Anno 1, numero 1, sedici pagine in formato lenzuolo danno inizio alla storia de L’Espresso. È il 2 ottobre 1955 e il neonato giornale fondato da Arrigo Benedetti ed Eugenio Scalfari sceglie quattro elementi per presentarsi al pubblico: due articoli, una fotografia e un breve box redazionale. In basso a sinistra, quest’ultimo è a tutti gli effetti una dichiarazione di intenti, a nome dei «promotori del giornale», «sull’assoluta indipendenza della stampa come fondamento più solido del regime democratico».
A firmare l’articolo del taglio alto è Nicola Adelfi, con il retroscena del primo dei due viaggi di Pietro Nenni - allora ministro degli Esteri - in Cina, attraverso Mosca. Una decisione inattesa che apre la diplomazia con il Paese, ma che avviene in una fase di alta tensione della Guerra Fredda, dopo la morte di Stalin e il conflitto in Corea. È l’anno infatti del Patto di Varsavia e della Conferenza di Bandung. La paura del riarmo è forte ed è il contesto del secondo articolo, scritto da Vittorio Gorresio. Partigiani della Pace e militari (in congedo) obiettori di coscienza, durante la guerra in Corea, portano alla scoperta di un vuoto legislativo nel passaggio dall’Italia fascista a quella democratica, racconta Gorresio. Ad attirare l’attenzione sulla pagina, tuttavia, è soprattutto la grande immagine sotto la testata. È una foto-notizia, con didascalia. Ritrae John William Milam e la moglie subito dopo l’assoluzione dell’uomo per la morte di Emmett Till. La mancata giustizia per il linciaggio del quattordicenne afroamericano in Mississippi dà poi inizio al Movimento per i diritti civili, con un forte peso sull’opinione pubblica. L’Espresso lo racconta fin dall’inizio, aprendosi già dal primo numero al mondo intero.