Il mito della insurrezione del 1944 con i suoi 200 mila morti civili in un libro di Rymkiewicz
Da qualche mese il libro più ampiamente e più violentemente dibattuto nel mio Paese è 'Kinderszenen, Scene d'infanzia', dell'eccellente poeta e saggista polacco Jaroslaw Marek Rymkiewicz.
L'insurrezione di Varsavia è scoppiata il 1 agosto del 1944. Gli insorti volevano conquistare Varsavia e scacciarne i tedeschi, in modo da mettere di fronte al fatto compiuto i sovietici che si preparavano all'attacco. Gli insorti erano circa 50 mila, possedevano circa 6 mila armi da fuoco, 45 mila granate e una riserva di munizioni sufficiente per tre giorni di battaglia. Il resto lo si sarebbe dovuto conquistare in combattimento. La guarnigione tedesca contava 20 mila soldati perfettamente armati ed equipaggiati. Inoltre in città stazionavano numerosi reparti che andavano a combattere i sovietici. L'insurrezione durò 63 giorni e terminò con una sconfitta totale. È vero che i tedeschi soffrirono perdite paragonabili a quelle degli insorti (gli uni e gli altri contarono circa 10 mila uccisi) ma alla fine pacificarono la città e in seguito, dietro ordine personale di Hitler, la distrussero. Nelle settimane seguenti semplicemente fecero saltare in aria una casa dietro l'altra. Ci furono circa 200 mila vittime fra la popolazione civile. Questa battaglia, temeraria dal punto di vista militare e politico, diventò uno degli eroici miti nazionali polacchi. Sì, da qualche mese il libro più ampiamente e più violentemente dibattuto nel mio paese è 'Kinderszenen' di Rymkiewicz.
Durante la guerra Rymkiewicz aveva nove anni e abitava a Varsavia. Nel libro descrive la sua esperienza di bambino di allora e sostiene che essa fu fondamentale per la sua vita intera. Al tempo stesso propone la tesi che l'esperienza dell'insurrezione sia stata fondamentale per tutta la nazione. Le eroiche vittime dell'insurrezione costituiscono una sorta di mito di fondazione della Polonia nel suo insieme. La Polonia di miti simili ne ha tanti, a iniziare dall'accettazione del cristianesimo e per finire con la conquista dell'indipendenza nel 1918 dopo 120 anni di schiavitù. Eppure, persino in un panorama tanto ricco di miti, la proposta di Rymkiewicz è singolare. Egli infatti propone di assumere come vera data d'inizio dell'indipendenza polacca un evento profondamente irrazionale, un'azione tanto eroica quanto assurda. L'élite, i prescelti - poiché in realtà a combattere sono andati i più nobili, i più coraggiosi, il fiore della gioventù, oppure i ragazzini dodicenni con gli elmi tedeschi presi in battaglia troppo larghi - si offrono in un sacrificio sanguinoso e ardente con la piena coscienza che la loro immolazione sarà inutile, che lo scopo non sarà raggiunto, che la città andrà in fumo, che i tedeschi la ridurranno in rovina, e che su quelle rovine marceranno i sovietici per piantarvi le loro detestate insegne vittoriose. Questi ragazzi diretti verso la perdizione mettono in pratica una mistica a cui nel suo libro rende omaggio Rymkiewicz. E così facendo si trascinano dietro 200 mila civili disarmati. Quella catasta ardente di corpi, quella città che lentamente si carbonizzava, quel fumo sacrificale che arrivava al cielo dovevano generare una sorta di rituale magico che avrebbe trasformato i superstiti e coloro che sarebbero venuti dopo in una collettività nuova, indissolubile, irraggiungibile ai nemici, immortale.
'Kinderszenen' è un libro commovente, seducente e oscuro. Oggi è necessario un certo coraggio per sostenere che il sacrificio sanguinoso di vite umane ha un qualche senso. I critici hanno spesso rimproverato a Rymkiewicz che gli è facile sacrificare 200 mila innocenti mentre lui stesso è sopravvissuto. Oggi gli è facile indossare gli abiti da sacerdote del culto della morte, mentre nel periodo della prova andava a spasso in pantaloni corti. Certamente queste accuse hanno senso. Ma a me interessa un'altra cosa. A interessarmi sono l'egoismo, o la santa ingenuità, del sacerdote. Perché l'insurrezione di Varsavia ha avuto una portata abbastanza limitata dal punto di vista spirituale. In altre città, ad esempio a Cracovia, si temeva come il fuoco che qualcuno potesse importare l'esaltazione insurrezionale e ridurre in cenere una città, è vero occupata, ma bella, storica e piena di monumenti. A sua volta la campagna polacca, i contadini che costituivano la maggior parte della società, pensavano a tutto meno che a sacrificarsi, visto che da secoli erano appunto loro la vittima di tutte quelle classi sociali che potevano consentirsi il lusso di insurrezioni, eroismi o autodafé nazionali.
Oggi attraversavo la Polonia centrale, la provincia polacca che si estende per chilometri avvolta nella nebbia. E ho pensato che abitando in campagna ho spesso occasione di parlare con persone anziane che ancora ricordano quei tempi. E che spesso con leggera nostalgia e senza emozioni dicono: "Sa, al tempo dei tedeschi sì che c'era ordine".