Roma sud, zona Torrino, 193 posti. Pietralata, Roma est, altri 69. E poi: viale Newton, via di Valcannuta, Selva nera. Sparsi in tutta la capitale, sei nuovi asili nido si accingono ad aprire i battenti, con le loro seggioline, fasciatoi e giardinetti. Daranno 469 posti, su oltre 8 mila bambini in lista d'attesa. Sono gli apripista del nuovo corso annunciato di recente da Gianni Alemanno: mai più nidi gestiti dal Comune, d'ora in poi faremo solo convenzioni con il privato, ha detto il sindaco di Roma.
In tasca aveva i conti dei sei asili appena citati, messi a gara al massimo ribasso. Base d'asta: 500 euro a bambino, chiavi in mano. Un affare, per un Comune a corto di soldi che per i suoi nidi dichiara di spendere più del doppio; uno scandalo, per i sindacati che denunciano la giungla salariale; una miseria, per gran parte del mondo delle cooperative e del privato sociale che negli ultimi anni è cresciuto sulla gestione dei nidi in convenzione. E che da Milano a Roma si trova alle prese con la stretta finanziaria dei comuni sulle spese per gli under 3.
Obiettivo mancato.
Dodici virgola sette per cento. Questo il tasso d'accoglienza dei nidi comunali e in convenzione in Italia all'anno 2008, secondo l'Istat. A poche settimane dalla fine del 2010, anno entro il quale doveva essere raggiunto l'obiettivo di Lisbona di dare un posto al nido almeno a un bambino su tre, siamo ancora lontanissimi dall'obiettivo. Se si contano anche i nidi privati, ci avviciniamo a stento al 20 per cento nella media nazionale. Un bambino su cinque, alloggiato in nidi comunali, aziendali, micronidi, domiciliari, spazi giochi, tagesmutter, privati, convenzionati e quant'altro: perché i nostri servizi per l'infanzia saranno pochini (rispetto al resto d'Europa), ma in quel poco che c'è la fantasia regna sovrana. E anche negli standard richiesti per gli stessi nidi comunali, o convenzionati con i Comuni, ogni regione fa storia a sé.
A partire dai diktat per lo spazio: a Roma i bimbi hanno diritto a dieci metri quadri pro capite, a Torino a 12, per i piccoli del lombardo-veneto solo sei metri quadri a testa. Diversissimi anche gli altri criteri, come il tetto massimo di bambini per ogni educatrice, che va da quattro a dieci, e per di più con regole diverse su come si fa il conteggio. Per non parlare dei contratti: a quelli degli enti locali, per le educatrici pubbliche, se ne aggiungono altri quattro per i privati e i gestori in convenzione. Ed è proprio qui che si giocano i risparmi di Alemanno e degli altri sindaci, per un servizio i cui costi - ha calcolato un recente studio del Cnel - sono fatti all'84,4 per cento dagli stipendi del personale.
Basta prendere in mano due buste paga per vedere la differenza. Ce le mostra Caterina Fida, sindacalista di base della Usb, sulle spalle 25 anni di lavoro nei nidi e una denuncia penale che si è presa dopo una manifestazione a difesa delle precarie degli asili. "Educatrice dipendente dal Comune: 1.200 euro netti per 36 ore settimanali, di cui 30 frontali. Educatrice di nido convenzionato: 831 euro, per 43 ore settimanali". La prima fa turni dalle cinque alle sei ore e mezza, la seconda ha ritmi da Pomigliano dopo la cura Marchionne: sette ore e 12 minuti, spezzati da una pausa non calcolata nell'orario.
La prima ha le ferie a luglio e agosto, la seconda ha un mese se va bene. Da dove venga il risparmio nelle convenzioni, è abbastanza chiaro. Però Fida contesta i calcoli del Comune sui costi dei suoi nidi: "11.500 euro all'anno per bambino, dice la ragioneria. Però mettono nelle spese anche gli stipendi delle dipendenti in gravidanza, che invece sono coperti dall'Inps, e anche quelli delle maestre distaccate negli uffici per malattie professionali. Così gonfiano i costi, e poi danno un servizio ai privati mentre ci sono 4 mila precarie che già lavorano nei nidi pubblici. Perché, invece, non guardare gli sprechi nelle spese, come le banane biologiche comprate a 10 euro e 90 al chilo?".
Banane a parte, è chiaro che sui costi del personale e sugli standard di qualità si gioca la differenza. "Però le cose cambiano da regione a regione, e di molto", spiega Lorenzo Campioni, pedagogista del Gruppo nazionale nidi d'infanzia, la cui lunga esperienza è nata all'interno del modello dei nidi di Reggio Emilia, quello che ancora fa scuola e attira osservatori da tutto il mondo. Il problema, dice Campioni, non sono le convenzioni: "È dalla metà degli anni Ottanta che si fanno, e i nidi privati e convenzionati adesso hanno sorpassato numericamente quelli a gestione diretta pubblica. È vero che i contratti nel privato sono più convenienti, per i costi del personale. Però gli standard devono valere per tutti. Non a caso parliamo di un unico sistema integrato pubblico-privato. Ma per saper controllare il privato, il pubblico deve avere una storia e un'esperienza diretta di gestione".
Campioni è preoccupato, e parecchio, dell'andazzo degli ultimi tempi. Nel mirino delle sue critiche, non solo appalti al ribasso per i nidi veri e propri, ma anche la recente moda dei servizi "domiciliari": il nome in voga è quello mutuato dall'esperienza tedesca delle Tagesmutter, mamme di giorno, introdotta con successo a Bolzano e adesso diffusa un po' ovunque. Dovrebbero essere a casa dell'educatrice o di uno dei bambini, con un rapporto massimo di cinque bambini per "tagesmutter". Sulla carta, calcola lo studio del Cnel, è il più costoso dei servizi in circolazione, se si rispettano tutti i criteri. Ma spesso così non è, a partire dalla questione della formazione. Se a Bolzano si prevede per le mamme-educatrici una formazione di 450 ore, in altre regioni molte di meno: 40 in Veneto, 60 in Piemonte, 250 nel Lazio (affidate a una associazione privata). Altre regioni addirittura non chiedono neanche la formazione. "Insomma, si sta tornando alla vecchia idea che basta essere una donna per sapersi occupare dei bambini. Cancellando anni di studio ed esperienza sulla necessità di tenere insieme dai primi anni di vita la cura e l'educazione". Il che comporta molti rischi, conclude Campioni, "soprattutto adesso con la crisi e la stretta ai bilanci dei Comuni. Ma al di sotto di una certa soglia si va a intaccare la qualità del servizio".
Il non profit dice no. Già, ma qual è la soglia minima? Lo studio del Cnel sui nidi la pone dai 4 ai 6 euro all'ora per bambino. Questa sarebbe la cifra che il Comune deve corrispondere al privato che prende in convenzione i nidi. La Cgil ha fatto una simulazione su base mensile: si va da un minimo di 591 a un massimo di 887 euro. E infatti più o meno tra i 600 e gli 800 euro al mese per bambino si erano andate fissando negli anni le convenzioni con il privato. Adesso il Comune di Milano bandisce asili in convenzione a 520 euro al mese per bambino; mentre Roma, come si è visto, scende addirittura a 500, dando però ai privati l'intera "concessione" dell'immobile. Come faranno a stare in queste tariffe? "Hanno ridotto di un'ora il servizio, fino alle 16,30. Potranno chiedere soldi alle famiglie per le ore aggiuntive, e affittare i locali nel weekend. Ma anche così è impossibile starci dentro. È una scelta chiara, tagliare i fondi per l'infanzia", dice Fabio Moscovini della Funzione pubblica Cgil del Lazio.
Ma le reazioni più furibonde vengono proprio da quel mondo del privato sociale che gli asili dovrebbe gestirli. "Siamo letteralmente inorriditi, costi così bassi rivelano una falsa coscienza. È impossibile fornire servizi a quei prezzi rispettando gli standard di legge", dice Grazia Faltoni, presidente di Koiné, cooperativa presente nei nidi dal '91, con una quarantina di asili in Toscana e uno a Roma nato nell'ambito del progetto di bioarchitettura "nidi nel verde". Lega coop, a cui Koiné aderisce, ha dichiarato pubblicamente che non avrebbe partecipato a bandi così fatti. Ha risposto invece al bando di Roma - ma non a quello simile di Milano - il consorzio Con.Opera, della rete della Compagnia delle opere e aderente a un'altra realtà importante dei nidi privati, il consorzio Pan. Ma ha partecipato con una certa sofferenza: "Perché il Comune spende tanto e a noi chiede costi così bassi?", si chiede Guido Boldrin, direttore di Con.Opera, "il privato sociale non può essere considerato come un modo per esternalizzare servizi a basso prezzo. Noi ci teniamo a fornire un servizio di qualità. Sostenibile, ma di qualità".
Scandalizzata anche Laura Franceschini, direttrice del Centro nascita Montessori: "Quegli asili li ho visti, impossibile fornire un'accoglienza decorosa, intelligente e sensibile a quei costi. In questo modo il pubblico sta gravando sul privato: ci sarà uno straordinario abbattimento della qualità, con l'uso di più personale precario". Eppure al bando del Comune hanno risposto una quarantina di operatori: "È un'economia del ricatto, per evitare di chiudere si accettano anche queste condizioni", dice Franceschini. È netto Edo Patriarca, che per il Cnel ha coordinato lo studio sui costi dei nidi ed è stato per anni portavoce del Forum del terzo settore: "Stanno uccidendo il privato sociale, costringendo il terzo settore a comprimere ancora di più retribuzioni e standard. Vuol dire che non interessa più la qualità, ma solo trovare un'area di parcheggio per i bambini".