spazi: "Se inseriti in un contesto monogenerazionale sono inevitabilmente destinati a scomparire".