L'avamposto della Lega Nord in terra straniera è una palazzina di due piani in via Giovanni Poggio, martire della guerra d'indipendenza, con un'affumincata bandiera croce rossa su sfondo bianco che sventola dal terrazzino. È da qui, nel cuore del quartiere Barriera, periferia nord di Torino, tra macellerie islamiche, parrucchieri cinesi e qualche pensionato indigeno che si aggira spaurito, che parte l'assalto del movimento di Umberto Bossi alla conquista della Regione Piemonte. Da una terra doppiamente ostile, non solo per la concentrazione di etnie venute da lontano ma perché fino a pochi anni fa la presenza del Carroccio era poco più che simbolica in una città tradizionalmente schierata a sinistra. E invece ora le sezioni e gli iscritti si moltiplicano: circa 9 mila tesserati a Torino e provincia, 50 sedi leghiste aperte in poche settimane, tre nei quartieri nord del capoluogo. Ed è qui, in questo epicentro di paure, conflitti, pulsioni identitarie che si gioca una buona fetta della partita forse più incerta delle regionali del 29 marzo, di certo decisiva per gli equilibri nazionali.
Mercedes Bresso, la presidente del Pd che ha governato negli ultimi cinque anni, sfodera i tratti fondamentali del suo carattere. Affidabilità, sicurezza, una calma forza tranquilla, con un tasso di credibilità personale altissimo: "Sono la tipica persona che piace ai piemontesi: tosta, senza fronzoli, aperta all'Europa". Non si preoccupa dei sondaggi che la vedono appena più su dello sfidante. E interrompe la campagna elettorale per volare in Spagna, a Saragoza, per il suo primo impegno come presidente del Comitato delle regioni europee. Con un unico rammarico per lei, docente di economia ambientale: "Invidio le loro pale eloiche. Da noi non c'è possibilità di utilizzare il vento".
Nelle stesse ore il suo avversario, il capogruppo della Lega a Montecitorio Roberto Cota, presenzia una conferenza stampa della Destra nello scantinato di un albergo in corso Vittorio Emanuele. Il consueto fazzoletto verde-secessionista è più abbassato del solito, quasi nascosto nel taschino, un po' a disagio in mezzo ai manifesti dei seguaci di Francesco Storace che inneggiano alla Patria: 'Vota per l'Italia!'. Ci sono l'ex presidente Enzo Ghigo, vivace come un cipresso, coordinatore del Pdl piemotese, e il suo vice Agostino Ghiglia, ex Msi ex An, che a Roma pare un conservatore inglese e qui ritrova le sue radici: "La signora Bresso ha i picchiatori della Tav in lista. Vietti dell'Udc si è comprato una kefia di cachemire e andrà a manifestare anche lui". Poi i tre, Cota in testa, si barricano nella sala accanto dedicata a Eugenio Montale per il rush finale su liste e candidature. Per firmare l'accordo è arrivato da Roma l'oscuro, enigmatico sottosegretario Aldo Brancher. Bellunese di Tirchiana, residente a Bardolino in provincia di Verona, eletto deputato in Veneto, con le Alpi non c'entra nulla. Ma è l'uomo che da dieci anni affianca il Senatur su ordine di Silvio Berlusconi, per controllarlo. E anche al gracile Cota serve la Badante, evidentemente.
Il candidato leghista passa da un comizio a una fiaccolata, accompagnato dal fedele Lupo, l'inseparabile guardaspalle con le lenti fumè: "Negli ultimi dieci anni ho fatto 150 mila chilometri l'anno, fanno un milione e mezzo", calcola. Nel computo non è inserito il tratto di strada da cui è nata la candidatura, il volo per Roma. Il nome di Cota è spuntato a palazzo Grazioli, al tavolo della spartizione nazionale: due regioni alla Lega, Piemonte e Veneto, e un ministero per premio in caso di sconfitta. In più, il capogruppo leghista ha l'handicap di essere nato a Novara, quasi in Lombardia. Un peccato originale, per i vecchi piemontesi. E il Pd una settimana fa ha invaso la regione con i manifesti che solleticano l'orgoglio sabaudo: 'Piemonte, non Padania', 'Tute blu, non camicie verdi'. E il definitivo: 'Piemontesi, non pirla'.
Poco elegante, d'accordo, ma dietro l'understatement di superficie la campagna elettorale appena all'inizio si annuncia molto dura. Ed è segnata da episodi di violenza. Una bomba carica di bulloni con la miccia già innescata per esplodere è stata miracolosamente inceppata dalla pioggia nel centro di Torino. Attacco ai banchetti della Lega, vetrine sfondate nel circolo Pd di via Cervino, irruzione nel circolo Garibaldi di San Salvario, assalto al quartier generale del comitato Bresso in pieno giorno e nel cuore della città, davanti al palazzo del Comune, con scritte sui muri. Azioni che hanno portato all'arresto di sette militanti dell'area anarco-insurrezionalista torinese e altre misure cautelari.
Una tensione che ruota attorno alla questione dell'Alta velocità in val di Susa che si è arricchita nei giorni scorsi di un altro brutto capitolo, gli scontri tra popolazione e polizia con due feriti, il giovane redattore di una radio locale e una signora ricoverata con il naso fratturato. La sera dopo il popolo No Tav torna a sfilare nelle strade intorno a Bussoleno. In apertura di corteo c'è la foto della mamma con il volto fasciato trasformata in un'icona ('Marinella, una di noi') e uno striscione: 'La valle che resiste. Via via trivelle e polizia'. Nel gelo risuona il rap napoletano di Officina '99, alle spalle c'è tutto il paese. Migliaia di persone silenziose, le fiaccole accese, i bambini con il berretto di lana, intere famiglie, tanti cani, un anziano con la scritta: 'Pidi e Pidielle in culo le vostre trivelle'. Non c'è la bandiera di un partito, non c'è più la politica, la politica senza differenze di schieramento ha da tempo deciso per il via libera all'opera, c'è una comunità che si organizza contro il Mostro rappresentato dal treno e in difesa di qualcosa di più prezioso che si chiama identità. Anche se confusa: nella Credenza, il locale in cui tutti finiscono a bere, il Vej Piemont si mescola alle bandiere di Cuba e di Che Guevara.
Il popolo No Tav imbarazza il centrosinistra per la presenza in coalizione della federazione comunista, sia pure con un accordo tecnico e non politico: la sinistra radicale resterà fuori dalla giunta in caso di vittoria, ma ha trattato un posto nel listino del presidente in cambio dell'appoggio alla candidatura Bresso. Cota e i suoi sparano a zero, ma perfino il bizantino appoggio di Rifondazione e Pdci dimostra l'eccezionalità del caso Piemonte. In nessuna regione italiana l'opposizione al governo Berlusconi si presenta così unita e compatta. La famosa larga alleanza vagheggiata da Pier Luigi Bersani in tutta Italia, qui è realtà: si va dai centristi ai radicali passando per Pd, Idv, Sinistra Ecologia e libertà e due liste civiche. L'Udc di Pier Ferdinando Casini all'inizio ha provato a scaricare la Bresso e a candidare Sergio Chiamparino, ricevendo come contropartita la poltrona di sindaco di Torino per il suo leader regionale Michele Vietti. Ma poi, raccontano, hanno pesato le pressioni di due poteri forti, l'Intesa-San Paolo dell'ex democristiano Enrico Salza e la Chiesa che segue le indicazioni del piemontese cardinale Tarcisio Bertone, per motivi diversi poco entusiasti di uno sbarco della Lega in piazza Castello, sede del governo regionale. E il leader dell'Udc si è trasformato nel principale sostenitore della laicissima Bresso: "Sei la nostra Angela Merkel", le sussurra Casini. In cambio c'è la vice-presidenza per l'immortale Teresio Delfino, già deputato della Democrazia cristiana, poi sottosegretario con D'Alema e con Berlusconi, che l'altra sera a Biella abbracciava la governatrice felice come uno sposino giunto vergine alle nozze: "È la bellezza di fare una cosa nuova". Meritandosi l'acida replica dell'europarlamentare del Pd Gianluca Susta: "Impossibile, tu le hai già fatte tutte!".
Dietro l'apparente compattezza c'è l'abituale autolesionismo del centrosinistra: a Moncalieri, la città di Sergio Chiamparino, la giunta del Pd è affondata dopo solo due anni e ora il centrosinistra si affida all'imprenditrice Roberta Meo. A Venaria alle primarie è stato battuto il sindaco uscente (Pd). Due importanti e popolosi comuni della provincia torinese, fondamentali per vincere. Ma nello staff della Bresso guidato da Andrea Benedino sperano che dal caos nasca qualcosa di buono. E si fa sfoggio di grande auto-ironia sul guru Massimo Alesii chiamato a sfornare analisi, slogan e perfino qualche consiglio di look per la governatrice ("Niente ritocchi con il photoshop sui manifesti, non ne ha bisogno"), contro Cota che si è rivolto alla ex dalemiana Swg di Trieste. Si punta tutto sull'autenticità: "Cota è un Ogm, così giovane e già così banale, poverino. Io un prodotto da Slow Food, come la Nutella: fedeltà alle origini e innovazione".
Ma il leghista geneticamente modificato resta lì, a un'incollatura nei sondaggi. Con guerra all'ultimo voto a Torino e provincia dove va ai seggi più della metà del corpo elettorale e dove il centrosinistra deve fare il pieno per bilanciare la probabile sconfitta nelle altre province. Il tam tam parla di un notevole travaso di voti dal Pdl alla Lega, il primo obiettivo di Bossi. Pesa la questione morale, in una regione dove il presidente della Provincia di Vercelli è appena finito in manette. E gli uomini del Pdl non nascondono il disappunto per il candidato che fa campagna soprattutto per la Lega e per il sostegno offerto da Berlusconi. Al Cavaliere il Pdl non interessa, se vince Cota trionfa il suo asse con Bossi. Ma l'effetto sarebbe un 1861 alla rovescia, 150 anni dopo, con la Lombardia che conquista il Piemonte in nome della disunità d'Italia. A meno che non sia la professoressa Bresso a impedire che venga varcato il Ticino.