Qui i nazisti hanno sterminato 500 mila ebrei nelle camere a gas e poi bruciati
Un giorno prima dell'inizio delle feste ho fatto un viaggio lungo la frontiera orientale della Polonia. Amo molto quella zona. Di tanto in tanto si vede scorrere il Bug lungo la frontiera. Non c'è molto traffico. A volte appare una vecchia automobile. Per decine di chilometri non c'è neanche un distributore di benzina. Dalla strada si vedono pascolare i cerbiatti. Non hanno paura. Sollevano la testa, ti guardano un attimo e tornano al loro mondo. Nei villaggi ci sono delle chiese ortodosse. È l'antica frontiera polacco-ucraina. Qui finiva l'Occidente e aveva inizio l'Oriente. Qui il cattolicesimo cedeva il passo all'ortodossia. Oltre alle chiese cattoliche e ortodosse non vi è nulla di antico. È una zona di campagna con gli edifici in legno, e del passato non sono rimaste molte tracce. Dominano primitivi palazzotti comunisti a forma di cubo. Questa zona è definita la 'Polonia B': arretrata dal punto di vista culturale, povera, preindustriale.
Proprio accanto alla frontiera ucraina si trova la località di Belzec. Una via di mezzo fra una cittadina e un paesotto. Una strada statale, una stazione, alcune case a non più di un piano. Qualche negozio. Boschi tutto intorno. Nient'altro. Qui nel novembre del 1941 i tedeschi costruirono un lager. I trasporti umani arrivavano anzitutto dalla Galizia orientale e occidentale, da cittadine piccole e medie in cui a volte la maggior parte degli abitanti erano ebrei. Venivano trasportati qui dai dintorni dell'ucraina Kolomya, là dove nacque il chassidismo che con la sua santità gioiosa e plebea aveva irradiato tutto il mondo, ebraico e non ebraico. Venivano trasportati qui dalle mie zone, dalla Polonia attuale, da Dukla, Zmigrod, Gorlice. Non si sono conservati documenti. È possibile anzi che non ci fossero affatto. Nei punti di carico scrivevano col gesso sui vagoni il numero delle persone che vi erano stipate. Una volta arrivati a Belzec controllavano se il numero coincideva. Poi uno stretto passaggio delimitato da filo spinato, un vagone dopo l'altro, lungo cui si veniva sospinti verso un edificio in legno. Sull'ingresso era appesa una stella di Davide e la scritta: bagni, inalazioni. Humour tedesco.
Sul retro dell'edificio in un capanno a parte il motore di un carro armato sovietico T34 pompava gas di scarico. Era provvisto di filtri che rendevano il fumo assolutamente inodore. Nei locali della camera a gas erano appese delle finte docce. Dopo 20 minuti si aprivano le porte e il Sonderkommando ebraico trascinava fuori i cadaveri nudi, a cui venivano strappati i denti d'oro e d'argento e a cui si esaminava l'ano per controllare che non vi fossero nascosti oggetti di valore. Poi i cadaveri venivano sepolti in grandi fosse proprio accanto alle camere a gas. In seguito però gli analisti dello sterminio decisero di rimuovere ogni traccia. I cadaveri vennero esumati e bruciati all'aria aperta. Su graticole di binari ferroviari: uno strato di corpi, uno strato di legna, uno strato di corpi, uno strato di legna, e infine un liquido facilmente infiammabile, olio o benzina. Le ossa che non si erano bruciate venivano macinate in un apposito mulino e sparse al vento. Tutto ciò a tre, quattrocento metri di distanza dalle case dove abitava la gente. Nelle relazioni si ripete spesso che per settimane intere gli abitanti di Belzec raschiavano via dai vetri delle finestre il grasso umano che vi si era depositato. Il grasso di 500 mila ebrei.
Di questi 500 mila se ne salvarono tre. Uno di loro - Chaim Hirszman - dopo la guerra diventò un funzionario dei servizi di sicurezza segreti comunisti. Nel 1946 la guerriglia anticomunista gli sparò mentre si trovava a casa sua. Oggi è difficile stabilire se sia stato ucciso perché ebreo o perché comunista.
Pioveva e si scioglieva la neve. Tutta la zona del campo era ricoperta di rifiuti, pietre, sassi, scorie degli altiforni, scorie di carbone. Nel luogo in cui si trovava la strada che conduceva alle camere a gas è stata scavata una fenditura nel terreno. Si scende in basso, in basso, in basso, finché il cielo sulla tua testa quasi scompare. Sulle pareti di granito hanno inciso centinaia di nomi. I cognomi non si sono salvati, sono dunque rimasti solo i nomi: Genia, Gendla, Haskiel, Hedda, Hudesa, Icchak, Icek, Ichel Juda, Jude, Judel, Judes. Qualche decina di ettari di cenere e nomi nudi. Nel giugno del 1943 i tedeschi liquidarono il campo e cancellarono ogni traccia. Solo la gente del luogo sapeva cosa fosse veramente successo. Dopo la guerra, quando i tedeschi non c'erano più, scavarono alla ricerca di oro e brillanti.
Pioveva e oltre a me nel campo c'era solo una coppia messicana con una guida polacca. Cercavano di capire qualcosa, ma non potevano far altro che tenersi per mano e guardarsi intorno impotenti. Subito oltre la recinzione iniziava il bosco, senza interruzioni fino alla frontiera. Fino alla frontiera dell'Unione europea. Oltre a Belzec in quella zona di confine i tedeschi costruirono altri due campi, a Treblinka e a Sobibór, destinati unicamente allo sterminio degli ebrei. Entrambi nei boschi, e di entrambi non è rimasta alcuna traccia materiale. Tutti e tre al limitare della 'civiltà europea' ovvero là dove, secondo i tedeschi, avevano inizio la barbarie e il nulla.