È cominciata la corsa alla Casa Bianca del 2012. Sì, proprio così, nella notte tra martedì 2 e mercoledì 3 novembre, appena si è conosciuto il risultato del voto delle elezioni di Mid Term, la macchina delle presidenziali si è messa automaticamente in moto. La sconfitta di Barack Obama e dei democratici è chiarissima. I repubblicani sono galvanizzati per gli oltre 40 seggi di maggioranza alla Camera e quelli guadagnati in più al Senato ma senza raggiungere la maggioranza, il clima è stato reso più euforico dall'affermazione di molti candidati dei Tea Party che inseriscono nel Congresso una pattuglia estremista, populista che sa parlare alla pancia e non alla testa del Paese.
Il risultato di martedì 2 novembre ha fatto tornare di attualità una fotografia vecchia di 16 anni. Quella scattata all'indomani delle elezioni di Mid Term del 1994, quando Bill Clinton perse la maggioranza al Congresso a favore dei repubblicani guidati da Newt Gingrich, allora chiamato il "genio" del Partito Repubblicano per aver inventato il Contratto con l'America. Obama ha adesso una strada tutta in salita. Il primo ostacolo dovrà affrontarlo prima della fine del 2010. Si tratta degli sgravi fiscali coniati ai tempi di George W. Bush che sono in scadenza. Il presidente non vuole prorogare quelli per il 2 per cento di americani più ricchi (reddito oltre 200 mila dollari l'anno per i singoli, 250 mila per le famiglie), mentre intende far proseguire gli sconti per il restante 98 per cento di cittadini. Ma ci vuole una legge e una maggioranza che lui non ha, con i repubblicani che chiedono l'estensione per tutti e Obama che denuncia un deficit di 399 miliardi di dollari l'anno per un decennio.
L'altro grande scoglio si presenterà subito dopo. E si chiama riforma sanitaria, una legge che non ha raccolto la maggioranza di simpatie nei sondaggi (anche per ragioni che attengono all'egoismo personale: in Massachusetts, per esempio, ne avevano già una simile, e quella di Obama non l'hanno mai amata perché l'ingresso di nuovi assicurati avrebbe fatto salire il costo della loro assicurazione). I repubblicani hanno strombazzato l'intenzione di attuare il cosiddetto repeal, la cancellazione della riforma, mentre Obama ha replicato minacciando il veto. I repubblicani non hanno i numeri necessari per votare con una mossa a sorpresa il repeal nei due rami del Congresso e vogliono sfuggire l'onta del veto. Ma hanno un'arma che usarono già nel 1994: dire no a quei disegni di legge che servono a finanziare anno dopo anno il cammino di una riforma, a cominciare da quella sanitaria. Se questo accade si crea la situazione di shutdown del governo, paralisi reale (chiusura degli uffici, personale a casa, carte in tribunale).
Che cosa farà Barack Obama? Cercherà un compromesso o sceglierà la lotta corpo a corpo con i repubblicani? Riprendendo in mano la fotografia del 1994 si vede che Bill Clinton duellò con i repubblicani per un anno, fino alla paralisi e chiusura del governo per una settimana: lotta senza esclusione di colpi che arrivò alla decisione di non ammettere Gingrich e un altro leader repubblicano nella parte più esclusiva dell'Air Force One. Poi, aprì l'era dei compromessi quando l'opinione pubblica cominciò a giudicare negativamente il comportamento del Partito Repubblicano. E si avviò trionfante al secondo mandato presidenziale.
Le tasse, la sanità. Ma anche la guerra in Afghanistan, la disoccupazione, l'ambiente, l'energia. E, soprattutto, la fine ormai acclarata dell'America come sola super potenza e locomotiva del mondo. Ma lo scoglio più difficile per Barack Obama rischia di essere il suo stesso partito, non solo per il rapporto Governo-Congresso dei prossimi due anni, ma per le presidenziali. Quel 47 per cento che chiede comunque le primarie per i democratici e i mugugni del vertice del partito contro i collaboratori più stretti del presidente e contro lo stesso Obama, criticato per essersi occupato più di se stesso che del partito, sono presagi per nulla rassicuranti.