Mondo
3 febbraio, 2009

Do you speak Obama?

Le sfide che attendono il neo presidente americano sono terribili. Ma una l'ha già vinta: quella della comunicazione

È un ricordo indelebile quello di Barack Obama. Quando ascoltava il padre Barack senior, come racconta nel libro di memorie 'Dreams from My Father', "ogni volta che parlava, le sue grandi mani si aprivano e chiudevano per attirare o allontanare l'attenzione, la sua voce profonda e sicura blandiva o rideva". E tutti ascoltavano rapiti. Quell'immagine tornò in mente al presidente degli Stati Uniti la prima volta che ebbe l'occasione di parlare in pubblico, all'università di Los Angeles, manifestazione anti-apartheid in favore del Sudafrica, un centinaio di studenti mica tanto appassionati, con qualcuno che giocava a frisbee. In attesa del suo turno, Barack ripensò al padre: "Con le parole giuste puoi cambiare ogni cosa". E ricorda di essere salito sul palco in trance.

Da quel giorno Barack Obama ha parlato in pubblico tante volte. E martedì 20 gennaio per il discorso più importante della sua vita, il primo da 44esimo presidente. Chissà come si sentiva in quel momento. Di certo ha raggiunto il risultato che si prefiggeva, toccare il cuore degli americani con l'invito a capire che "il mondo è cambiato e anche noi dobbiamo cambiare", con la condanna della "falsa scelta tra la sicurezza e gli ideali", con la promessa "di una nuova era di responsabilità". Obama non è solo Commander in chief, ma si è rivelato Communicator in chief. Appena terminato il giuramento anche il sito Web della Casa Bianca si è completamente trasformato (vedi articolo a pag. 32) per adeguarsi al modo di comunicare del nuovo presidente. Macon Phillips, responsabile Web della White House, ha ricordato che "milioni di americani sono stati il motore del viaggio del presidente Obama verso la Casa Bianca, molti dei quali avvantaggiandosi dell'uso di Internet per plasmare il futuro del nostro Paese".

Retorica e Web, porta a porta e Blackberry, interviste mirate e YouTube. Il modo di comunicare di Obama e dei suoi collaboratori è stato sicuramente una delle carte vincenti della campagna elettorale e sarà ora lo strumento per mantenere saldo il contatto con gli americani nelle sfide che ha davanti, dall'economia fino alla guerra. L'hanno definita The Bubble, la bolla, la simbiosi che si è creata tra il presidente, Robert Gibb, oggi portavoce della Casa Bianca, e David Axelrod, dal 20 gennaio primo dei consiglieri presidenziali. Questo trio, che si è formato nel 2003 quando Obama corse e vinse per un seggio del Senato, ha messo a punto la strategia vincente. Le qualità di Obama sono state esaltate dalle scelte fatte da Gibb e da Axelrod: il primo è uomo del Sud da sempre appassionato di comunicazione politica (ha lavorato per quattro senatori democratici) e di calcio (è stato portiere del North Carolina State Wolfpack), il secondo un newyorkese doc che ha mosso i primi passi in politica da ragazzo e, prima di incontrare Obama, ha lavorato nella società di Chicago AKP&D Message and Media e scriveva sul 'Chicago Tribune'.

La stoffa di Obama comunicatore apparve chiara a tutti nel 2004. A quel tempo era senatore dello Stato dell'Illinois e in campagna elettorale per diventare membro del Senato federale, il più giovane dell'assemblea e l'unico nero. A Barack Obama fu affidato nell'estate del 2004 il discorso di apertura della convention del Partito democratico che doveva portare alla scelta del candidato per le elezioni presidenziali del novembre successivo (fu John Kerry). Michael Eric Dyson, professore di sociologia alla Georgetown
University di Washington, ricorda come quella sera Obama riuscì a stregare la platea: "In quella occasione lui obbedì alle regole dell'oratoria dei predicatori neri: parti lentamente, continua piano, punta in alto, accendi il fuoco e siediti". Obama raccontò la sua storia birazziale, padre nero-madre bianca, ricordò le aspirazioni dei comuni americani, esaltò le virtù della democrazia e parola dopo parola salì di tono fino a scagliarsi deciso contro coloro che volevano dividere il Paese sotto il profilo ideologico e marcavano le differenze tra gli Stati rossi (repubblicani) e quelli blu (democratici). Per l'affondo usò queste parole: "Questa notte io dico a costoro che non esiste un'America liberal e un'America conservatrice: ci sono gli Stati Uniti d'America. E non c'è un'America nera e una bianca, una latina e una asiatica. Ci sono gli Stati Uniti...". Lunga pausa: "D'America".

Quella sera Barack Obama sfruttò la sua capacità di oratore per porre una pietra fondamentale del suo percorso politico: immaginare un Paese non più diviso, capace di scegliere insieme il meglio per tutti. L'impostazione post partisan e post ideologica è oggi alla base di tutti i suoi interventi sull'economia e sul modo di sconfiggere i veleni della recessione. Ma quella sera Obama forse intuì che poteva aspirare a qualcosa di più che a un seggio al Senato dell'Illinois o nel Congresso a Washington. Con gli uomini della Bubble delineò un piano di comunicazione complessiva, la chiave per la scalata della Casa Bianca.

Internet al primo posto, con tutte le sue possibilità. L'uso della mail per un contatto candidato-elettore è stato lo strumento per reclutare decine di migliaia di volontari per la campagna in ogni angolo d'America e per raccogliere milioni di dollari: Obama ha ricevuto la metà degli oltre 740 milioni di dollari di finanziamenti attraverso piccole donazioni fatte via Internet. I filmati su YouTube per raggiungere non soltanto tutti coloro che hanno sostituito la televisione con la Rete, ma anche per essere continuamente presente con messaggi politici il cui costo di diffusione è pari a zero, rispetto alle tariffe praticate dai piccoli e grandi network televisivi. E, infine, il Blackberry, sempre attaccato alla cintura o tra le mani: un modo, forse cosciente, forse casuale, che ha trasmesso il messaggio di Obama disponibile al contatto diretto senza che filtri politici e di sicurezza a tenerlo lontano dai cittadini comuni.

Se questo è l'uso della tecnologia per creare fiducia nei potenziali elettori e non alzare muri inseparabili con chi non è d'accordo con te, Obama e la sua Bubble (adesso ingrandita e comprende Ellen Moran e Dan Pfeiffer, come direttore e vice direttore della comunicazione e Macom Phillips, come responsabile delle attività sul Web) hanno anche lavorato a lungo sul modo di avere rapporti con la stampa. Stravolgendo alcune consuetudini che i presidenti, prima da candidati, poi da inquilini della Casa Bianca, hanno avuto: a cominciare dai rapporti preferenziali con i grandi giornali americani. Il presidente Obama, per esempio, ha incontrato le grandi firme e i componenti del board del 'Washington Post' per un'intervista collettiva solo pochi giorni prima del giuramento.

Questa scelta, che non ha riguardato solo il 'Washington Post', ma anche le cosiddette interviste cocktail party, è stata utile per andare all'attacco dei rivali ogni volta che apparivano loro dichiarazioni, spesso sgangherate nei toni e nella sostanza, in quanto raccolte in momenti e luoghi dove si mischiavano mondanità e politica. Il portavoce Robert Gibb ha spiegato a Mark Leibovich del 'New York Times' l'idea politica che sta alla base della decisione: "Se tu vai a Cedar Rapids o a Waterloo, capisci subito che la gente di quei luoghi non legge il 'Washington Post'". Come a dire, i grandi media non vanno oltre le loro zone di diffusione e per raggiungere gli americani dappertutto bisogna usare altri mezzi: Internet, appunto, o il vecchio sistema del politico che batte città grandi e piccole strada per strada.

Cosa che Barack Obama ha fatto fino al giorno prima di insediarsi alla Casa Bianca, possedendo un naturale modo di farsi ascoltare, forse tenendo a mente il ricordo del padre che parlava.
William Gentry, membro del Center for Creative Leadership, ha così descritto il modo di parlare del presidente: "Obama usa in modo intelligente il suo sguardo attraversando l'intera folla che lo circonda e non guardando un punto preciso vicino a lui. E usa il corpo e le mani non per trasmettere un'idea di potere e di dominio, ma per enfatizzare le parole chiave dei suoi discorsi. Come utilizza la voce, il cui tono che viene modulato appare il più potente strumento in suo possesso". Risultato? Obama diffonde un senso di tranquillità e serenità che gli è valso l'appellativo di No-Drama-Obama.

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