Ci mancava il "popolo dei passeggini", come si sono battezzati. Mamme, bimbi in groppa a papà o per mano alla nonna, maestre e "dade", educatrici di nidi e scuole materne. Erano un migliaio in corteo, la mattina di domenica 7, tra palloncini colorati, percussioni a barattolo e musiche rétro della Banda Roncati, collettivo musicale politico antagonista.
Da piazza dell'Unità (dove una lapide celebra in un colpo solo un eccidio di partigiani, la caduta del muro di Berlino e la "svolta della Bolognina" di Achille Occhetto, that's Bologna) fino al comizio volante a metà di via Indipendenza, slogan "Il nido non è un parcheggio, la mia dada resta qua, difendiamo il welfare di Bologna". In Comune non hanno più soldi e pensano di tagliare su insegnanti e orario, chiudendo i nidi alle 16.30 anziché alle 18 o affidando quell'ora e mezza a cooperative a spese dele famiglie, riconteggiando le rette e introducendo la tassa d'iscrizione: "Siamo sempre stati l'eccellenza, a Bologna, ora ci tocca mettere in cartella ai nostri figli carta igienica, quaderni e farina per i giochi di manipolazione: è disarmante", lamentano Anna, Valentina e le altre mamme.
E siamo al cuore della faccenda. Sarà colpa, come sostiene Romano Prodi a pagina 70, del "crollo di autostima" provocato nei bolognesi dal non aver più i soldi per mantenere le vette di welfare cui erano abituati. Ma dalla politica al senso civico, dall'economia all'università alla sanità e persino nella cucina, Bologna appare come sfilacciata, senza più un'idea di sé né grandi convinzioni, in balìa di accadimenti che un tempo vantava di piegare a sé, appiattita a vivere di rendita: per scoprire all'improvviso che le rendite non ci sono più.
Tutti ti ripetono che il pesce puzza dalla testa: e la testa è la politica, visibilmente allo sbando dopo cinque anni di Sergio Cofferati scivolati via sulla città come l'acqua sul piumaggio delle oche, poi il disastro di Flavio Delbono invischiato nel Cinziagate e costretto a dimettersi, infine la malasorte del ritiro di Maurizio Cevenini, candidato popolare e macchina da voti. Cartina di tornasole è il Commissario straordinario. Prefetto. Donna. Anna Maria Cancellieri, da febbraio al timone di questa nave ubriaca che è Bologna. "Quando sono arrivata", racconta, "la città era come smarrita, il benvenuto fu "ci bloccherà tutto", qualche funzionario credo abbia pianto: il commissariamento era uno schiaffo, per un modello di pubblica amministrazione. Poi la gente ha capito, e ora ci sta sostenendo".
Vero: la Cancellieri la disegnano come un fortunato incrocio tra una nonna premurosa e disponibile, che ti riceve senza inciampi burocratici e ti sta a sentire, e un "principe illuminato", definizione di un notabile Pd. Anche se la domenica delle dade hanno fischiato al suo nome, primo strappo nella lunga luna di miele tra lei e la città: "I politici le lasciano fare il lavoro sporco dei tagli al welfare per presentarsi candidi al voto", scandivano al megafono. Un pezzo alla volta, la Cancellieri sta pedonalizzando metà centro: "Libererei dalle auto anche le Due Torri, ora un orrendo spartitraffico, ma per attuare una simile rivoluzione dovrei avere un forte mandato popolare dal voto". Non si presenterà, ma la voce serpeggiava, e i fan li troverebbe eccome.
Brutta storia se, per brava che sia, un Commissario in scadenza a marzo trova più credito dei politici. Proprio qui, poi. Se Milano campa quasi sopportando la politica, a Bologna la politica, o se si preferisce il Partito, nel bene e nel male innervava la vita sociale ed economica, tesseva trama e ordito del presente e immaginava il futuro. Una rete che passava per gabbia, e in parte lo era. Ma ora che è evaporata, nessuno sa più che pesci pigliare. Si fa senza? Industria, cultura, teatri, sicurezza, degrado, guasti nell'integrazione, come la mettiamo?
L'impresa. Dice Maurizio Marchesini, presidente Unindustria e di Marchesini Group macchine per packaging, che Bologna mantiene atout non da poco: "La coesione sociale resta un valore difeso da tutti, e il tessuto industriale è orientato all'export e all'alta tecnologia. Ripartite le esportazioni, la nostra economia va un po' meglio che altrove, e così l'occupazione. Ma da dieci anni almeno non ricordo un solo investimento straniero di rilievo: la città non è attraente, e ciò ha a che fare con l'amministrazione. Senza governo, non c'è un piano strategico come hanno Torino, Lione, Lille o Barcellona, che definisca cosa abbiamo, chi siamo e cosa vogliamo essere.
Sulle infrastrutture, dal people mover aeroporto-stazione al metrò al passante nord, da vent'anni pare il gioco dell'oca, ogni volta che ci avviciniamo un tiro di dadi ci riporta alla casella di partenza". Stazza da buongustaio, quando chiedi a Marchesini come mai persino i ristoranti della città sono quasi spariti dalle Guide gastronomiche più note, ti risponde che "famosi nel mondo per un piatto inesistente, gli spaghetti alla bolognese, ci ha rovinati il piè di lista, il turismo d'affari". Lui mangia al Circolo della caccia, solo soci. Chi fa da sé ha successo nella totale indifferenza della politica.
Yoox è nata dieci anni fa in un garage alle porte di Bologna: "Ora siamo leader in Europa nell'e-commerce moda", racconta il suo presidente Federico Marchetti, 41 anni, "consegniamo un capo ogni 20 secondi dall'Arkansas allo stretto di Bering, tre quarti dal nostro centro logistico di Bologna, dove lavorano 200 persone e altrettante nell'indotto, età media 30 anni, per metà donne. Lei crede che un politico si sia degnato di scriverci due righe? Neanche sanno che esistiamo. Solo Prodi venne un venerdì a visitarci, per pura curiosità intellettuale e senza ruoli politici. Chapeau".
In realtà l'unica grande industria di Bologna è l'Università: 61 mila studenti (e altri 22 mila in sedi decentrate) che, vanta il rettore Ivano Dionigi, "rendono alla città un milione 750 mila euro al giorno in vitto, alloggio, trasporti e tempo libero e danno lavoro a 3.300 persone, più l'indotto. Ventenni che costringono a restar giovane una città, come popolazione residente, tra le più vecchie al mondo. Ma Bologna se la deve rimeritare, la sua Università. Invece di lagnarsi di qualche prezzo da pagare in tranquillità notturna, le dia spazi, luogi di ritrovo, una casa dello studente, un'ex caserma per dibattiti e concerti rock!".
L'ateneo ha perso due posti in classifica, è 176esimo al mondo; "ma quelli che lo precedono hanno un quinto di studenti e cinque volte le nostre risorse". La ricerca è peggiorata: "Teniamo le posizioni, benché a tutt'oggi io non conosca l'importo del finanziamento ministeriale 2010". Al Sant'Orsola, azienda ospedaliera universitaria, le cause intentate per malasanità sono aumentate di metà in cinque anni: "Conosco le eccezioni non degne, ma con la vigente tirannia del budget come garantisci qualità quando mancano le garze e non puoi sostituire chi se ne va?".
Bologna la grassa, la dotta, la rossa: sì, ma tutto un po' meno di prima. "S'è inceppata la politica dell'accoglienza e d'integrazione degli immigrati, ultimo grande gesto della sinistra", dice Patrizia Finucci Gallo, scrittrice, suo il recente "I love Islam": e cita lo sciopero in aprile contro l'esclusione dei sans papiers dai nidi d'infanzia; l'insofferenza dei nuovi immigrati, uomini e sempre più donne, età media 31 anni, artigiani, negozianti, gente che investe e produce ed è guardata come corpo estraneo; i 150 bambini che arriveranno nei prossimi mesi per ricongiungimenti familiari e nessuna scuola sa più dove mettere; l'ira che monta nelle moschee bolognesi, come riporta chi le frequenta. "È venuto meno il controllo sociale diffuso, il senso civico fiore all'occhiello di questa città", constata Simona Mammano, poliziotta e scrittrice (dirige una collana di Stampa alternativa): nessuno interviene più se uno orina per strada, distrugge giardini o imbratta i muri, e chi lo fa lo prendono a botte, le cronache sono piene di episodi.
Eppure Bologna è stata scelta per l'Expo di Shanghai tra le 46 città modello al mondo per vivibilità, cultura e partecipazione. Onda lunga delle glorie passate, se l'ex prorettore Roberto Grandi, quattro mesi in Cina come presidente di Promobologna, alla domanda su come si esce dal declino risponde: "Come Glasgow, Utrecht, Bilbao. Quando capisci che hai toccato il fondo e devi ridefinire la tua identità e il tuo futuro. Ma a Bologna questa consapevolezza ancora non c'è".
La politica continua a guardarsi l'ombelico. "Ristabilire una connessione sentimentale con la città", slogan del neosegretario Pd Raffaele Donini, suona caldo e moderno, ma in vista delle primarie di coalizione è cominciata "una bagarre interna autodistruttiva come nel '99, quando si perse contro Guazzaloca", bolla Luigi Mariucci, ordinario di Diritto del lavoro.
Le candidature sono ormai cinque o sei, funzionari e civici, "primarie anche troppo partecipate", scherza Andrea Segrè, preside di Agraria. Un sondaggio Dire, agenzia vicina al Pd, gli dà un gradimento al 43 per cento, doppio degli altri, ma lui nicchia, deciderà se presentarsi. Last minute market, spin-off dell'università che Segrè s'è inventato e dove lavorano stipendiati una decina di ricercatori, guadagna recuperando e regalando le eccedenze di imprese e commercio: un gioiellino, "ma progetti di frontiera come questi, su robotica, nanotecnologie, screening dei materiali, ce ne sono almeno sessanta: solo che nessuno lo sa", spiega al bar di piazza Verdi, un po' ripulita dallo spaccio ma teatro nei giorni scorsi di rissa notturna con tamburi e arresti; "Bologna è una città addormentata, segnata da ignavia, senza più entusiasmo né tessuto connettivo. Bisognerebbe darle una scossa...".
Politica
15 novembre, 2010Era la città efficiente per antonomasia. Adesso è in crisi un po' in tutto, dall'università all'industria. Per non parlare della politica
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