Mondo
18 novembre, 2008

Obama caccia a Osama

Prendere Bin Laden. Liberare Kabul dai talebani. E poi l'Iraq. I rapporti con gli alleati. Le spese per la Difesa

Io mi concentrerò sulla minaccia numero uno alla nostra sicurezza che è Osama Bin Laden. Lo uccideremo. O lo cattureremo per poi processarlo e chiedere la sua condanna a morte... Queste parole, pronunciate dal presidente eletto degli Stati Uniti Barack Obama, non si prestano a equivoci. Le ha ripetute venerdì 31 ottobre, quattro giorni prima che la maggioranza assoluta degli elettori americani lo mandasse alla Casa Bianca come 44 presidente. E rappresentano, pur essendo state pronunciate in campagna elettorale dove gli artifici retorici sono la normalità, il cuore del pensiero del neo presidente in tema di difesa e sicurezza nazionale su una delle eredità più pesanti di George W. Bush: due guerre in corso, Afghanistan e Iraq, entrambe ben lontane dall'essere vinte o quantomeno risolte con onore e un bilancio della Difesa che nel 2008 è arrivato alla astronomica cifra di 512 miliardi di dollari.

Barack Obama sottolinea ogni volta che glielo chiedono come il problema numero uno della lotta al terrorismo sia l'Afghanistan. Nel pieno della campagna presidenziale, esattamente sabato 19 luglio, Obama volò fino a Kabul, dopo una sosta a Baghdad e prima di mettere piede in Europa. "Sono qui per ascoltare i problemi più che per dire quello che penso io", disse mostrando il profilo di chi voleva rendersi conto della situazione prima di annunciare possibili soluzioni. Cosa che fece subito dopo: invio di rinforzi militari in Afghanistan, insieme al ritiro dall'Iraq entro 18 mesi delle truppe combattenti.
Da quella proposta non si è mosso di un millimetro neanche dopo essere stato eletto e il team dei suoi consiglieri di politica estera e militare si sta muovendo in quella direzione. "Che sia necessario cambiare non c'è alcun dubbio. La strategia di Bush in Afghanistan è fallita", dice Michael O'Hanlon, esperto in problemi sulla sicurezza nazionale presso la Brookings, un think tank dove il neo presidente ha pescato molti suoi consiglieri e molti suggerimenti: "Sicuramente bisogna subito seguire in Afghanistan quello che è stato fatto in Iraq, ovvero aumentare le truppe per creare condizioni di sicurezza in tutto il paese". Obama ritiene che la caccia a Bin Laden sia una guerra giusta. "È stata una scelta molto furba quella di puntare tutto sull'Afghanistan", commenta l'analista politico e militare Edward Luttwak: "Così ha evitato di ripetere quello che ha sempre sostenuto ovvero che la guerra in Iraq è una guerra sbagliata, rischiando però di essere accusato di essere un pacifista. E ha raccolto intorno a sé gli americani sulla guerra giusta a Bin Laden".

Tutti i rapporti, dell'intelligence come dei think tank, dicono che la situazione afgana è in via di rapido deterioramento, mentre quella irachena è più stabile ed è arrivata a un punto in cui il ritiro delle truppe è possibile: tanto che è ormai a un punto cruciale la discussione sull'accordo tra governo iracheno e Washington sulla presenza dei militari Usa in Iraq (vedi scheda a pag. 46). Per l'Afghanistan parlano le cifre e disegnano un paese dove si sta combattendo una guerra infinita. Dal 2001, gli Stati Uniti hanno perso in combattimento 626 uomini, ma negli ultimi tre anni il numero è aumentato progressivamente: 96 nel 2006, 117 nel 2007, 151 fino a ottobre del 2008. E i paesi della missione Nato contano dall'inizio della guerra 321 caduti. Anche i civili afgani morti per cause legate ai combattimenti sono in continuo aumento: 929 nel 2006, 1.633 nel 2007, 1.445 fino a ottobre del 2008. Se poi si aggiunge che la ricostituzione dell'esercito e della polizia afgani va avanti non alla velocità e con i risultati sperati e che il Paese è diventato il paradiso dei coltivatori di papavero e di esportazione di oppio grezzo o lavorato, si capisce come la lotta ad Al Qaeda sia un tassello che poi riguarda non solo il terrorismo, ma l'instabilità, la pacificazione, lo sviluppo. "In Afghanistan rischiamo di perdere", avverte O'Hanlon: "La posta è troppo alta per ignorare tutti gli aspetti della situazione in quel Paese o per ritenere che solo qualche piccola e modesta novità possa cambiare il corso degli avvenimenti".

Con decine di migliaia di soldati tra Afghanistan e Iraq, con la macchina della Difesa tutta concentrata sulle due guerre, le decisioni di Obama non arriveranno di certo il giorno successivo all'insediamento alla Casa Bianca (20 gennaio 2009). Intanto, c'è l'interrogativo sul nome del prossimo segretario alla Difesa. Resterà l'attuale ministro Robert Gates, che prima di arrivare a quella poltrona ha speso una vita all'interno della Cia, dai livelli più bassi fino alla direzione? Secondo le indiscrezioni che circolano a Washington, Gates, che è arrivato al Pentagono nel 2006 dopo le dimissioni di Donald Rumsfeld per il disastro iracheno, avrebbe fatto sapere di non aver voglia di continuare nel suo incarico, ma potrebbe comunque rimanere al suo posto fino a quando il nuovo presidente non individua il suo candidato ideale.

Su 'Loop', rubrica di indiscrezioni politiche del 'Washington Post', vengono indicati come possibili candidati alla successione a Gates l'ex segretario alla Difesa per la Marina Richard Danzig e gli ex sottosegretari dello stesso ministero, Jack Gansler, Paul Kaminski e Bill Lynn. Tutti hanno in comune l'aver lavorato con Bill Clinton ed essere stimati sia dai democratici che dai repubblicani. Ma quale che sarà la scelta, la nuova amministrazione si troverà davanti non solo la grana Iraq e Afghanistan, ma l'intera gestione della Difesa, dai bilanci ai rapporti con gli alleati della Nato e non. Entro il mese di febbraio Obama dovrà mandare al Congresso il bilancio federale, incluso quello della Difesa. Mike Mullen, il capo di Stato maggiore della Difesa Usa, ha spiegato (e chiesto) a deputati e senatori di stanziare per le Forze armate il 4 per cento del Pil degli Stati Uniti, ovvero 579 miliardi di dollari, 67 in più dell'anno precedente. L'astronomica cifra indica che, dal giorno in cui Al Qaeda fece l'attentato alle Torri Gemelle, il budget è aumentato del 35 per cento ed è superiore a valori reali perfino di quanto l'America spese durante la Seconda guerra mondiale; alla cifra vanno aggiunti i costi delle due guerre ovvero 10 miliardi di dollari al mese. Ma tra crisi economica, recessione alle porte e nuova politica militare, non è detto che ci sarà un nuovo aumento del budget e, soprattutto, saranno messi in discussione (e tagliati) i 300 miliardi di dollari previsti in vari anni per i nuovi sistemi d'arma, a cominciare dall'aereo F-35 in progetto per la Marina.

Se i risparmi possono essere decisi con una certa facilità, non è così per i rapporti politici con gli alleati. Sul tavolo c'è sempre la questione Nato legata alla guerra in Afghanistan. È prevedibile che Obama chieda ai paesi europei membri della Alleanza atlantica due cose: incrementare il numero di uomini e mezzi in Afghanistan e, soprattutto, di impegnare in combattimento un maggior numero di soldati dei propri contingenti nazionali. Forse userà toni diversi e argomenti più suadenti, ma questa linea è stata portata avanti da Bush con scarso successo. "Una delle ragioni opposte da molti paesi europei alle richieste di Washington sta anche nell'ambiguità di fondo dell'intervento in Afghanistan dove convivono due diverse missioni: quella americana di Enduring Freedom e quella Nato dell'Isaf", fa notare l'analista della Brookings O'Hanlon.
La partita della Nato è complicata, ma non così difficile e imprevedibile come quella che Obama dovrà giocare in Pakistan per arrivare al successo in Afghanistan. In quel paese la politica Usa è stata pressoché fallimentare, tutta giocata sulla teoria del 'dittatore accettabile'. Washington ha sostenuto dal 2001 all'agosto del 2008 l'ex generale Pervez Musharraf, pensando che un militare arrivato al potere con un golpe avrebbe contribuito più apertamente alla guerra contro Bin Laden e, contando anche sul fatto che l'esercito pachistano ha ottenuto aiuti per 20 miliardi di dollari praticamente a scatola chiusa. Risultato? Le zone tribali al confine Pakistan-Afghanistan sono le retrovie dei talebani; esercito e servizi segreti di Islamabad flirtano apertamente con Al Qaeda.
Così, per far capire che anche sulla questione pachistana non vuole ripetere gli errori del suo predecessore, Obama ha scandito il 7 ottobre scorso queste parole: "Se avvistiamo Bin Laden in Pakistan e il governo pakistano non è capace di ucciderlo o non vuole farlo, io credo che dobbiamo agire e ucciderlo noi".

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