Le 5,30 del mattino nella regione kallawaya di etnia Quechwa, terra di guaritori millenari. Le nuvole avvolgono i 3.200 metri di altitudine delle Ande boliviane, sul confine ovest con il Perù. L'Amauta, il sacerdote andino, intona una preghiera nella lingua natia ringraziando la Pachamama, la Madre terra, nel giorno dell'equinozio. Pronuncia alcune parole di riconciliazione per tutta la Bolivia: "Beni, Pando, Tarija, Santa Cruz, che trovino pace". "Allalla! Così sia", rispondono i fedeli.
Bolivia dalle due facce: quella andina che corre da nord a sud costeggiando il Perù e il Cile, fatta di cerimoniali indigeni della antica tradizione panteista. La abitano i visi duri dei contadini aymara e quechuwa sperduti in villaggi ai piedi di maestose montagne, senza elettricità e telefono, dove ancora si baratta e si gira a dorso d'asino. L'altra faccia, solcata dalla violenza delle proteste, abbraccia il Paese a ovest con le sue terre fertili. 'L'Oriente', 'la Media Luna': area amazzonica di tenute terriere fertili, monocolture di soia e palma africana per il biocombustibile, e migliaia di ettari lasciati per il pascolo dalle grande famiglie di ganaderos, gli allevatori. Terre ricche di gas, acqua e legna.
Da circa un anno, la Mezza Luna chiede autonomia al governo centrale. Le regioni di Beni e Pando a nord, Tarija al sud, capeggiate da Santa Cruz a est, hanno innescato un conflitto con il governo di Evo Morales. Sono due i poli di tensione: La Paz, capitale ufficiale, e Santa Cruz, capitale commerciale. La crisi tra il governo Morales e l'Oriente è nei discorsi dei passanti e della gente accalcata di fronte alle edicole. Nei caffè e nelle lunghe file di fronte alle banche non si parla d'altro: "Està que quema", la situazione scotta. "Evo dovrebbe cedere qualcosa alle regioni che vogliono l'autonomia" o "prendere di polso la situazione e militarizzare", "si rischia il colpo di Stato".
La presenza nella capitale del palazzo di governo e del presidente 'indigeno' non sono più sufficienti a rassicurare la popolazione. La Paz e l'arco andino sono da sempre la base elettorale del partito di governo, il Mas. Non c'è muro in città e in periferia che non inneggi al buon operato del presidente. Lodi al programma di alfabetizzazione rurale, al bonus per la scuola, alla pensione minima, alla sanità di base , alla nazionalizzazione dell'impresa del gas e delle telecomunicazioni.
Non la pensano così la ricca Santa Cruz e le regioni vicine. Le riforme sono ritenute a favore degli indigeni. Sui muri di Santa Cruz: 'Evo esta es tu tumba', Evo questa è la tua tomba, o 'Cruzeños a las armas', abitanti alle armi. Negli ultimi mesi l'odio verso il presidente eletto con il 54 per cento delle preferenze, ma che non rappresenta la classe politica locale, ha imbrattato i muri e i sogni tranquilli degli abitanti.
A Santa Cruz i volti sono più chiari, l'orgoglio della discendenza ispanica è parte dell'identità cruzeña, come la fisionomia più alta e slanciata rispetto a quella andina. Santa Cruz è la città dove diventare ricchi, sfoggiare auto costose, frequentare ristoranti di lusso e passeggiare tra le vetrine alla moda europea. Le donne che partecipano al comitato civico della città non si riconoscono nelle venditrici indigene, né i dirigenti in un presidente, non solo indigeno, ma ex sindacalista e contadino coltivatore di foglie di coca.
Le stesse signore capeggiate da Julia Guittierrez, vestite col bianco e verde della regione, augurano una brutta fine a Morales. "Ci ha inculcato l'odio", dice la Gutierrez marciando, "vuole colonizzare". Migliaia di persone si sono presentate nella piazza principale, affascinate dal discorso per l'autonomia. La parola d'ordine: "Difendere l'amata Santa Cruz dallo Stato nemico e oppressore". Ripetuta per mesi, ha innescato la violenza. E ora si ha paura a Santa Cruz. Manipoli di gruppi estremisti hanno preso sul serio le parole del governatore regionale, Ruben Costas, e hanno messo a ferro e fuoco la città e le sedi istituzionali. Armati di pali, sassi e passamontagna, anche gli abitanti delle periferie hanno bloccato le strade. Terrore soprattutto nei barrios populares, nelle aree abitate dagli indigeni andini immigrati.
Sergio Antelo, l'ideologo dell'autonomia e del movimento per la secessione, sostiene che la Mezza Luna è scissa dalla Bolivia da sempre e che fu annessa con la forza da Simon Bolivar. "Dalla riforma agraria del 1959", dice Antelo, "il governo centrale ha preferito cedere le nostre terre ai 'colonizzatori' andini, gli indigeni dell'altopiano, piuttosto che darle alla popolazione locale, che le possiede di diritto".
Nel Beni, nel Pando e a Tarija la violenza è esplosa in fretta. Sull'esempio di Santa Cruz, le capitali sono state messe in subbuglio per giorni, gli uffici statali occupati e bruciati, coprifuoco di notte, bande di facinorosi si sono organizzate in ronde armate. L'intelligence boliviana sostiene che nelle regioni amazzoniche del Beni e Pando la gente sia stata armata da gruppi di latifondisti del vicino Brasile, che in zona hanno fatto grandi affari di terre. Come a Santa Cruz, la classe dirigente è composta da benestanti latifondisti. Il governatore del Beni, Ernesto Suarez, ha dichiarato di non aver intenzione di cedere nemmeno un ettaro alla riforma agraria 'indigena'. "La tierra es nuestra", ha affermato: "L'abbiamo vinta come diritto di conquista".
Nelle regioni amazzoniche, facendo leva sulla povertà della maggioranza dei residenti e lo scarso livello culturale, i dirigenti locali hanno aizzato la popolazione. Le rivendicazioni regionali hanno attecchito in ogni settore e alcuni nel Pando si sono sentiti chiamati a passare direttamente all'azione. L'11 settembre scorso il terrore ha percorso la spina dorsale della Bolivia, quando una diretta radiofonica ha trasmesso l'uccisione di 16 persone.
Ora la gente si domanda se queste morti valgano la pena, se davvero l'autonomia ne beneficerà, se davvero i poveri godranno dei risultati. Intanto nelle periferie della Mezza Luna si continua a morire d'indigenza e di denutrizione. Sottovoce la gente sussurra che le grida di autonomia non hanno portato miglioramenti, ma hanno accresciuto la paura e la divisione all'interno delle città. E la crisi resta una cosa concreta, almeno in città, la popolazione rurale è, invece, così dispersa che se realmente dovesse scoppiare una guerra civile, non se ne accorgerebbe. Ma la lotta esiste e rimbalza fuori dai confini: l'ambasciatore degli Stati Uniti, Philip Goldberg, è stato cacciato. Gli ha fatto eco il Venezuela di Chávez. Washington non ha tardato a far sapere che questa azione diplomatica avrà pesanti conseguenze sulle relazioni tra i paesi. "Non è più l'epoca degli interventi armati degli Stati Uniti in Sud America", ribatte il ministro degli Esteri, David Choquehuanca: "Ma se gli Stati Uniti appoggiassero una rivolta armata, non rifiuteremmo il supporto militare del Venezuela".
La Bolivia vive divisa tra le tradizioni contadine e indigene, i ritmi di vita scanditi da quelli della terra, i rituali millenari e un tempo politico, fatto di cacciate di presidenti, di rivolte popolari, di manifestazioni di piazza e di marce di protesta. Da una parte gli indigeni, che credono nel cambiamento politico, dall'altra la minoranza meticcia e imprenditrice, che guarda al modello occidentale come all'unica possibilità di sviluppo e benessere. Realtà che non trovano il modo di accettarsi. E questa mancanza scatena reazioni convulse.
Centinaia di ore di riunioni tra i governatori e l'entourage di Morales non sono valse a molto, tranne che a darsi reciprocamente del nemico acerrimo. Negli ultimi summit di questi giorni, nessun passo avanti: gli anti-Morales chiedono il rilascio del governatore del Pando rimosso dal presidente per avere istigato la violenza e sostituito con un ammiraglio a lui caro, mentre Morales accusa la Chiesa cattolica di spalleggiare gli americani nel fomentare la protesta contro di lui. Ora perfino gli abitanti delle aree più remote sanno che se non si trova presto una soluzione, potrebbe non esserci più altra occasione. Il governo cerca un accordo, ma i governatori 'ribelli' non cedono.
"L'arresto del governatore del Pando, Leopoldo Fernandez, ha senz'altro messo un freno alla superbia della Mezza Luna", dice Raul Prada, vice rettore della Università statale: "La scelta di Morales di non utilizzare la forza contro il popolo, tagliando la testa della rivolta, ha messo in guardia gli altri governatori".
Nell'incertezza c'è una data che rappresenta un potenziale pericolo. Il 7 dicembre è previsto il referendum per approvare la nuova Costituzione. I governatori della Mezza Luna non hanno riconosciuto il testo e allo stesso modo non riconoscono il mini-referendum che si terrà poco prima per stabilire le dimensioni massime concesse ai possidenti terrieri. Tutte le terre in esubero, secondo la riforma agraria, verranno requisite dal governo e redistribuite a comunità indigene e a piccoli agricoltori. La Mezza Luna è già sul piede di guerra: sferrerà una campagna spietata per ottenere l'annullamento del referendum di fine anno e tutto fa pensare che questo provocherà altro sangue.
Mondo
1 ottobre, 2008Gruppi armati contro i contadini. E contro il governo. Città nella paura. Rischio di colpo di Stato. Così i latifondisti delle regioni prospere sfidano il potere del presidente indigeno Evo Morales da La Paz di diletta varlese
Fiamme sulle Ande
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