Il Cavaliere ammette che nell'elettorato italiano si è aperto un buco nero, in cui neppure lui ci si raccapezza più. Così, nell'incertezza dei sondaggi, tira a campare inseguendo qualche straccio di deputato centrista

Il titolo del "Giornale" di oggi è degno delle surreali vignette di Giovannino Guareschi sui comunisti nel '48 («Obbedienza cieca pronta assoluta. – Contrordine compagni! La frase pubblicata sull'Unità: "In ogni paese bisogna organizzare una grande fetta dell'Unità", contiene un errore e pertanto va letta: "In ogni paese bisogna organizzare una grande festa dell'Unità"»). «Caro Silvio, ora ci dica cosa succede», reclama Vittorio Feltri. Laddove la presa di distanza del Direttore dal Cavaliere è tutto in quel "lei" dato a Berlusconi, così diverso dall'affettuoso e confidenziale "tu" che in genere circonda il Capo («Silvio, mandali tutti a casa»).

E già, caro Silvio, che succede?

Silvio ha risposto ieri, dal palco della festa dei giovani del Pdl. Non sarà vero, come ha detto Fini a Mirabello, che il Pdl non c'è più. Però, ha spiegato Berlusconi, se si andasse a votare ora «ci sarebbe un aumento dell'astensione terrificante». Per la prima volta il Cavaliere ammette che nell'elettorato italiano si è aperto un buco nero, in cui neppure lui ci si raccappezza più. Neanche i suoi sondaggi riescono a decifrare cosa si stia muovendo nella pancia del Paese. E allora è meglio restare fermi e al diavolo Feltri e la sua voglia di resa dei conti. Contrordine forzisti, non si vota più.

Così finisce qualcosa di più profondo del Pdl. Arriva al capolinea l'idea del Berlusconi invincibile. E il sogno del nuovo miracolo italiano. D'accordo, già si era capito da tempo che sarebbe finita così. Però fa comunque impressione questo Berlusconi normalizzato, il Berlusconi andreottiano che tira a campare, il Cavaliere tornato con i piedi per terra che si acconcia al pallottoliere di Palazzo e insegue qualche straccio di deputato centrista per fare maggioranza, il caro Silvio che assume il linguaggio e gli esasperanti tatticismi dei professionisti della politica.

Il sondaggio curato da Demos e commentato da Ilvo Diamanti su "Repubblica" di oggi fotografa il cambio di stagione. Il Pdl per la prima volta è sotto il 30 per cento, il partito di Fini che neppure è nato supera già il 6 per cento. Peggio ancora per il Cavaliere l'indice di gradimento dei politici più popolari. Al primo posto l'odiato Tremonti, seguono Vendola e Chiamparino, quindi Fini. Berlusconi è in fondo, dopo Bersani e prima di Veltroni. Una geografia politica terremotata, in cui saltano schemi e gerarchie consolidate.

Sarà per questo che ieri mattina, dopo aver raccontato barzellette su Hitler e dopo aver consigliato ai giovani di emigrare all'estero («datevi una caratura internazionale»: chissà se lo avrà consigliato anche all'ex valletta di Telecafone Francesca Pascale, estasiata in prima fila), Berlusconi si è rifugiato nel solito, vecchio, rassicurante anti-comunismo e passa la paura. «Organizzeremo il Pdl con un team che girerà le case degli italiani e distribuirà il Libro nero del comunismo o anche una sola dispensa, oppure il cd Urla dal silenzio sulla Cambogia e Ho Chi Min…».

Se ci fosse stato ancora bisogno di un motivo per cui Fini non vuole più mettere piede a palazzo Grazioli, eccolo qui. In attesa che perfino Feltri, deluso, si metta a gridare: il Pdl non esiste più.

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