Esce il terzo episodio del film che ha lanciato la grafica al computer nei cartoni animati. E il boss della Pixar John Lasseter spiega a L'espresso perché sarà, di nuovo, un grande successo

Quando John Lasseter parla della Pixar usa spesso il pronome "noi". Non è un plurale maiestatis o un sintomo di arroganza, piuttosto il contrario: i talenti cresciuti con lui, fin da quando nel 1979 ha contribuito a fondare la società con Ed Catmull, sono diventati nel corso di tre decenni suoi soci e amici. Una collaborazione che è diventata ancor più preziosa da quando Lasseter è passato a ruoli di supervisione, e con la fusione tra Disney e Pixar ha assunto il ruolo di direttore creativo di entrambe le compagnie. Se lo status oggi gli impone di presentarsi alle interviste in giacca, tuttavia non rinuncia alle sue sgargianti camicie hawaiane, in cui ora fanno capolino le tante icone Pixar: Wall-E, Nemo, Saetta McQueen, Woody, Buzz e tutti gli altri. Iniziamo la nostra chiacchierata partendo da "Toy Story 3", in uscita il 7 luglio.

Come è nato il progetto?
"Dopo la fusione tra Disney e Pixar, abbiamo deciso di riprenderlo in mano noi. Era necessario che la storia fosse scritta dai creatori originali e così ho radunato chi ci aveva lavorato e siamo andati nella stessa casa sull'oceano in cui avevamo concepito i primi due film, a un'ora e mezza di auto dagli studios. Ciascuno di noi ha apportato idee alla trama. Quando è stato il momento di scegliere il regista ho chiesto a Lee Unkrich, già coregista di "Toy Story 2", "Monsters & Co." e "Alla ricerca di Nemo", di dirigerlo".

Ma perché Pixar, famosa per l'originalità delle sue storie, torna con il secondo sequel di "Toy Story"?
"Quando crei un film devi fare tre cose molto bene: raccontare una storia che tenga il pubblico incollato alle poltrone, popolare la trama di personaggi memorabili e mettere entrambi questi elementi in un mondo credibile. Ogni volta è una sfida e questo spiega perché impieghiamo anche due o tre anni a creare una storia originale. Ma quando un film finisce, amiamo i nostri personaggi a tal punto che è eccitante immaginare per loro nuove avventure. In ogni caso non realizziamo un sequel se non siamo convinti che sia migliore dell'episodio precedente: cerchiamo di ispirarci sempre ai pochi casi di sequel riusciti nella storia del cinema, come "Il Padrino parte II" o "L'impero colpisce ancora". Quindi oltre a "Toy Story 3" e "Cars 2" continueremo a fare sequel solo se pensiamo che saranno meglio degli originali".

Intanto l'anno scorso con la Disney avete deciso di tornare a produrre di nuovo cartoon tradizionali, non tridimensionali: come mai?
"È la prima cosa che Ed Catmull e io abbiamo deciso dopo che Disney e Pixar sono diventate un'unica famiglia: ho pensato che se c'era uno studio che avrebbe potuto riportare in auge l'animazione disegnata a mano, era quello che l'aveva creata per primo. Non ho mai capito la decisione di molti, dopo il successo dei cartoon Pixar in computer grafica, di smettere di realizzare cartoni animati classici, con l'idea che al pubblico non piacessero più. È come dire che il tuo film ha meno successo di un altro perché non usa lo stesso tipo di macchina da presa. Andrew Stanton (regista di "Wall-E", ndr.) sostiene che l'animazione tradizionale è diventata il capro espiatorio della cattiva narrazione. E la realtà è che la tecnologia impiegata non ha niente a che vedere con la riuscita di un film. Ecco perché dopo "La principessa e il ranocchio" continueremo a dare la possibilità alle nuove generazioni di godersi i classici Disney di nuovo sul grande schermo".

Se la tecnologia non c'entra, come mai molti anni fa lei è rimasto affascinato dai computer?

"Walt Disney è stato uno dei pionieri del cinema e ha apportato molte migliorie tecnologiche, ma sempre al servizio della narrazione. Già nel 1928, con "Steamboat Willie", il primo cartoon sonoro, aveva reso Topolino una star planetaria. Molti anni dopo ne "La carica dei 101" la creazione del sistema automatizzato Xerox, permise di sostituire l'inchiostratura a mano, e anche se alcuni puristi la criticarono, rese possibile la creazione di tutti quei cuccioli di dalmata, altrimenti inattuabile. Quando io arrivai alla Disney, l'animazione aveva raggiunto un buon livello tecnologico e mi chiedevo cosa sarebbe venuto dopo: erano gli anni Settanta e i computer iniziavano a creare le prime immagini digitali. Fui affascinato dall'idea degli oggetti creati nel computer in 3d, così pensai di poterli usare per realizzare dei cartoon".

Perché ha scelto i giocattoli come soggetto del suo primo film, appunto "Toy Story"?
"All'inizio pensavo al computer per aggiungere la tridimensionalità ai cartoon, ma presto ho provato a realizzare dei personaggi. Ho capito in fretta che era molto difficile creare persone in 3d e si otteneva una migliore riuscita con gli oggetti: ecco perché siamo partiti con i giocattoli. Poi man mano che la tecnologia migliorava abbiamo puntato più in alto: insetti, mostri, pesci, robot e con "Gli Incredibili" e "Up" siamo arrivati ai primi protagonisti umani. Oggi le barriere sono cadute quasi del tutto, e si può creare qualsiasi cosa".

Che cosa pensa delle altre tecniche, come la stop-motion di Tim Burton?
"Amo tutte le tecniche, sia l'animazione con la plastilina del nostro amico Nick Park con i suoi adorabili "Wallace & Gromit", sia quella simile di Tim Burton, che è stato mio collega all'università, sia quella disegnata a mano di Hayao Miyazaki. L'importante non è sapere che tecnica usi, ma se rappresenta la migliore soluzione per la storia che vuoi raccontare".

Qual è il segreto del successo della Pixar?
"Quando realizziamo un progetto partiamo da una domanda semplice: è davvero il film che vorremmo vedere? Quando un regista mi propone una storia cerco di capire dove hanno origine le emozioni, mi domando quale sarà il processo di crescita del protagonista, cosa imparerà lungo il cammino e quali sono il tema e la lezione della storia. Non voglio dire che cerchiamo di lanciare messaggi, ma dato che a inventare gag comiche siamo piuttosto bravi, ci preoccupiamo di capire qual è il cuore della storia. Se non si trovano subito le fondamenta non potrai aggiungerle in un secondo momento. Inoltre studiamo l'ambientazione, chiedendoci se si tratta di un luogo dove vorremmo andare. Analizziamo i nostri cartoon come se fossimo già seduti in platea: vogliamo che ci sorprendano. Il grande Walt Disney diceva sempre che "per ogni risata deve esserci una lacrima" ed è così che noi facciamo i nostri film".

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