Il Nuovo Fiore, questo significa Addis Abeba in amarico, per decenni era rimasto uguale a se stesso. Una città di montagna, alberata ma grigia, poggiata sul plateau dell'Altopiano abissino: maestosi palazzi governativi d'imperiale memoria, casette di stile italiano edificate durante la breve presenza coloniale fascista, palazzotti di pochi piani, simbolo architettonico del regime socialista uscito di scena all'inizio degli anni '90. Soprattutto, enormi quartieri popolari, presenti ovunque, in centro come in periferia, formati da casupole minuscole appiccicate l'una all'altra e fatte di fango, paglia, rami, alluminio.
Questa città pare scomparsa. "Negli ultimi anni il governo ha dato il via a un piano di smantellamento di molti quartieri popolari", racconta Alemayu Tesfaye, un giovane architetto etiope che sta lavorando ad alcuni cantieri: "È cominciata una corsa per costruire edifici moderni".
Oggi, la capitale è un immenso cantiere. A ogni angolo centinaia di persone lavorano alla costruzione di edifici multipiano, centri commerciali, palazzi di uffici e abitazioni. Basta distrarsi un attimo, e dove prima c'era un bar con i tavolini, ora sta venendo su un casermone. Addis Abeba si rifà il look a ritmi frenetici. Le casette degli etiopi hanno lasciato spazio a sedi di società commerciali, banche, imprese nazionali e straniere, spiega ancora l'architetto, mentre sorseggia un caffè macchiato sulla terrazza del ristorante Top View, da cui si gode una vista imperdibile della città.
"Stiamo rimodellando lo skyline di Addis Abeba", commenta orgoglioso Alemayu. Lascia vagare le braccia verso l'incredibile fila di edifici, eretti scimmiottando le nuove periferie urbane europee e americane: improbabili angoli acuti, poi bombature, finestre che sembrano feritoie medievali, terrazze vista asfalto, pareti di vetrate a specchi, ferro, finiture dai colori accesi.
Il boom delle costruzioni ha raggiunto un livello talmente alto, nell'ultimo anno, che a un certo punto i lavori di edificazione hanno rallentato, a causa della carenza di materiale edile nel Paese. "Il cemento è diventato molto caro e, soprattutto, scarseggia", spiega un imprenditore italiano da anni attivo in Etiopia. La richiesta di inerti è talmente elevata che il colosso nigeriano del cemento, la Dangote, ha deciso di investire circa 3 milioni di dollari e aprire fabbriche nel Paese.
Il Paese riscuote le dichiarazioni entusiastiche del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale. L'economista americano Joseph Stiglitz, in un recente viaggio in Etiopia, ha affermato: "È impressionante vedere indici di sviluppo superiori al 10 per cento". Dagnamyelew Girma, dirigente della Sunshine Construction, una delle principali imprese etiopi nel ramo dell'edilizia, è baldanzoso: "Il progresso non si può fermare. Andremo avanti". E mostra uno dei cantieri della ditta, proprio a un passo dalla centralissima Meskal Square, la piazza che ai tempi del regime socialista serviva per le adunate di popolo. Qui la Sunshine sta costruendo un hotel cinque stelle postmoderno, una ventina di palazzi da 16 piani che ospiteranno appartamenti deluxe. E in altri progetti la ditta si prepara a sfornare ancora alberghi, ville esclusive, centri ricreativi e campi da golf. Il tutto per un investimento da oltre 800 milioni di euro.
Lo sviluppo edilizio è soltanto la punta dell'iceberg di una società che si mostra in rapido cambiamento. Tra auto di lusso, ristoranti e nightclub che spuntano come funghi nelle vie centrali della città, si attarda l'élite etiope, bevendo a profusione e pagando conti che non hanno nulla da invidiare a quelli delle notti europee. Una classe di nuovi ricchi che parla, balla e veste come la comunità nera americana. E soprattutto, che ha soldi da spendere, e vuole farlo vedere. Come Samuel Tafesse, il proprietario della Sunshine Construction, un uomo sulla cinquantina dal passato umile.
Di pari passo, in Etiopia, non si ferma un processo inflattivo importante, che ha fatto salire alle stelle il carburante e i generi di primo consumo, mettendo in difficoltà un'ampia parte della società etiope, soprattutto nella capitale. "I nuovi palazzi hanno spostato lontano dagli occhi i quartieri popolari, dove le condizioni rimangono quelle misere di sempre", racconta Tigist Gebre Mariam, 45 anni, titolare di una boutique in un centro commerciale. La gente non ce la fa a fare il pieno di benzina, sostiene la donna, e ha ripreso ad andare al lavoro con i minibus: spostarsi in auto è diventato un lusso. La dolce vita è appannaggio di poche migliaia di persone, gli altri milioni arrancano per mettere assieme gli spiccioli.
Il governo etiope sostiene che lo sviluppo economico non è un bluff e sta giovando all'intera società, non solo a livello urbano. "Il Paese si sviluppa velocemente e tutti ne traggono beneficio, gli imprenditori e i lavoratori", afferma con sicurezza Kashai Fessaha, un businessman trentenne intento a fare salire la figlia sugli autoscontri nel parco giochi della città. Molti sembrano pensarla diversamente: "Con i 300 birr (circa 20 euro, ndr) che guadagno al mese, i prezzi in crescita dei generi alimentari e dell'affitto della mia stanza, non riesco a mettere insieme il pranzo con la cena", gli fa eco Yohannes Biniam, il guardiano del parco giochi.
"Il vertiginoso aumento dei prezzi si è abbattuto sulla popolazione, inclusa la classe media urbana, che ora ha difficoltà a far fronte ai bisogni quotidiani", spiega Merera Gudina, parlamentare dell'opposizione. Ci troviamo di fronte a un'economia tuttora monopolizzata dal governo nei settori chiave, prosegue il politico, che però non esita ad aprire alcuni settori all'investimento privato. "Solo nell'interesse dell'élite al potere, che alimenta ogni business con soldi provenienti dalla propria corruzione", aggiunge un esperto di finanza etiope che ha vissuto a lungo negli Stati Uniti. Le banche hanno enormi surplus di denaro, provenienti dagli aiuti umanitari e dagli introiti delle società governative e "fanno imponenti prestiti alle società, per costruire o aprire business. Alla lunga, bisogna capire come le società poi faranno a restituire i soldi".
Gli avventori del Tropical Garden, locale alla moda della capitale, hanno però altre preoccupazioni e tengono lo sguardo fisso sulla passerella, dove le modelle si alternano esibendo bikini dozzinali. Le indossatrici sono prosperose: ogni tanto un seno fa capolino e manda in estasi il pubblico, già surriscaldato dai superalcolici. In attesa di servire altri drink, il barman sfoglia un settimanale e scoppia a ridere: in una vignetta, un passante osserva gli innumerevoli cantieri aperti. Mano sullo stomaco e sguardo affamato, si chiede: "Chissà se costruiranno anche delle panetterie".