Il sogno d’amore. Il matrimonio. Le tradizioni. Eppure a 250 anni dalla nascita la scrittrice inglese è più contemporanea che mai. Conquista i social. Ispira film e serie tv, libri e moda. Incanta per l’ironia e la lucidità con cui racconta il posto delle donne

Jane Austen è la più amata dalla Gen Z

Scrisse sei romanzi perfetti, che Virginia Woolf amava per la loro “profondità, bellezza, complessità”. Raccontò piccole vite in interni domestici, di donne per le quali il matrimonio era sempre l’opzione migliore: lei però non si sposò mai. Scrisse di giovani cresciute nel sogno dell’amore, ma per cui era cruciale prima di tutto assicurarsi il mantenimento economico. Eppure, leggere Jane Austen è ancora oggi un rito di passaggio per molte. A 250 anni esatti dalla nascita, è contemporanea come pochi. Perché? Cosa ci commuove, ancora, nelle sue Elizabeth, Emma o Anne? Come parla alle donne di oggi l’autrice che per un’intera (breve) vita raccontò la necessità delle ragazze del suo tempo di “sposarsi bene”?

 

«Di Jane Austen amo la lucidità e l’ironia con cui racconta la posizione della donna nella società. Prima di lei c’era il romanzo sentimentale, in cui ogni personaggio “è” i suoi sentimenti. Austen, invece, ci immerge nel quotidiano e così ci permette di entrare in sintonia profonda con quelle storie - anche se banali, anche se parte di una società lontana dalla nostra», interviene Olga Campofreda, giovane autrice di un libro almeno nel titolo austeniano, “Ragazze perbene” (NN Editore). Un libro sulle vite già scritte di tante giovani nelle città di provincia italiane, fatte di rinuncia - cui qualcuna però sa ribellarsi.

 

Campofreda tiene acceso «un cero a Jane Austen», racconta divertita da Londra - da anni ha scelto di vivere in Inghilterra, paese natale di Austen, dove è ricercatrice in Italian e Cultural Studies all’University College, docente all’Istituto Italiano di Cultura e insegnante di scherma per la nazionale inglese Under 20. «Il mio prossimo romanzo parte dal rifiuto di una proposta di matrimonio, proprio la cosa che lei ebbe il coraggio di fare. Io rifletto tanto sul matrimonio: vengo dal Sud Italia, dove le nozze si fanno a immagine e somiglianza delle scenografie di programmi come “Il boss delle cerimonie”. Oggi è diventato quasi più difficile di prima non abbracciare quella tradizione, immaginare un modo diverso. Io stessa lo sto ancora cercando».

 

Il cero con l’immagine di Jane Austen esiste davvero, racconta, l’aveva comprato alla British Library di Londra nel 2021, quando stava finendo “Ragazze perbene”. Lo accese durante l’ultima settimana di scrittura. «Lo accendo ancora, anche per darmi forza: lei ha avuto il coraggio di star fuori dagli schemi cui i suoi personaggi non riescono a sottrarsi. È più forte di loro. Le protagoniste dei suoi romanzi, del resto, non sono eroine alla Anna Karenina: vivono una vita piccola, minima, ma vedono con lucidità la loro posizione nel mondo. La vivono come possono, con i mezzi che hanno. È questo che ancor oggi ci interessa: la lucidità con cui lei sa descrivere la posizione della donna».

 

Troppe scrittrici hanno invece dimenticato, riflette Campofreda, che in molti casi una donna cambia identità quando entra nell’istituzione matrimoniale; che ancora oggi la parola “matrimonio” contiene per gli uomini una leggerezza che non ha equivalenti per le donne. «Il mio compagno proviene della provincia inglese, frequentiamo luoghi e persone fuori Londra e io vedo come molte mie coetanee, qui, si identifichino totalmente nella famiglia, quasi che questa sia la loro unica opzione di “essere”. Ogni volta che c’è un matrimonio di amici, puntualmente il giorno dopo vediamo la sposa cambiare cognome su Facebook. Molte, in certe fasi della vita, debbono fare scelte pesanti come lasciare il lavoro: forzature che si trovano ad abbracciare. Ecco, nei romanzi di Jane Austen - “Emma”, per esempio, oppure “Orgoglio e Pregiudizio” - molte scene, pur divertenti, hanno dentro la pesantezza di questa consapevolezza. Mi piace immaginare che Jane Austen abbia rifiutato la proposta di matrimonio perché non voleva un’identità diversa da sé».

 

Un elemento di modernità che colpisce ancora di più in tempi in cui sembrano tornare fondamentali cose che si credevano superate. A partire da una nuova evidente mistica della maternità, ma non solo. «Una sociologa, Emma Casey, ha appena pubblicato un testo illuminante, “The Return of the Housewife”, Il ritorno della casalinga. Storicamente, in ogni momento di crisi torna l’immagine della casalinga come figura femminile virtuosa. Succede negli anni Cinquanta, dopo la Seconda guerra mondiale, quando le donne che avevano preso i posti di lavoro lasciati liberi dagli uomini impegnati al fronte vengono sollecitate a tornare alle loro case. Negli anni Settanta, in Inghilterra, Margaret Thatcher si presentava non solo come primo ministro ma anche come casalinga: veniva spesso fotografata con il grembiule addosso, perché le altre donne potessero identificarsi in lei. Questo ruolo torna adesso, lo vediamo nella retorica delle “tradwives” (le “mogli della tradizione” tanto popolari in Rete), dopo l’esplosione della quarta ondata di femminismo e la questione del gender: in sostanza, ogni volta che si arriva a parlare di donne in modo complesso, scatta una contro-ondata che ripropone la casalinga come modello semplice e virtuoso».

 

I libri sono sempre antidoto alle banalizzazioni. Così come lo sono alcune autrici. Di Jane Austen si è detto, ma ironia e consapevolezza, il “wit” (l’arguzia), rendono moderna per sempre anche Louisa May Alcott, l’autrice di “Piccole Donne” che inventò il personaggio di Joe, mitico per generazioni di ragazze. Mettendo al centro della loro narrativa donne intelligenti, Austen e Alcott rivendicano la capacità delle donne di esserlo in tempi in cui non era affatto scontato.

 

«Non avevano certo teorie sulla questione dei gender roles, ma si può dire che la intuivano. Entrambe sfidarono l’idea che il genio è sempre e solo maschile», chiosa Campofreda. «Del resto, non solo ai loro tempi la genialità delle donne, l’intelligenza e l’ironia, più che qualità sono apparse difetti. Simone de Beauvoir scrisse negli anni Cinquanta del Novecento “Le inseparabili”, pubblicato per la prima volta nel 2020: la storia di due amiche (una alter ego di Simone, l’altra, Zaza, sua amica degli anni delle elementari), che crescono insieme. Commuove il rapporto di queste ragazzine che diventano quasi una società segreta a due, nella quale esercitano la capacità di pensare. A scuola non è questo che gli veniva insegnato, ma a camminare bene, a essere graziose e femminili. A diventare buone mogli».

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